Ascoltando…una cicala


Nella solitudine, nel silenzio, nel caldo che costringe a stare in casa…il suono delle cicale si alza. L’estate sta finendo…e mi viene in mente la favola della cicala e la formica.
Insetto sacro agli antichi, simbolo della vita e del perpetuarsi del tempo, per i cristiani è simbolo di resurrezione. Da prima di Omero fino al nostro Rodari è piaciuta a tutti, tranne a Esopo: cosa gli avrà fatto, povera cicala?

Delle cicale – Cicale, cicale, cicale – Della formica invece non ci cale mica…Per cui la quale, cicale cicale cicale. Così cantava e ballava 40 anni fa Heather Parisi, sorriso smagliante e gambe lanciate al cielo. La canzone si intitola, per l’appunto, Cicale: un manifesto di quegli anni ’80 in cerca di allegria e disimpegno. Già la prima strofa avverte che, “mentre della formica non ci cale mica”, delle cicale oh sì che ci cale, cioè ci importa…e parecchio. Anche per via della leggenda che le dipinge come sfaticate individualiste, per niente previdenti, con nessuna voglia di lavorare, solo di cantare.

Cicala maschio, la prima che riesco a vedere da vicino, canta per attrarre le femmine…(cliccare qui)

Estate, tempo di giornate afose da godersi magari sdraiati su un’amaca all’ombra di un albero, con la pennichella suggellata dal frinire delle cicale e, proprio mentre le palpebre si fanno più pesanti e la testa comincia a scivolare nel tiepido abbraccio di Morfeo, intravediamo una strana creatura insettiforme, di colore beige, intenta a scalare proprio l’albero al quale è attaccata la nostra amaca!
L’involucro in questione, piuttosto facile da osservare in questo periodo, è una esuvia (o involucro ninfale) di cicala. Spesso ai piedi o in prossimità dell’albero in questione, in corrispondenza dell’esuvia, è possibile trovare un piccolo foro nel terreno di circa un centimetro di diametro: da lì la ninfa è uscita una volta pronta per terminare la propria vita sotterranea ed iniziare quella “volatile”.

La cicala che imprudente tutta estate al sol cantò, provveduta di niente nell’inverno si trovò, senza più un granello e senza una mosca in la credenza“…recita una celebre favola. La responsabilità per questo pregiudizio è dello scrittore greco antico Esopo e della sua favola La cicala e la formica, che racconta la cicala come incapace di impegnarsi per affrontare i momenti difficili.
Ma le cose nella realtà son bene diverse: Jean-Henry Casimir Fabre, naturalista francese fra i primi al mondo a occuparsi di entomologia, la scienza che si occupa degli insetti, ricostruisce appassionatamente il ciclo di vita dell’insetto canterino e mostra che in realtà è la formica a vivere alle spalle della povera cicala che, durante l’estate, grazie al sottilissimo rostro di cui è fornita, può raggiungere la linfa che scorre sotto la corteccia degli alberi e dissetarsi tranquilla. Sono le formiche a raccogliersi intorno a implorare qualche goccia d’acqua, e sono sempre le formiche a fare banchetti con le carcasse delle cicale morte a fine estate. Insomma le parassite non sono proprio le cicale ma le formiche.
Fabre era un “osservatore inimitabile” (parole di Charles Darwin del quale non accettò le teorie evoluzionistiche).
Fabre amava sviluppare le sue teorie proprio osservando attentamente la natura “Voi sventrate gli Animali e io li studio vivi. Voi ne fate oggetto di orrore ed io li faccio amare. Voi lavorate in un laboratorio di torture ed io osservo sotto il cielo azzurro al canto dei grilli e delle cicale. Voi sottomettete ai reattivi il protoplasma e le cellule ed io studio l’istinto in tutte le sue manifestazioni. Voi scrutate la morte ed io analizzo la vita. Se io scrivo per gli scienziati e per i filosofi, che un giorno tenteranno di dipanare l’arduo problema dell’istinto, scrivo anche per i giovani ai quali desidero di far amare questa storia naturale che Voi riuscite solo a far odiare”.

