Armenia. Il Popolo dell’Arca
Nell’anno del centenario del tragico genocidio degli armeni una mostra nel Salone Centrale del complesso del Vittoriano a Roma espone tesori e memorie del “popolo dell’Arca” fino al 3 maggio 2015.
L’Armenia è una terra misteriosa, dimenticata. Quasi da fantascienza. Ha una capitale che si chiama Yerevan, delle chiese bellissime in mezzo a colline metafisiche. E ha una popolazione in gran parte lontana da lì, perduta nel mondo. Tre milioni di armeni in Canada, Egitto, Stati Uniti, Francia. E pochi nella loro terra. Alcuni degli armeni della diaspora sono Atom Egoyan, regista amatissimo a Cannes, Charles Aznavour, Sylvie Vartan, von Karajan e il calciatore Boghossian.
L’Armenia è un paese montuoso del Caucaso, fra l’Europa e l’Asia, di piccole dimensioni (più o meno grande come il Belgio), che vanta una delle più floride culture del mondo antico e una storia affascinante ma al tempo stesso tragica. E’ sufficiente ricordare tre momenti. Il popolo armeno, fiero e colto, si formò nel VII secolo avanti Cristo alle pendici del Monte Sararad, sulla cui cima, secondo la tradizione biblica, si arenò l’Arca di Noè sfuggita al diluvio. L’Armenia , nel 301, fu il primo paese al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di Stato.
Ed è proprio da questa capacità di leggere la propria storia di nazione geograficamente destinata ad essere cerniera e punto di contatto tra culture con tradizioni e religioni diverse attraverso il prisma della fede cristiana che trae ispirazione questa mostra. Il forte senso identitario inscindibilmente connesso all’opzione cristiana fu il collante che mantenne il popolo unito anche nella dispersione.
Il popolo armeno ha sofferto il genocidio che cento anni fa, nel 1915, portò alla deportazione e all’annientamento degli armeni nell’Impero Ottomano. L’espressione genocidio armeno, talvolta olocausto degli armeni si riferisce a due eventi distinti ma legati fra loro: il primo è relativo alla campagna contro gli armeni condotta dal sultano ottomano Abdul-Hamid II negli anni 1894-1896; il secondo è collegato alla deportazione ed eliminazione di armeni negli anni 1915-1916. Il termine “genocidio” è associato soprattutto al secondo episodio, che viene commemorato dagli armeni il 24 aprile. Sabato 24 aprile 1915 i gendarmi turchi compiono una retata contro la borghesia armena di città. Spariscono secondo alcuni circa 2.000 persone. Un decreto “Evacuazione necessaria dalle zone di guerra” da il via a sei mesi di genocidi. Gli armeni vengono invitati a lasciare le loro case con destinazione provvisoria deserto arabo siriano. E’ una marcia della morte, una battaglia per restare in vita, contro il caldo, la sete e gli attacchi di regolari e non. In pochissimi arriveranno a destinazione.
Le testimonianze custodite nell’Archivio Segreto Vaticano descrivono nei minimi particolari le “procedure di tortura che usavano i turchi verso gli armeni”. Ad esempio, ci sono testimonianze di come i soldati della Sublime Porta scommettessero “sul sesso dei feti nei ventri delle donne incinte, prima di squartarli e con la stessa lama uccidere anche i bambini”.
Il popolo armeno è un’etnia d’origine caucasica appartenente ad una chiesa cristiana, scismatica sia nei confronti di quella cattolica che di quella ortodossa. Viveva in parte, all’epoca dei fatti, in sei province turche al confine russo e in Cilicia e contava circa due milioni di persone. Gli armeni più colti e industriosi (alta borghesia) vivevano in città della costa sull’Egeo come Smirne e Costantinopoli. Gli armeni in genere sono contadini, non sono maggioritari nelle loro province e sono costretti a dividerle coi Curdi che sono pastori e che non amano quindi i contadini coi loro steccati. Ruggine di sempre. All’epoca del censimento del 1927 dopo la “mattanza”, gli armeni rimasti saranno 123.000!
Per i mussulmani gli armeni, come le altre confessioni discendenti da Abramo, sono infedeli protetti perché gente del Libro (Bibbia). La protezione mussulmana naturalmente costa (tasse aggiuntive), ed è carica di divieti per questa comunità considerata più fedele delle altre.
L’esposizione, si articola in sette sezioni ricche di reperti archeologici, codici miniati, capitelli, modellini di chiese in pietra, opere d’arte, illustrazioni e documenti provenienti da istituzioni armene e italiane. Si possono ammirare, fra l’altro, antiche croci in pietra o tempestate di pietre preziose, codici miniati conservati nella Biblioteca del monastero armeno di san Lazzaro a Venezia, arredi sacri come una bellissima tenda liturgica del 1689.
Echi italiani del genocidio e della questione armena.
Sul fronte cattolico ci sono le pressioni di Benedetto XV per la creazione di un’Armenia indipendente che trovano voce in un uomo politico cattolico come Filippo Meda, Ministro delle Finanze (1916-17) e del Tesoro (1920-21), che, in un pamphlet dal titolo “La questione armena”, denuncia le atrocità subite dagli armeni in Anatolia.
Sul fronte laico, lo statista di origine ebraiche Luigi Luzzatti, già Presidente del Consiglio dei Ministri nel giugno 1918 è tra i fondatori del “Comitato italiano per l’indipendenza dell’Armenia” che riunisce una ventina, tra senatori, deputati, professori universitari e pubblicisti, determinati a sostenere la causa armena.
Un altro intellettuale destinato a fama mondiale, che nei suoi scritti giovanili si occupa degli armeni è Antonio Gramsci che nel marzo 1916 denuncia l’indifferenza delle potenze europee di fronte a “le stragi armene (…) che non riuscivano a creare dei fantasmi, delle immagini vive di uomini di carne ed ossa”. Perché, sempre a detta di Gramsci, fondamentale per un popolo è l’essere conosciuti: non esserlo vuol dire rimanere isolati, “significa il lento dissolvimento, l’annientarsi progressivo di ogni vincolo internazionale, l’abbandono a se stessi inermi e miseri di fronte a chi non ha altra ragione che la spada”.
Il centenario del genocidio sarà commemorato il 24 aprile. In memoria di quel tragico evento papa Francesco celebrerà una messa in San Pietro la mattina del 12 aprile.
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