Burqa, che dire?
Con la parola burqa (o burka) si indica un capo d’abbigliamento tradizionale delle donne di alcuni paesi di religione islamica, principalmente l’Afghanistan. In Italia, in molti luoghi pubblici circolano donne completamente coperte con il burqa, che lascia visibili esclusivamente gli occhi; in base all’ordinamento vigente non è consentito alle persone di circolare con il volto coperto in modo tale da impedirne il riconoscimento; è evidente che la legge deve essere uguale per tutti i cittadini sia italiani, sia comunitari, sia extracomunitari e, pertanto, appare inaccettabile l’eccessiva tolleranza nei confronti di questi abbigliamenti, che peraltro sono anche fortemente lesivi della dignità della donna.
Il burqa, spesso, non è una scelta: le musulmane, in alcuni contesti, hanno di fatto un obbligo a portarlo. Ma su quale base giuridica lo si può vietare, se non per ragioni di sicurezza in luoghi specifici (poste, stazioni, eccetera)? Tanto più che le donne in burqa, convertite di fresco, portano spesso questo abito volontariamente, in modo ostentato, per provare la loro fede (vedere suore di clausura nel cristianesimo). Come si può considerare segno di schiavismo o di subordinazione un atto di fede, anche se ci appare esibizionistico?
Come conciliamo l’inalienabile diritto di ogni religione a scegliersi gli abiti che preferisce con l’altrettanto inalienabile diritto delle donne a togliersi quel velo, a vivere la vita che vogliono?
Quale diritto viene prima?
Vietare burqa e niqab nelle scuole, luogo primario di integrazione ed emancipazione, può essere un segnale importante?
La questione riguardante l’uso del burqa e di altre tradizionali velature islamiche (hijab, niqab, chador) va considerata alla luce del quadro normativo vigente nel nostro ordinamento, nel cui ambito assumono primario rilievo le disposizioni contenute nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS) approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 e nella legge 22 maggio 1975, n. 152 (c.d. legge Reale). L’articolo 85 del TULPS vieta di comparire mascherati in luogo pubblico e prevede, in caso di violazione, l’irrogazione di una sanzione amministrativa, aggravata se il contravventore non ottempera all’invito di togliere la maschera; così come l’articolo 5 della legge Reale vieta, salvo giustificato motivo, di fare uso, in luogo pubblico o aperto al pubblico, di caschi protettivi o di qualsiasi altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona.
Entrambe le norme hanno posto delicati problemi interpretativi in ordine alla loro concreta applicabilità ai casi in cui l’identità della persona sia celata dal burqa. In tali ipotesi, infatti, costituendo il burqa non un semplice “mascheramento”, l’orientamento prevalente in giurisprudenza ha escluso l’applicazione dell’articolo 85 TULPS, mentre ritiene applicabile il divieto sancito dall’articolo 5 della legge Reale, in presenza di un rilevante interesse pubblico all’identificazione della persona nonché di circostanze di luogo e di tempo tali da far ritenere la sussistenza di un pericolo per la pubblica sicurezza.
Pertanto, nei confronti di coloro che indossano una velatura di significato religioso o culturale (in senso lato) operano le limitazioni poste dall’ordinamento a salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, fra le quali rientrano, appunto, gli obblighi di consentire e non ostacolare il riconoscimento della persona da parte delle forze dell’ordine (articolo 5 legge n. 152 del 1975).
Una Tunisina con il suo hijab
In seguito agli attentati londinesi del 7 e 21 luglio 2005, il 27 luglio seguente il Governo approvò il decreto-legge n. 144 recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, poi convertito con modificazioni dalla legge n. 155 del 31 luglio 2005; nel corso del procedimento di conversione, venne presentato un emendamento finalizzato ad inasprire le sanzioni per coloro che avessero indossato il burqa o qualsiasi altro indumento fosse idoneo a celare l’identità della persona o comunque ne rendesse meno agevole l’accertamento; tale emendamento venne accolto dal Senato della Repubblica ed ora figura all’interno del decreto-legge n. 144 del 2005, all’articolo 10, significativamente intitolato «Nuove norme sull’identificazione personale», come comma 4-bis, dove si legge: «Il secondo comma dell’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, è sostituito dal seguente: «Il contravventore è punito con l’arresto da uno a due anni e con l’ammenda da 1.000 a 2.000 euro».
