Castel Gandolfo: apre al pubblico la villa estiva dei Papi
Le ragioni per visitare la residenza papale di Castel Gandolfo (che si trova nella città metropolitana di Roma Capitale) sono molte: sontuosi giardini, stanze colme d’arte e una vista mozzafiato sul lago di Albano. Dal 22 di ottobre, ogni giorno dal lunedì al sabato, se ne aggiunge una nuova, cioè la possibilità di entrare liberamente nell’appartamento pontificio. Papa Francesco I, infatti, dopo aver rinunciato a vivere nell’appartamento in Vaticano, ha deciso di fare a meno anche dei suoi appartamenti in Castel Gandolfo, quelli storicamente utilizzati dai papi come residenza estiva. Per sua espressa volontà, le stanze papali sono state trasformate in un museo e possono essere visitate dal pubblico insieme ai giardini di Villa Barberini e a parte del Palazzo Apostolico (aperti ai turisti dal 2014, sempre per volere di Bergoglio; cliccare qui).
La residenza di Santa Marta, dove alloggia Papa Francesco, vuole sottolineare la funzione del papa come servizio, laddove la memoria storica identificava l’appartamento pontificio in Vaticano più segnatamente con il potere. L’abbandono di Castel Gandolfo come residenza estiva del papa elimina invece quell’antico legame tra vita signorile e cultura di villeggiatura. Evento, questo, di portata storica e simbolo della “politica” dell’attuale pontefice: la sua villa suburbana, capolavoro di architettura, arte, natura, che tanti suoi predecessori hanno abitato a lui non interessa. Ha detto: “rinuncio alla mia reggia e nello stesso tempo voglio che tutti la possano vedere”. Giusto anche insistere sull’elemento natura: ai papi si deve infatti l’assenza di “cannibalismi” sul territorio. Tra i pregi forse maggiori dell’edificio c’è dunque quella vista che spazia lontana verso la piana di Roma eterna e oltre, fino al mare e alle montagne, con il lago di Albano subito fuori dalle finestre e ovunque intorno boschi di lecci e querce che paiono cattedrali e i giardini all’italiana curati da una squadra di giardinieri.
Entrare nell’appartamento rifugio privatissimo dei pontifici, significa aver accesso alla camera da letto del papa, dove morirono Pio XII e Paolo VI, senza dubbio il luogo più riservato di tutto il palazzo e il preferito di tutti i Pontefici, con le finestre rivolte verso il mare, alla biblioteca, allo studio, al Salone degli Svizzeri (un tempo riservato alla guardia pontificia; cliccare qui), alla Galleria di Alessandro VII decorata con graziose scenette pastorali di gusto settecentesco da Pier Leone Ghezzi (cliccare qui) e alla Sala del Concistoro, destinata alle riunioni del papa con i cardinali. Si può visitare anche la cappella privata dove tutti i predecessori di Papa Francesco si sono raccolti in preghiera: lo fece anche lui stesso nel marzo del 2013, poco dopo la sua elezione, per pregare insieme a Benedetto XVI, ritiratosi a Castel Gandolfo dopo le dimissioni.
Il Palazzo Apostolico è e resta, comunque, un’architettura di stile piuttosto severo con cortile centrale (Maderno, Bernini e Borromini tra i progettisti che vi misero mano) ma soprattutto la casa di un sacerdote, sia pure del più importante tra questi, capo della Chiesa e sovrano di uno Stato.
Un percorso, quello studiato dai musei vaticani, che ha rispettato fino in fondo l’anima del luogo. Nulla è stato toccato o alterato, in modo che i visitatori potessero vedere la quotidianità dei pontefici nel luogo in cui vivevano durante il periodo estivo fino a Benedetto XVI. Colpisce la semplicità degli ambienti, lo studiolo del segretario con una piccola scrivania di legno e una lampada ordinaria, poi lo studiolo del Papa dotato di un tappeto e una scrivania di più massiccia, sotto una resurrezione del XVII secolo. Infine la camera da letto, dignitosa ma modesta, con un letto da una piazza e mezzo d’ottone, un copriletto di velluto, i comodini con il ripiano marmo, proprio come quelli che si possono trovare ancora nelle stanze delle nonne.
