Lettera di dimissione

CAPEZZONE BYE BYE – PANNELLA ADDIO…
Lo strappo di Capezzone/ Lascia la presidenza della Commissione Attività Produttive e la RnP. Ecco la lettera
Mercoledí 07.11.2007

L’ex segretario dei Radicali Italiani, Daniele Capezzone, si dimette dalla presidenza della Commissione Attività Produttive della Camera e lascia il gruppo della Rosa nel Pugno. Lo scrive lo stesso Capezzone in una lettera inviata al presidente della Camera e, per conoscenza, al capogruppo della RnP a Montecitorio e alla presidenza del gruppo Misto. “Considero esauriti e starei per dire esausti – scrive Capezzone – la fase e l’assetto politico che determinarono quella mia elezione”. Secondo Capezzone, “il governo e la maggioranza non esistono più politicamente o comunque non sono assolutamente in condizione di svolgere alcuna funzione positiva”.
VEDERE IN ALLEGATO IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA DI DIMISSIONI DI DANIELE CAPEZZONE

Niente Class Action
4 Novembre 2007
Alla faccia delle liberalizzazioni. Sfruttando il polverone creato dalle loro stesse inadempienze, il nostro sistema politico ha evitato, per l’ennesima volta, di andare avanti con la piu’ volta annunciata, da quasi 10 anni tondi, e mai approvata legge che istituisce finalmente anche da noi la ….. Class action per le frodi finanziarie e di Borsa. Cioe’ la causa collettiva che i risparmiatori e gli investitori potrebbero finalmente fare tutti assieme, abbattendo le spese ed aumentando di tanto il potere contrattuale contro manager e dirigenti infedeli e truffatori. Vedi casi Parmalat e Cirio, Giacomelli etc. etc. Invece, dimostrando ancora una volta come i poteri davvero forti siano assolutamente annidati e difesi sia nel centrodestra che nel centrosinistra, l’occasione e’ andata persa. Che ne pensate? Suggerirei di ricordarsene all’epoca del voto. E Di Pietro che sembra uno dei pochi sensibile a questi temi? La Finanza Democratica non ha molti difensori nel parlamento italiano.

www.corriere.it Mario Monti -L’inazione collettiva
Se la politica guardasse ai cittadini, li rispettasse come consumatori e risparmiatori, queste cose non succederebbero. Nei giorni scorsi in Parlamento è di nuovo abortito il tentativo di dotare l’Italia di uno strumento vitale per una democrazia economica: la class action o azione legale collettiva per il risarcimento dei danni. Sei anni dopo il primo disegno di legge in materia, sedici mesi dopo il disegno di legge Bersani che puntava molto sull’ azione collettiva per una politica rivolta al cittadino- consumatore, nella commissione Bilancio del Senato si è deciso di non utilizzare la corsia rapida della legge finanziaria per varare il provvedimento. Quale sia il veicolo legislativo appropriato, si può discutere.
Ma una cosa è indiscutibile: questa è un’innovazione che disturba interessi costituiti dell’economia e della finanza, come è risultato evidente nelle audizioni svolte dalla commissione Giustizia. Il governo di centro-sinistra non ha attribuito al tema una grande priorità. L’opposizione di centro-destra non ha mostrato interesse. Né gli uni né gli altri devono aver considerato atto di intelligenza politica l’andare a testa bassa contro influenti corporazioni, alienandosele a vantaggio della parte opposta, e ciò nel «solo» interesse dei cittadini. Ecco un altro esempio di come l’attuale incarnazione del bipolarismo permetta alle lobby di dormire tra due guanciali. «Divide et impera» è il modello di governo. Solo che a «governare» sono gli interessi privati ben organizzati, non i pubblici poteri.
Negli Stati Uniti la class action è un istituto molto radicato. Sono noti alcuni eccessi spettacolari, che l’Europa e l’Italia faranno bene a evitare e che non è difficile evitare. Ma la funzione svolta dalla class action nel mantenere una disciplina nel mercato è importante. Ad esempio, si stima che negli Stati Uniti l’enforcement delle norme sulla concorrenza avvenga per il 10 per cento a opera delle autorità antitrust, per il 90 per cento attraverso cause per danni presso le corti. La riforma dell’antitrust europeo, introdotta nel 2004, ha tra i suoi obiettivi proprio quello di facilitare l’enforcement privato negli Stati membri, attraverso azioni per danni.
La Commissione europea presenterà nei mesi prossimi un «libro bianco» in materia. Poiché questo riguarderà solo le azioni per danni derivanti da infrazioni alle norme sulla concorrenza, che sono pur sempre una piccola parte della tipologia di danni interessati dall’istituto dell’azione collettiva, l’attesa del «libro bianco» non può costituire una valida ragione per ritardare il varo in Italia di tale istituto. Perfino in Francia, Paese che non ha mai posto i consumatori al centro delle politiche pubbliche, la commissione Attali ha ora proposto al presidente della Repubblica di introdurre l’azione collettiva. Sono stati inseriti alcuni temperamenti, simili a quelli previsti dal disegno di legge Bersani: solo certi soggetti sono legittimati ad agire, si scoraggiano le «azioni temerarie», gli azionisti non hanno accesso alla class action, in quanto già tutelati dalle norme sulla governance societaria. In Italia, se la legge finanziaria non è ritenuta il veicolo appropriato, occorre che il Parlamento dia comunque un forte segnale di impegno, prevedendo una scadenza vicina per concludere. Altrimenti, ci sarà un’ ulteriore perdita di credibilità del sistema politico sui temi concreti e di interesse quotidiano per i cittadini.
Vedere allegato: MOVE YOUR MOUSE OVER THE FIGURES TO SEE THE REALITY

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Alla cortese ed urgente attenzione.doc peeping.xls

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