Fin dall’antichità le cicale, a milioni si permettono di “disturbare” cantando sugli alberi, sempre che il loro frinire si possa chiamare canto. Quello che colpisce di più nelle cicale è proprio la comunicazione acustica, quel frinire che è caratteristico di pochi gruppi di insetti. Tecnicamente si chiama “stridulazione”. Il suono non viene prodotto per fonazione attraverso il sistema respiratorio, bensì mettendo in vibrazione parti dell’esoscheletro, cioè lo scheletro esterno. Per dirla schematicamente, le cicale, e solo i maschi, fanno vibrare delle membrane elastiche sull’addome. Ogni specie ha il suo suono, riconoscibile in mezzo a tutti gli altri.

Dopo il primo, ecco il secondo ritmo, poi il terzo, il decimo, il millesimo! E’ il ritmo delle cicale, che danno vita ad un vero e proprio concerto! E’ il Rock’n’roll estivo della campagna, una musica che ti risolleva l’anima, te la avvolge e ti rapisce! Come le note di una band di musicisti che suonano col cuore, la melodia si diffonde nello spazio e ti fa perdere la concezione del tempo.

Le specie di cicale nel mondo sono circa 3.000. Fra le 20 e le 30 vivono in Italia. Ciascuna con il suo canto, che è un puro richiamo sessuale. Serve al maschio per attirare le femmine. Nell’ottica della formica, la cicala non fa nulla di impegnativo, certo. Ma sentite la storia dell’effimera cicala.

La cicala adulta vive un mese, massimo un mese e mezzo. In pratica, il maschio non fa altro che cantare e la femmina non fa altro che mangiare. Poi si accoppiano, si riproducono e muoiono. La funzione dell’adulto è quella di completare il ciclo riproduttivo. La vera vita degli insetti è quella delle età giovanili. E per le cicale tutte quelle vite, con i vari cambi di muta, si svolgono sottoterra.

Vivono per un mese sugli alberi e cantano come se non ci fosse un domani. Infatti, non c’è. Si sfogano per una manciata di settimane d’estate dopo anni passati sottoterra. A fine stagione le uova deposte su cespugli o arbusti si schiudono. Fuoriescono delle ninfe, così si chiamano, che si lasciano cadere sul terreno e subito scavano fino a raggiungere le radici di qualche pianta. Le perforano con il rostro e ne succhiano la linfa.

Tutta la loro vita, attraverso sette, otto mute, si svolge fra le radici degli alberi, non fra le fronde. Crescono in silenzio. A 20, 50, a volte 70 centimetri sottoterra. Le specie europee vivono anche 6-7 sette anni. La cicala più diffusa in Italia è la Cicada orni (nome comune “cicala del frassino”), con un ciclo vitale che va dai 2 ai 4 anni. Mentre alcune specie americane hanno cicli di 13 o 17 anni, come appunto le Magicicada septendecim, che colpiscono per i loro picchi demografici impressionanti.

Anni sottoterra, succhiando linfa dalle radici senza rovinare gli alberi. Poi, risalgono in superficie, si arrampicano su un filo d’erba, compiono l’ultima muta e volano in cima a un albero. Ne hanno passati, di anni, a impegnarsi, a prepararsi per il futuro. Al buio. Poi, finalmente arrivano a cantare. Per passione. Passione d’amore.

Il loro unico e ultimo canto libero. E allora aveva ragione Gianni Rodari, pedagogista e scrittore non solo per l’infanzia: “Chiedo scusa alla favola antica/ se non mi piace l’avara formica/ io sto dalla parte della cicala/ che il più bel canto non vende… regala!.

Quand’ecco da tutti
gli alberi un suono s’accorda,
un sibilo lungo che assorda,
che solo è così: le cicale.
Umberto Saba, Meriggio d’estate

È vero che le cicale cantano, ma è un canto che viene da un altro mondo, è lo stridore dell’invisibile sega che sta tagliando le fondamenta di questo. Saramago


La dieta del futuro: cicale in pastella e cavallette à la carte

Le cicale non amano spostarsi. Rimangono sugli alberi e si alimentano di linfa. Ma fanno arrivare molto lontano la loro “musica”.

