Primavera di Praga

Jan Palach (Všetaty, 11 agosto 1948 – Praga, 19 gennaio 1969) è stato uno studente cecoslovacco divenuto simbolo della resistenza anti-sovietica del suo paese.

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Monumento a Jan Palach a Praga (foto Gas 2008)

Studente di filosofia, assistette con simpatia alla stagione riformista del suo paese, chiamata Primavera di Praga. Nel giro di pochi mesi, però, questa esperienza fu repressa militarmente dalle truppe dell’Unione Sovietica e degli altri paesi che aderivano al Patto di Varsavia, con la sola eccezione della Romania. Per protestare contro quell’iniziativa bellica, Palach prima fondò un gruppo di volontari anti-URSS e successivamente decise di cospargersi il corpo di benzina in piazza San Venceslao a Praga, appiccando il fuoco con un accendino (16 gennaio 1969). Morirà tre giorni dopo.

Decise quindi di suicidarsi morendo carbonizzato, ma preferì non bruciare i suoi appunti e i suoi articoli (che rappresentavano i suoi pensieri politici), che tenne in uno zaino molto distante dalle fiamme. Tra le dichiarazioni trovate nei suoi quaderni, spicca questa: “Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zpravy (il giornale delle forze d’occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà” (cliccare qui).

Di antichi fasti la piazza vestita
grigia guardava la nuova sua vita,
come ogni giorno la notte arrivava,
frasi consuete sui muri di Praga,
ma poi la piazza fermò la sua vita
e breve ebbe un grido la folla smarrita
quando la fiamma violenta ed atroce
spezzò gridando ogni suono di voce…

Son come falchi quei carri appostati,
corron parole sui visi arrossati,
corre il dolore bruciando ogni strada
e lancia grida ogni muro di Praga.
Quando la piazza fermò la sua vita,
sudava sangue la folla ferita,
quando la fiamma col suo fumo nero
lasciò la terra e si alzò verso il cielo,
quando ciascuno ebbe tinta la mano,
quando quel fumo si sparse lontano,
Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava
all’orizzonte del cielo di Praga…

Dimmi chi sono quegli uomini lenti
coi pugni stretti e con l’odio fra i denti,
dimmi chi sono quegli uomini stanchi
di chinar la testa e di tirare avanti,
dimmi chi era che il corpo portava,
la città intera che lo accompagnava,
la città intera che muta lanciava
una speranza nel cielo di Praga,

dimmi chi era che il corpo portava,
la città intera che lo accompagnava,
la città intera che muta lanciava
una speranza nel cielo di Praga,
una speranza nel cielo di Praga,
una speranza nel cielo di Praga…

1968
QUEL GIORNO…A PRAGA
Era iniziata una “primavera”, venne un’estate di carri armati

Poi finì così, il 25 gennaio 1969. I funerali di Jan Palach. Il giovane divenne il simbolo di una Cecoslovacchia silenziosa e angosciata.
Per protestare contro l’occupazione sovietica della Cecoslovacchia un gruppo di giovani ha deciso di immolarsi appiccandosi il fuoco dopo essersi cosparsi di benzina, nella principale Piazza della città, Venceslao per attirare l’attenzione di tutto il mondo all’occupazione militare che invece i sovietici vorrebbero far apparire come volontà popolare.

“Considerato che i nostri due popoli s trovano sull’orlo della disperazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta in questo modo. Io ho avuto l’onore di essere estratto a sorte per primo, di cominciare ad essere la prima torcia” Jan Palach.
Infatti i giovani hanno deciso di estrarsi a sorte uno alla volta e di morire come torce umane. Il primo estratto é Jan Palach studente di filosofia, di 21 anni. Gli altri uno alla volta poi lo imiteranno.
Quasi un milione di praghesi seguiranno i funerali, mentre al confine pronti ad intervenire un altro contingente di carri armati russi. Seguiranno altri “sacrifici” che scuoteranno il Paese, ma la Cecoslovacchia dovra’ attendere fino agli anni Novanta per avere la sua indipendenza.

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PRAGA ERA TRANQUILLA QUEL GIORNO.
D’IMPROVVISO
IL ROMBO DEI TANKS RUSSI…

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“Martedì 20 agosto fu un tipico giorno estivo, caldo, con un sole velato. Praga era piena di turisti, intere famiglie passeggiavano o sedevano nei parchi. La città, anzi l’intero paese era tranquillo…era inconcepibile pensare che nel giro di poche ore i carri armati sovietici ci avrebbero assalito.” Così Alexander Dubcek, leader della Primavera di Praga, ricorda quel giorno del 1968 nella sua autobiografia “Il socialismo dal volto umano” edita nel 1997 presso Editori Riuniti. Fu un giorno che segnò l’apertura di una ferita lunga più di vent’anni e che vide i carri armati dei paesi aderenti al Patto di Varsavia, U.R.S.S., Bulgaria, Ungheria, Polonia e Germania Est (la Romania non aderì), calpestare le strade di Praga, permettere la parola fine a un processo politico il cui obiettivo, sempre secondo Dubcek, doveva essere “la creazione delle condizioni necessarie a ogni individuo per autoaffermarsi in tutte le sfere del lavoro e della vita”.