Migliaia, gli aneddoti che queste stanze evocano, tra cronaca e grande storia. Uno, più volte ricordato, quello delle molte partorienti che diedero alla luce i loro figli proprio nella camera da letto del pontefice. Successe ai tempi dei bombardamenti dell’ultima guerra, quando Eugenio Pacelli, Pio XII, accolse a Castel Gandolfo gli sfollati in fuga dalle vicine zone più a rischio. Quei ragazzini tutti li chiamano ancora i figli del papa. Eugenio, va da sé, il nome di molti di loro. Sono ancora viventi. E da oggi potranno visitare il luogo dove videro la luce in quell’ormai lontana estate del 1944.
Il Palazzo Pontificio (o Palazzo Apostolico) di Castel Gandolfo è un museo appartenente alla Chiesa cattolica e si trova all’interno della zona extraterritoriale delle Ville Pontificie di Castel Gandolfo, sui Colli Albani, circa venti chilometri a sud di Roma.
Acquisito dalla Camera Apostolica nel luglio 1596 e incorporato come patrimonio inalienabile della Santa Sede il 27 maggio 1604, il territorio di Castel Gandolfo fu prescelto come luogo di villeggiatura da molti papi, a cominciare da Urbano VIII che, subito dopo la sua elezione a pontefice (1623), diede avvio alla costruzione di un edificio sul sito della villa romana dell’imperatore Domiziano, probabilmente sorta a sua volta sull’acropoli dell’antica Alba Longa.
Il progetto del palazzo pontificio (il suburbano recesso, come venne allora chiamato) fu affidato a Carlo Maderno che lo realizzò con l’aiuto dei suoi assistenti Bartolomeo Breccioli e Domenico Castelli (1629). Benché promotore della sua costruzione, Urbano VIII non vi abitò mai preferendo risiedere nella vicina Villa Barberini, appartenente al nipote Taddeo Barberini. Il primo pontefice a villeggiarvi fu dunque il senese Alessandro VII, che completò l’edificio con la facciata principale e l’ala occidentale, cui contribuì anche Gian Lorenzo Bernini. Soltanto la metà dei trenta papi che si sono succeduti da allora hanno vissuto a Castel Gandolfo, talvolta solo per un giorno.
Trascurata per circa un secolo, la villa di Castel Gandolfo tornò ad essere frequentata nel Settecento con papa Benedetto XIV, che la ristrutturò apportandovi modifiche e nuove decorazioni. Altrettanto fece Clemente XIV, che inoltre acquistò la limitrofa Villa Cybo (1773) ampliando a parco l’originario giardino di Urbano VIII. I francesi misero a sacco il palazzo papale nel febbraio 1798. Occupata e gravemente danneggiata dalle truppe napoleoniche, fu restaurata da Pio VII e Pio VIII. In seguito fu particolarmente utilizzata come residenza estiva da Gregorio XVI e poi, almeno fino al 1870, da Pio IX; entrambi i pontefici vi apportarono ulteriori migliorie. Dal 1870 però, con la fine dello stato pontificio, venne abbandonata dai papi, come tutte le altre residenze possedute fuori Roma, per “rinchiudersi” in Vaticano in segno di aperta protesta contro lo stato italiano.
Nel 1929, con la nascita dello Stato della Città del Vaticano e i relativi Patti Lateranensi, le ville papali di Castel Gandolfo (cui ora si aggiungeva la vicina Villa Barberini) furono dichiarate dominio extraterritoriale pontificio e proprio con papa Pio XI il Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo ritornò ad essere la residenza estiva dei papi. Pio XI fece anche realizzare dall’architetto Giuseppe Momo i collegamenti fra le tre proprietà, confinanti ma divise dalla rete stradale pubblica: una loggia per unire il Palazzo Apostolico a Villa Cybo e un cavalcavia per mettere in comunicazione il giardino di quest’ultima con quello di Villa Barberini. Nel 1934, inoltre, lo stesso pontefice fece allestire all’ultimo piano del Palazzo Apostolico, sotto la torre, la sede dell’osservatorio astronomico vaticano, noto anche come Specola Vaticana. Con l’ulteriore acquisto di alcuni terreni verso Albano Laziale, vi si poté installare infine una piccola azienda agricola cosicché l’insieme delle proprietà pontificie a Castel Gandolfo, tutte collegate fra di loro, costituisce oggi un unico vasto parco, la cui estensione di circa 55 ettari è superiore a quella dello stesso stato vaticano.