Ebbene la cicala, l’esemplare maschio, emette questo suono nella stagione degli amori per attirare la femmina ed è dotato di organi preposti ad emetterlo, i timballi, (non quelli di pasta), delle membrane vibranti poste alla base dell’addome. I suoni variano notevolmente e alcune specie sono più musicali di altre. I richiami sono diversi a seconda che debbano lanciare un allarme o attrarre potenziali partner.
Per alcuni il loro canto risulta stridulo, sgraziato, irridente, ossessivo. Per altri è stordimento ed ebrezza dei sensi, epica estiva.

Il canto delle cicale fin dall’antichità è stato descritto e narrato. Per gli antichi Greci e Romani erano simbolo di purezza. Si riteneva che le cicale si nutrissero di sola rugiada, di qui l’idea della purezza, non avendo nè sangue nè emettendo escrementi, impuri. Ma in realtà le cicale si cibano della linfa degli alberi, grazie ad un apparato boccale di tipo pungitore-succhiatore, perciò per lo più sono degli insetti assolutamente innocui. A meno che in poco terreno ci siano degli sciami davvero enormi. Gli antichi cinesi, invece, consideravano questi insetti un potente simbolo di rinascita.

Secondo un mito tramandatoci dal Fedro di Platone, le cicale erano originariamente uomini che la passione per il canto induceva a dimenticare qualsiasi altra attività, incluso il nutrirsi, destinandoli dunque a morte prematura. Fu così che le Muse diedero loro il privilegio di essere trasformati in cicale che avrebbero cantato tutta la vita senza dedicarsi ad altro.

A volte però alla cicala venivano attribuiti anche significati negativi come l’imprevidenza, basti ricordare la favola di Esopo della “Cicala e la Formica” in cui la cicala cantava tutta l’estate senza immagazzinare cibo per l’inverno. Ai primi freddi doveva chiedere aiuto alla previdente formica. Che le rispondeva che visto che non aveva provveduto al cibo cantando tutta l’estate, ora si mettesse a ballare per non sentire più il freddo.
Le cicale appartengono all’ordine degli Omotteri e fisicamente sono contraddistinte dal corpo robusto, dalla testa larga, dalle ali di membrana trasparente. Ha antenne molto corte e 3 occhi primitivi, detti ocelli.

Sono di colore marrone scuro o verde e hanno una lunghezza variabile tra 2,3 e 5,6 cm.
I maschi portano sotto l’addome un organo stridulatore, mentre le femmine emettono un suono secco con le ali, simile allo schioccare delle dita (non facile da udire come nel maschio): esso permette al maschio di individuarle. “Frinire” è il verbo con cui si indica il suono caratteristico emesso dalle cicale.
L’apparato sonoro è costituito da lamine (timballi) tese da tendini che le collegano a muscoli, sui lati dell’addome; per produrre il suono l’insetto fa vibrare le lamine e camere d’aria provvedono alla risonanza. Non si tratta quindi di un suono prodotto da sfregamenti di parti del corpo. Questo canto ha funzione di richiamo sessuale per le femmine; quando queste raggiungono il maschio, ha luogo il corteggiamento e poi l’accoppiamento che dura diversi minuti, durante i quali i due insetti rimangono attaccati.

Dopo circa 24 ore la femmina depone le uova su ramoscelli o sterpi. Le larve, appena nate, danno inizio alla loro vita sotterranea o ipogea che può durare anche qualche anno (in una specie arriva a 17 anni). Giunti alla maturità, i giovani individui (già molto simili agli adulti, ma privi di ali, con due zampe anteriori adatte allo scavo del terreno) escono dal suolo e cercano un albero dove arrampicarsi ed effettuare la muta. Lasciano definitivamente l’involucro ninfale e, dopo qualche ora, sono pronte per il primo volo. Dapprima verde-azzurro, dopo qualche ora l’insetto assume la livrea marrone definitiva. La cicala si nutre della linfa degli alberi e a tal scopo possiede una proboscide; ha la testa tozza, con tre ocelli e due occhi composti, con vista eccellente. I predatori della cicala sono prevalentemente gli uccelli; nella vita ipogea le talpe.