La legge 31 luglio 2005, n. 155, di conversione del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, ha quindi inasprito le sanzioni di cui all’articolo 5, ma il contenuto della disposizione è rimasto sostanzialmente invariato.
Quanto alla concreta applicazione di tali norme da parte delle forze di polizia, risulta che nel primo semestre del 2008, le persone denunciate o arrestate per violazione dell’articolo 5 sono state 72, di cui 58 italiane e 14 straniere.
La “Carta dei valori della cittadinanza e della integrazione” adottata con decreto del Ministro dell’Interno 23 aprile 2007, prevede espressamente (punto 26) che: “In Italia non si pongono restrizioni all’abbigliamento della persona, sia pure liberamente scelto, e non lesivo della sua dignità”, ma che “non sono accettabili forme di vestiario che coprono il volto perché ciò impedisce il riconoscimento della persona e la ostacola nell’entrare in rapporto con gli altri”.
Da Berna all’Aia, da Roma a Parigi, l’Islam fondamentalista va combattuto in nome della laicità, dei diritti dell’uomo e della parità tra i sessi.
Occorre far capire alle donne che vengono nel nostro Paese che da noi le donne godono di pari diritti e di pari dignità rispetto agli uomini, e che non c’è spazio per culture, tradizioni o religioni che vogliono confinare la donna in uno stato di soggezione e di inferiorità.
Primo sì all’interdizione totale del burqua in Belgio. A dare il suo parare favorevole al provvedimento è stata la commissione affari interni della Camera. Se il provvedimento sarà approvato in via definitiva il Belgio sarà il primo Paese europeo ad avere una norma che vieta di coprire totalmente o in maggior parte il volto.
Burqa vietato in Belgio
La proposta intende modificare il codice penale per imporre un’ammenda (o sette giorni di carcere) a chi si presenterà in uno spazio pubblico con il volto coperto, del tutto o in parte, che ne impedisca l’identificazione. La legge in discussione prevede delle eccezioni per le manifestazioni come il carnevale, autorizzate dal comune.
In Francia il partito di Nicolas Sarkozy dovrebbe presentare nelle prossime settimane una bozza di legge che prevede il divieto assoluto di indossare il velo integrale per le donne musulmane, ma la massima autorità giudiziaria amministrativa lo giudica eccessivo, consigliando di limitare la messa al bando del burqa solo in alcuni posti, come tribunali, scuole, ospedali e aule dove si tengono gli esami universitari.
“Un divieto generico ed assoluto non avrebbe basi giudiziarie incontestabili”, ha scritto il Consiglio di Stato nel parere inviato al primo ministro Francois Fillon, dove si suggerisce anche di non multare le donne che insistono ad indossare il velo integrale nonostante il divieto, ma di indirizzarle piuttosto verso le associazioni per i diritti delle donne.
In Italia, intanto, la Lega si prepara a presentare un disegno di legge analogo a quello belga, mentre è già all’esame della commissione Affari costituzionali a Montecitorio una proposta anti-burqa avanzata da Souad Sbai, deputata del Pdl di origini marocchine.
PROPOSTA DI LEGGE d’iniziativa dei deputati
SBAI, CONTENTO
Modifica all’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, concernente il divieto di indossare gli indumenti denominati burqa e niqab
Presentata il 6 maggio 2009
Onorevoli Colleghi! – La legge 22 maggio 1975, n. 152, recante «Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico», all’articolo 5, dispone che «È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. È in ogni caso vietato l’uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino.
Il contravventore è punito con l’arresto da uno a due anni e con l’ammenda da 1.000 a 2.000 euro.