Il palazzo venne in seguito utilizzato abitualmente dai papi come residenza nei periodi di riposo, due papi – Pio XII (1958) e Paolo VI (1978) – vi morirono, mentre Giovanni Paolo II definì Castel Gandolfo il “Vaticano Due” e vi fece costruire una piscina. Una foto, che lo riprese mentre vi si tuffava, fece allora il giro del mondo. In talune occasioni la recita domenicale dell’Angelus avveniva all’interno del cortile. Nel 2010 si è tenuta a Castel Gandolfo l’Udienza generale nella piazza esterna, per la prima volta nella storia.
Dal 28 febbraio al 2 maggio 2013 vi ha risieduto temporaneamente Benedetto XVI dopo aver rinunciato al Ministero Petrino.
Ancor prima di Castel Gandolfo, nella stessa Roma, dalla fine del Cinquecento e fino al 1870, il palazzo del Quirinale fu la residenza estiva del pontefice. Ma anche nel Medioevo i papi avevano l’abitudine di passare i mesi d’estate fuori dell’Urbe, anzitutto per fuggire dalla malaria. Soltanto con Innocenzo III (1198-1216), però, l’alternanza residenziale dei papi diventa regolare.
Il più giovane della storia – aveva trentasette anni quando fu eletto – visse più di un quarto del suo pontificato fuori dell’Urbe, nelle città di Segni, Sora e Anagni, nei vicini Castelli, a Subiaco e a Viterbo. Un abate fiammingo annotò allora che il papa “lasciò Roma temporaneamente a causa dell’estate che era contraria al suo corpo e risiedette a Viterbo come nella sua propria città”.
Nei primi decenni del 1200 i Romani presero persino l’abitudine di chiamare il palazzo del papa al Laterano “palazzo d’inverno”. Dei diciannove papi del 1200, undici trascorsero più della metà del loro pontificato fuori dell’Urbe. Sei papi, tra cui tutti e tre i papi francesi del Duecento, non entrarono mai a Roma, vivendo in città come Viterbo, Montefiascone, Orvieto e Perugia. Durante i sei mesi del suo breve pontificato, Celestino V – il papa del “gran rifiuto” – non uscì dalle frontiere del regno di Sicilia.
Nel corso del 1200 la malaria fu sempre più descritta come angosciante, forse per una sua recrudescenza. Gregorio IX trascorse l’estate ad Anagni (1227) “a causa delle minacce dell’estate e delle condizioni sospette dell’aria di Roma”. Così racconta il suo biografo. Nel giugno 1230 si recò ad Anagni “per cercare un’aria più clemente”, temendo “l’irruzione di un’estate incendiaria”. A Rieti si fece costruire un palazzo “pieno di comodità”.
Il cancelliere di Federico II, Pier della Vigna, ricordava ai prelati che si recavano a Roma (1241) per prender parte al concilio destinato a deporre l’imperatore che a Roma “vi aspettano un calore insopportabile, un’acqua putrida, alimenti grossolani e malsani, un’aria pesante, una quantità enorme di zanzare, di scorpioni, di uomini sporchi, cattivi e scatenati. Sotto la città vi sono caverne piene di vermi velenosi che escono col calore dell’estate”.
Di solito i papi lasciavano Roma tra aprile e giugno e vi tornavano ad ottobre. Prima ancora che il papa si mettesse in viaggio, la guardaroba (la camera) e il tesoro del papa venivano portati nel luogo di residenza prescelto. I problemi logistici erano complessi. Quasi tutta la corte papale – ossia molte centinaia di persone – si stabiliva infatti insieme al papa. La curia dovette stipulare accordi con quelle città, come con Viterbo nel 1266 e nel 1278, per ottenere alloggi e facilitazioni di ogni genere.
Nel 1200 il papato alternò quindi regolarmente la sua residenza tra Roma e una delle amene città dello Stato pontificio. Durante questo secolo anche il palazzo del Vaticano fu arricchito di stupendi giardini, da Niccolò III Orsini (1277-1280). Onorio IV (1285-1287) preferì però risiedere nel magnifico palazzo che si era fatto costruire sull’Aventino, circondato anch’esso da splendidi giardini.
