Vedi Napoli e poi ci ritorni

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In uno splendido sabato di sole scegliamo Napoli come meta rigenerante per concederci una breve gita fuori dal quotidiano. Si parte dalla stazione Termini di Roma con biglietti business class Frecciarossa a soli 22 euro, acquistati qualche giorno prima. Dopo appena un’ora e 10 minuti siamo nella stazione centrale di Napoli dove con un biglietto metro di un euro saliamo sulla metropolitana in direzione Toledo. Sorprendente vedere una stazione metropolitana così bella, curata e pulita.

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Ci stupisce inoltre notare che ogni stazione è stata curata da artisti contemporanei: è stato scelto un tema e sono stati utilizzati materiali e spazi per valorizzarne i contenuti e l’impatto. Un complesso artistico-funzionale, composto da fermate della metropolitana che accolgono circa duecento opere d’arte realizzate da più di novanta autori di fama internazionale e da alcuni giovani architetti locali.

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La metropolitana di Napoli, realizzata a cavallo del nuovo millennio, è un trionfo dell’arte e dell’architettura internazionale e, giustamente, viene celebrata in tutto il mondo. Le stazioni della Metropolitana “Toledo”, “Università” e “Dante” sono musei unici perché i passeggeri in transito diventano veri e propri visitatori a loro insaputa.

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Toledo è una stazione della linea 1 della metropolitana di Napoli ubicata nel quartiere San Giuseppe, nell’omonima via Toledo. Secondo il quotidiano inglese “The Daily Telegraph” è la stazione della metropolitana più impressionante d’Europa, vincitrice di questo speciale classifica. Inaugurata nel 2012, è stata progettata dall’archistar spagnolo Óscar Tusquets Blanca.

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La stazione Toledo nel 2015 è stata premiata oltre che per le opere anche dall'”International Tunnelling Association” per la categoria “Uso innovativo degli spazi” aggiudicandosi il primo premio, superando Sydney e Gerusalemme. La fermata Università è stata invece realizzata su progetto dell’architetto anglo-egiziano Karim Rashid, con forme fluide e colori fluorescenti che sono la sua nota caratteristica. Disegnata dall’architetto Gae Aulenti nel 1999, la stazione Dante è stata inaugurata il 27 marzo 2002 dall’allora Presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

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Proseguendo lungo via Toledo ci imbattiamo nella bella chiesa di Santa Maria delle Anime del purgatorio dal cui sagrato rialzato è possibile avere una bella vista sul quartiere di San Lorenzo e San Gregorio Armeno.

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Proprio a ridosso di tale chiesa c’è l’ingresso della “Napoli Sotterranea”; decidiamo di entrare – 9 euro il costo del biglietto – e per un’ora e mezza con visita guidata ci viene mostrata una parte dei sotterranei. Si tratta di un reticolato di gallerie e cisterne, di cunicoli e cavità scavate nel tufo che si estendono sotto tutto il centro storico, utilizzate nel corso dei secoli, in diversi modi. Nate in seguito all’estrazione di tufo per la costruzione della città, sono state poi adibite ad acquedotto e come rifugio ai tempi della Seconda Guerra Mondiale ed infine come discarica negli anni del dopoguerra.

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Oggi “Napoli Sotterranea” è stata recuperata al suo splendore e vale veramente la pena visitarla per sentirsi raccontare storie e leggende tra le quali quella dei “munacielli”; spiriti benevoli o maligni che si occupavano più della padrona di casa che della rete idrica, ed usavano le vie sotterranee che conoscevano bene, per sparire o apparire, sotto il mantello da lavoro che, nella penombra, somigliava appunto al saio di un monaco.

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Un’ala della Napoli Sotterranea che merita menzione speciale è il luogo dov’è posta una enorme “piscina”, adornata nei lati da reperti e manufatti in terracotta. Per raggiungerla bisogna munirsi di una bugia con candela e intrufolarsi tra gli ancora più stretti cunicoli (appena 50 cm di larghezza) e incamminarsi per 150 metri di curve, discese, piccole rampe. Un cammino attraversato da finestrelle dalle quali è possibile scorgere piccoli corsi d’acqua fiocamente illuminati da luci lontane.