Il periodo in cui risuona il canto delle cicale è l’estate. Alla cicala australiana spetta il titolo della più rumorosa, visto che riesce a emettere ben 100 decibel alla frequenza di 4,3 kHz; dato che le femmine sono tutt’altro che sorde, e riescono a percepire suoni al di sopra dei 30 decibel, varie altre spiegazioni sono state addotte per giustificare questi suoni: è possibile che la femmina scelga il maschio in base anche alla intensità del suono, oppure che lo scopo sia quello di spaventare o stordire gli eventuali predatori, o invece che il territorio da coprire sia in effetti molto ampio. I due muscoli che con la loro contrazione iniziano la catena di eventi che produce l’impulso acustico, realizzano un suono avente una modulazione di 240 Hz. L’energia elastica rilasciata durante questi movimenti genera uno schiocco acustico, ma data la rapidità dei movimenti, lo schiocco si accoda ad un trenino di vibrazioni caratterizzate da una frequenza di 4,3 kHz. Lo schiocco realizza pressioni notevolissime, sfiorando i 160 decibel. La regione addominale, abitualmente, contiene una sacca aerea, oltre ad una coppia di timpani che fungono da casse armoniche, che collegano la sacca con l’esterno e riescono ad amplificare il suono di circa 20 volte. L’apparato addominale è adibito a correggere il sistema acustico per ottimizzare la qualità del suono.

Per gli antichi Greci, le cicale erano figlie della Terra o, secondo alcuni, di Titone e di Aurora. Specialmente gli ateniesi le onoravano: Aristofane rammenta le cicale d’oro, ornamento per i capelli degli Ateniesi nobili all’epoca arcaica e nella celebrazione dei Misteri eleusini in onore di Demetra, era uso portare nei capelli una fibula a forma di cicala, così come durante la celebrazione dei misteri di Era a Samos. Platone, nel dialogo Fedro, espone il mito delle cicale, secondo cui esse sarebbero nate, per mano divina, dalla metamorfosi di antichi artisti, specie nel campo musicale e dell’eloquenza, che avevano smesso di mangiare e accoppiarsi per amore della propria disciplina. Secondo Orapollo la cicala simboleggiava l’iniziazione ai misteri, poiché essa, anziché cantare con la bocca come tutti, emette suoni dalla coda. La cicala era anche simbolo di purezza: seguendo un’errata credenza ripresa da Plinio il Vecchio si riteneva che le cicale si nutrissero di sola rugiada e ciò faceva sì che il loro corpo non contenesse sangue e non dovessero espellere escrementi, e di qui l’idea della purezza. Il fatto poi che la cicala viva una sola estate ma le sue larve rinascano in quella successiva direttamente dalla terra ne ha fatto l’emblema di una resurrezione a nuova vita dopo la morte persino presso i cinesi.

Tra i poeti contemporanei, Giosuè Carducci ha elogiato questi insetti ne “Le risorse di San Miniato” e scherzosamente rimprovera Virgilio e Ludovico Ariosto per averle definite querule e noiose.

Ma la cicala ha anche una fama negativa, quella di vivere alla giornata cantando senza preoccuparsi del domani, assurgendo così a simbolo dell’imprevidenza. Esopo, nella sua notissima favola La cicala e la formica, narra che la cicala si fosse dilettata tutta l’estate a cantare senza preoccuparsi di provvedere ad immagazzinare cibo per l’inverno. Giunta la cattiva stagione, essa si rivolse alla previdente formica chiedendole aiuto: questa le chiese, di rimando, cosa avesse fatto tutta l’estate non avendo provveduto al cibo, al che la cicala rispose di aver sempre cantato; la formica, allora, replicò: «Allora adesso balla!». Scena tratta dal film “I lunedi al sole” di Fernando León de Aranoa con Javier Bardem.

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