Quel giorno si tenne, come da programma, la riunione della presidenza del Pcc (partito comunista cecoslovacco), presieduta dallo stesso Dubcek, in cui si dovevano consolidare le conquiste della Primavera di Praga e rafforzare le basi per tradurre in pratica il Programma d’Azione e aprire la strada ad altre riforme, nonché preparare le risoluzioni per l’imminente XIV congresso del partito. Ma la riunione si interruppe poco prima di mezzanotte, quando il premier Cernik fu avvisato telefonicamente dell’invasione. Dubcek è onesto nell’ammettere che la sua interpretazione dei disegni sovietici si era dimostrata del tutto errata: “Quella notte compresi quanto profondo fosse stato il mio sbaglio -scrive- le esperienze drastiche dei giorni e dei mesi che seguirono mi fecero capire che avevo a che fare con dei gangster.” Infatti…

Quella notte del 20 agosto fu solo l’inizio della fine delle aspirazioni democratiche di una buona parte della dirigenza politica e della popolazione cecoslovacca. Naturalmente una resistenza militare si rivelò impossibile per la disparità di forze in campo, ma i sovietici non riuscirono comunque nel loro intento di dare una giustificazione legale all’invasione e inoltre, nei convulsi giorni di quella fine estate dimostrarono di non agire secondo un piano ben organizzato, dando l’impressione di improvvisare, in modo anche grossolano, buona parte delle loro mosse. Dubcek ed altri esponenti politici cecoslovacchi furono sequestrati e portati al Cremlino, al cospetto della dirigenza brezneviana, dove cominciarono le “trattative” per ristabilire la situazione politica nel paese invaso, naturalmente alle condizioni sovietiche che vedevano il nemico principale nella politica riformista del nuovo corso, apertosi nel gennaio del 1968 con l’elezione di Dubcek a capo del Partito. Come ricorda l’attuale presidente della repubblica Ceca Vaclav Havel, in un suo scritto del 1978 “Il potere dei senza potere”, “il tentativo di riforma politica non fu la causa del risveglio della società, ma il suo esito ultimo.” Proprio per questo le stesse parole di Havel quando afferma che “la Primavera di Praga è stata la proiezione finale di un lungo dramma nell’ambito dello spirito e della coscienza della società” ci rendono almeno parzialmente l’idea di quella che fu la tragedia cecoslovacca, che ebbe inizio il 20 agosto.

Al termine di quei giorni estenuanti, in cui le sollevazioni popolari vennero sapientemente evitate per evitare un inutile spargimento di sangue, il 26 agosto, il diktat di Mosca risultò aperto ad alcune concessioni e a blande ammissioni di colpa. Ma per tutta la Cecoslovacchia quelli furono i giorni dell’umiliazione e della resa che si protrassero fino alla primavera del 1969, quando la Primavera di Praga fu definitivamente seppellita, dopo il cambiamento di quadri politici e l’insediamento nelle più alte cariche statuali di uomini di provata fiducia del Cremlino. Il popolo cecoslovacco fu duramente fiaccato nell’animo e il rogo del 19 gennaio di quell’anno in cui si spense volontariamente il giovane Jan Palach fu la più tragica testimonianza del dolore per la definitiva perdita di libertà, ma soprattutto di speranza che colpì quel popolo.

Ma perché quell’invasione di trent’anni fa e soprattutto in cosa consistevano le ambizioni di quel paese satellite, così bruscamente calpestate dall’Urss e dai carri armati degli altri paesi del Patto? La risposta ce la fornisce Francesco Leoncini, docente di Storia dei Paesi Slavi all’Università Ca’ Foscari di Venezia, in un suo intervento sulle pagine del numero 126 dell’aprile 1999 del mensile Storia e Dossier, in cui spiega, in maniera sintetica quanto efficace, quale strada avesse imboccato la Cecoslovacchia nel 1968:

“Non erano la Cina di Mao né la Cuba di Castro i modelli e i simboli che mobilitavano le masse cecoslovacche, quel vago terzomondismo sempre in agguato nella sinistra, soprattutto italiana, ma il maturo convincimento che era necessario andare avanti nell’umanizzazione della società: questo era stato l’anelito bruscamente interrotto dopo il 1948; combattevano per mettere l’uomo al centro della società e non certo gli interesse del capitale o del Partito.” Una battaglia, quella cecoslovacca che ha conosciuto troppi anni di sconfitte e che ancora oggi dopo la divisione del paese in due democrazie, quella ceca e quella slovacca, fatica a trovare i mezzi migliori per entrare sulla scena europea senza il pesante fardello della memoria delle ingiustizie subite.

 

1 Comment so far

  1. Mika on 11 Luglio, 2014

    Grandee primavera de praga!!!! sprimee lo he dicho un gran orgullo que hayan salido de mi ciudad los angeles 😀 espero con ansias este video 😀 y el primer comentario 77 no vale la pena decirle nada xD

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