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Ancora un’altra cisterna ci riporta le antiche usanze di un convento (di clausura fino al 1952): si tratta dell’ipogeo del convento di San Gregorio Armeno, in cui le monache erano solite distillare il famoso vino “tufello”, chiamato così per la tipologia della grotta in cui esse si trovavano. Un vino dedicato a Santa Patrizia, che si dice sciolga il sangue come San Gennaro, ma ogni martedì, e lo trasformasse in tufello.

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Le monache scendevano per una scala a pianta quadrata, di notte. E pettegolezzi del luogo narrano che da una scala affine scendevano anche i monaci. Così rallegrati dal vino lì messo a invecchiare, monaci e monache amoreggiavano, al sicuro nel sottosuolo.

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Prima però di terminare la visita la guida ci fa entrare in un “basso” napoletano (piccola abitazione caratteristica di Napoli situata al piano terra e composta in genere da un solo vano), ora di proprietà delle belle arti, perché qui si è scoperto che attraverso una botola, nascosta sotto il letto, si accedeva ad un rifugio sotterraneo, utilizzato dalla famiglia che questo basso lo abitava, che altro non era che un antico anfiteatro greco-romano utilizzato persino dall’imperatore romano Nerone. Sono ora visibili parti delle antiche mura.

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Scendere una rampa di ben 121 scalini fino a 40 metri sotto terra a visitare queste gallerie significa tornare indietro nella storia, in un viaggio che percorre oltre 2400 anni, dai primi scavi che propongono un viaggio alla fine dell’era preistorica, per passare poi attraverso l’epoca greca, per arrivare, infine, a quella contemporanea. Nel corso dei secoli, infatti, queste gallerie sono state usate in diversi modi. I Greci, ad esempio, le scavarono per estrarre il tufo per la costruzione della città Neapolis. Gli scavi continuarono con i Romani che costruirono in epoca augustea un grandioso acquedotto e gallerie viarie. Agli inizi del 1900 si cessò di scavare nel sottosuolo per l’approvvigionamento idrico e la rete di cunicoli e cisterne di oltre 2 milioni di mq venne abbandonata. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e i conseguenti bombardamenti, le gallerie furono usate come rifugio antiaereo per la popolazione. Le cavità furono illuminate e sistemate per accogliere i napoletani che al suono della sirena si affrettavano a scendere per le scale che portavano in profondità.

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Attualmente parte di queste cavità non sono più raggiungibili perché ostruite da detriti scaricati abusivamente da pozzi che collegavano strade e palazzi al sottosuolo. Per fortuna il lavoro di volontari e associazioni ha riportato “alla luce” una parte di questi percorsi, offrendo la possibilità di visite guidate.

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“Napule tre cose tene e belle: ‘o mare, ‘o Vesuvio, e ‘e sfugliatelle”, così recita un antico detto napoletano che celebra la sfogliatella, l’icona dell’antica arte pasticcera partenopea. Quindi, tappa fissa prima di riprendere il treno per il ritorno è assolutamente fare il pieno di sfogliatelle.

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E dove se non dai “Fratelli Attanasio”; a Napoli sembra che li conoscano tutti. E’ una pasticceria, molto rustica nell’aspetto, sita nella strada della sfogliatella, al secolo in Vico Ferrovia al civico 1 (adiacenze Stazione Centrale). E’ un locale stretto e lungo lo si identifica grazie alla coda pressoché continua di avventori in entrata e in uscita.

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Quando ho visto quelle sfogliatelle uscire dal forno calde calde non avrei mai potuto immaginare la goduria del palato che avrei da lì a poco provato. Sia la riccia che la frolla sono favolose. Non si è potuto fare a meno di portarne anche una piccola scorta a casa.

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Ahh chi è che diceva “Vedi Napoli e puoi muori”?? Non lo so però io direi “Vedi Napoli e ci ritorni!!”.

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