Iran libero
Iran libero unica alternativa alla guerra imminente. Il mondo è a pochi mesi dalla catastrofe. E sarà soprattutto la complice inerzia dell’Unione Europea, troppo spesso incline a cedere nei fatti al regime di Teheran, a rendere il bombardamento di siti strategici iraniani l’unica opzione concretamente possibile per evitare una guerra nucleare in Medio Oriente.
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Beautiful Iran
C’è una sola alternativa a questo scenario: l’Europa, l’Italia, i Paesi della solidarietà euroatlantica cessino di concedere tempo agli ayatollah al potere, abbandonino l’illusione che quel regime sia interessato alla pace e alla sicurezza internazionale e possa riformarsi dal suo interno, si liberino dalla trappola dei servizi di sicurezza iraniani che continuano a fabbricare falsi dossier contro le opposizioni, e sostengano concretamente gli attori del cambiamento. O avremo, entro pochi mesi, un governo iraniano che tuteli le libertà e i diritti umani, fermi la corsa all’arma nucleare e rinunci alle manovre terroristiche all’estero, o sarà troppo tardi perché non venga deciso un nuovo intervento armato.
Ricordo che l’Europa avrà nei prossimi giorni, in occasione del Consiglio Europeo, l’occasione di emendare il più grave errore compiuto nei confronti dell’Iran negli ultimi anni: su richiesta del regime dei mullah, il governo britannico aveva inserito senza alcuna motivazione l’Organizzazione dei Mojahidin del Popolo Iraniano in una lista di gruppi terroristici, trascinando poi l’Unione Europea a fare altrettanto. Dopo una serie ininterrotta di sentenze di corti comunitarie e britanniche contro tale decisione, dimostrata in giudizio priva di fondamento, il Regno Unito ha ora avviato la cancellazione dell’inserimento, definito “illegittimo e ingannevole” in maggio dalla Corte d’Appello di Londra. Il Consiglio Europeo faccia altrettanto nella prima riunione, senza ulteriori e ingiustificabili ritardi (da radicali.it).
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DOPO LE ESERCITAZIONI DI ISRAELE TEMPI PIÙ STRETTI PER DISINNESCARE LE OMBRE IRANIANE
Tanto per chiarire che davvero «nessuna opzione è esclusa», le Forze di difesa israeliane hanno compiuto alcuni giorni fa un’esercitazione che simulava una massiccia incursione aerea a lungo raggio, con il supporto di elicotteri d’attacco e di trasporto truppe e aerocisterne per il rifornimento in volo. La distanza coperta è stata esattamente la stessa distanza che separa Tel Aviv dai principali siti nucleari dell’Iran. Gli israeliani non sono né ingenui né folli, e sanno benissimo (come lo sanno ovviamente, gli iraniani) che un raid militare – ipotesi che da settimane s’aggira per il mondo – non sarebbe risolutivo e forse nemmeno parzialmente efficace. Anzi, con ogni probabilità spingerebbe il regime degli ayatollah a scatenare una reazione capace di destabilizzare la regione. Nello scenario apocalittico che si aprirebbe a seguito di un’azione militare israeliana, ragionevolmente con la copertura strategica degli Stati Uniti, Siria, Hezbollah e Hamas (e una parte consistente delle masse popolari arabe) si schiererebbero a fianco dell’Iran. Il nuovo Iraq sarebbe probabilmente paralizzato con il cuore che batte per i fratelli sciiti e la ragione che vede nella presenza militare Usa la principale garanzia di sopravvivenza.
Molto più difficile è immaginare che cosa farebbero quei Paesi come l’Arabia Saudita, l’Egitto e gli Stati del Golfo, che detestano gli iraniani quanto e più degli israeliani e che vedrebbero come una seconda ‘catastrofe’ l’estensione di un’egemonia persiana dal Golfo al Mediterraneo. Su questo elemento puntano probabilmente gli strateghi israeliani, ipotizzando – e speriamo resti scenario da fantapolitica – un’offensiva lampo, così da consentire ai governi arabi di potersi limitare a una sdegnata dichiarazione di condanna a cose fatte. Le pianificazioni ex ante sono sempre ben diverse da come le campagne si sviluppano poi concretamente. Non foss’altro perché la guerra, tra tutte le attività umane, è una di quelle a maggior tasso di incertezza, in quanto include la mobilitazione di tutte le risorse disponibili, a cominciare da quelle della volontà, della determinazione e dello spirito di sacrificio, tutte cose ben difficili da ‘stimare’ a tavolino. Basterebbe ciò – ma le motivazioni ovviamente vanno ben oltre – per essere contrari all’uso della forza in questa circostanza. Occorre tuttavia chiarire con altrettanta risolutezza come sia inaccettabile che un regime quale quello iraniano, il cui presidente minaccia in ogni possibile occasione la distruzione dello Stato di Israele, possa sviluppare l’arricchimento dell’uranio. Perché padroneggiare questa tecnologia lo metterebbe in grado di produrre sia combustibile ad uso civile, sia uranio ‘più ricco’ ad uso militare. La questione è tutta qui. E su tale questione, al momento, la diplomazia (il famoso 5+1) non è ancora riuscita a produrre uno straccio di risultato. Proprio questo ha voluto ricordarci Israele con le sue manovre: che il tempo per trovare (perché cercare non basta) una soluzione alternativa all’opzione militare è sempre meno. E che se una soluzione diplomatica non verrà trovata, l’opzione militare è sempre disponibile. Nella consapevolezza che non sarebbe certo una soluzione, ma una mossa che, se i negoziati fallissero, si prefiggerebbe il solo scopo di ritardare quello che, altrimenti, Teheran porterebbe a casa prima e comunque.
Ecco perché bisogna prendere molto sul serio le esercitazioni israeliane e smettere di baloccarsi dietro il rassicurante mantra che «quella militare non è una soluzione». Questo è ovvio e lo sanno tutti, a partire dagli israeliani. Il cui ragionamento è però lineare, condivisibile o meno che sia: se la comunità internazionale non è in grado di bloccare l’atomica iraniana, Israele la può quantomeno ritardare. Ora la parola, inevitabilmente, non può che tornare alla comunità internazionale (da l’avvenire.it).