Ad Avignone, dove risiedettero stabilmente dal 1308 al 1377, i papi disposero della Certosa di Villeneuve come residenza estiva. Pio II (1458-1464) fece costruire a Pienza, sua città natale, il Palazzo Piccolomini, primo grande esempio di architettura rinascimentale, ma anche simbolo di un’antica cultura di villeggiatura del papato, non così diversa da quella che investì secoli dopo Castel Gandolfo.
Sulla facciata del palazzo di Castel Gandolfo sono riportate tre epigrafi, celebrative delle opere di altrettanti papi: nell’ordine cronologico, Paolo V, Urbano VIII ed Alessandro VII.
Dal Cortile delle udienze, lo Scalone d’onore conduce al piano nobile del palazzo. Le sale sono disposte secondo l’ordine gerarchico del cerimoniale vaticano, riprendendo lo schema della Seconda Loggia nel Palazzo Apostolico Vaticano. La prima sala infatti è il Salone degli Svizzeri, o dei Tedeschi, locale un tempo destinato al corpo di guardia (analogamente al più vasto Salone dei Corazzieri del Palazzo del Quirinale). Fino ai restauri di Pio XI negli anni ’30 del Novecento la stanza era divisa a metà da quattro colonne, e sul pavimento originario erano visibili graffiti e scritte lasciate dalle alabarde delle Guardie Svizzere. Oggi la sala è decorata da un altorilievo con la “Deposizione dalla Croce” e con una Madonna settecentesca di Domenico Corvi.
Seguono la Sala dei Palafrenieri, che ospita i Sediari pontifici e quella delle Guardie Nobili, contenenti ricordi della presenza di Pio IX. La seguente Sala dei Pontefici ospita copie di quadri di alcuni Pontefici del Novecento. Il successivo salottino Verde veniva utilizzato come sala di attesa per gli accompagnatori degli illustri ospiti, durante l’udienza nella Sala del Trono. Seguono il salottino dell’Orologio e la Sala del Trono dove accedeva l’ospite che doveva colloquiare col Pontefice. Attraverso la Galleria della Musica si arriva alla Sala del Partecipante da dove è possibile vedere l’interno della piccola preziosa Cappella di Palazzo, restaurata e consacrata da papa Clemente XIII nel 1759. Indi è la volta della la Sala del Concistoro, fatta decorare da Pio IX con tappezzeria damascata e pavimenti di marmi policromi: oggi ospita due arazzi della celebre manifattura Gobelin di Bruxelles raffiguranti la fuga della Sacra Famiglia in Egitto; in questa sala, ad esempio, nel Concistoro del 29 ottobre del 1953 papa Pio XII Pacelli impose il galero rosso a cinque cardinali, tra i quali c’era anche Angelo Roncalli, poi divenuto papa Giovanni XXIII. Successivamente vi è la Biblioteca del santo Padre che è anche l’accesso alla zona più riservata dell’Appartamento Pontificio. Sulla scrivania è visibile l’Atlas Hierarchicus, ossia il volume che contiene la descrizione geografica e statistica della Chiesa Universale. Segue lo Studiolo, l’Ufficio del Segretario Particolare e quello del Segretario Aggiunto per arrivare all’appartamento privato del papa: la Camera da letto. E’ senza dubbio il luogo più riservato di tutto il Palazzo Apostolico e confina direttamente con una cappella privata realizzata su volere di Pio XI. La cappella ha sul suo altare una riproduzione del quadro della Madonna di Czestochowa, donata a Pio XI dai vescovi polacchi perché tra il 1918 e il 1921 egli era stato in Polonia, prima come visitatore e poi come nunzio apostolico, vivendo in prima persona sia la Rivoluzione d’Ottobre che i primi tentativi di invasione bolscevica. Le pareti della Cappella sono state affrescate dal pittore Rosen di Leopoli con due fatti di storia antica e recente della Polonia Cattolica: da una parte la resistenza di Czestochowa nel 1655 contro gli svedesi protestanti di Gustavo Adolfo e dall’altra la vittoria di Varsavia contro i bolscevichi del 15 agosto 1920.
Conclude la descrizione del Palazzo Pontificio la Galleria di Alessandro VII, splendidamente decorata nel Settecento con vedute e paesaggi dipinti a guazzo da Pier Leone Ghezzi. Dalle sue finestre è possibile ammirare il bellissimo paesaggio digradante fino al mare.