Per la contravvenzione di cui al presente articolo è facoltativo l’arresto in flagranza».
In sostanza, le misure antiterrorismo (citato decreto-legge n. 144 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 155 del 2005), rendono più severa la novellata legge n. 152 del 1975, che proibisce di circolare in luoghi pubblici con il viso coperto: la pena passa da sei mesi o un anno di reclusione a uno o due anni di reclusione e all’ammenda da 1.000 a 2.000 euro. Su questa disposizione si è formato anche un orientamento giurisprudenziale, non consolidato ma non contraddetto, che ribadisce la necessità di tutelare l’ordine pubblico con misure atte a evitare occultamenti o travisamenti di identità, anche per scongiurare atti di terrorismo internazionale che, ovviamente, ricomprendono quelli di matrice islamica, su cui apparrebbe opportuno, intervenire più incisivamente, puntualizzando il concetto dell’utilizzo, residuale, «di qualsiasi altro mezzo idoneo» a travisare o a mascherare la persona umana, in modo da impedire o da rendere difficoltoso il suo riconoscimento, ricomprendendovi specificamente i particolari indumenti indossati dalle donne di religione islamica che, appunto per le loro caratteristiche, coprono interamente il corpo, rendendo impossibile il riconoscimento delle persone che li indossano (burqa e niqab). Infatti, il divieto penalmente sanzionato dal citato articolo 5 della legge n. 152 del 1975, nel testo novellato dall’articolo 2 della legge n. 533 del 1977 (in materia di ordine pubblico), riguarda principalmente, l’uso di «caschi protettivi» o (quindi, in via residuale) di qualsiasi altro mezzo idoneo a travisare o a mascherare la persona umana, in modo da impedire o da rendere difficoltoso il suo riconoscimento. Ne consegue che l’ambito di applicazione della norma stessa, secondo la Suprema Corte di cassazione, è «limitato alla sola ipotesi in cui l’individuo compaia in luogo pubblico o aperto al pubblico, in condizioni idonee a dissimulare o nascondere la propria persona nei suoi caratteri esteriori percepibili, sia occultando i dati somatici del viso con caschi ed altri mezzi idonei sia usando di tali mezzi per travisare o alterare caratteristiche fisiche».
Indossare indumenti come il burqa e il niqab, che nulla hanno a che vedere con la cultura della maggioranza delle donne immigrate che vivono in Italia, ma che costituisce un obbligo imposto alle donne da estremisti che vengono dall’Afghanistan, dal Pakistan e da altri Paesi dove prevalgono la cultura estremista e il retaggio di costumi disumani e di violenze familiari inaudite e inammissibili sia in linea di principio sia, in particolare, se le donne vivono in Paesi civilmente evoluti. Per questo la presente proposta di legge intende rafforzare e puntualizzare la portata del divieto di utilizzo di mezzi atti a occultare i dati somatici del corpo e del viso, che rendono difficoltoso il riconoscimento della persona, prevedendolo specificamente, nell’articolo 5 della legge n. 152 del 1975, affinché non vi sia possibilità di esclusione nell’ambito dei mezzi residuali previsti oltre ai caschi protettivi, l’utilizzo degli indumenti indossati dalle donne di religione islamica. La presente proposta di legge consta di un solo articolo.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. Al primo comma dell’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «È altresì vietato, al fine di cui al primo periodo, l’utilizzo degli indumenti femminili in uso presso le donne di religione islamica denominati burqa e niqab».
SONO CONCORDE CON QUANTO ESPOSTO IN QUESTE NOTE.
MI PERMETTO UNA SOLA PRECISAZIONE:
IN CORRETTA LINGUA ITALIANA, GLI INDUMENTI CHE COPRONO IL VOLTO, SONO DEFINITI ” BACUCCA ” E RITENGO SIA OPPORTUNO COSI’ DEFINIRLI IN BASE AL NOSTRO VOCABOLARIO, ANCHE PER EVITARE POSSIBILI EQUIVOCI CON TERMINI STRANIERI POCO NOTI.