Visita alla Grande Moschea di Roma
La mattina di sabato 1° febbraio 2014 alla moschea di Roma, sede del Centro islamico culturale d’Italia. La moschea sorge su un terreno di tre ettari e può ospitare fino a 12 mila fedeli, nella zona nord della città, vicino all’Acqua Acetosa (confina con gli impianti sportivi omonimi) ed è lontana dalle abitazioni, poco distante dal quartiere dei Parioli, alle pendici del Monte Antenne.
La moschea fu voluta e finanziata dal re Faysal dell’Arabia Saudita, capostipite della famiglia reale saudita, nonché Custode delle Due Sante Moschee, ossia di Mecca e Medina. Il progetto fu affidato a Paolo Portoghesi che si affiancò a Vittorio Gigliotti, Sami Mousawi e Nino Tozzo.
Come si legge nell’epigrafe esterna, la sua costruzione ha richiesto più di vent’anni: la donazione del terreno fu deliberata dal Consiglio Comunale romano nel 1974, ma la prima pietra fu posta dieci anni dopo, nel 1984 (anno 1362 dell’Egira), alla presenza dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, e l’inaugurazione avvenne il 21 giugno 1995, giorno del solstizio d’estate.
Fu una progettazione difficile, che ha dovuto adattare l’edificio nascente alla tradizione architettonica italiana e soprattutto che non avrebbe mai dovuto superare per sontuosità i luoghi di culto della Roma cristiana. L’altezza del minareto fu infatti un problema: per nulla al mondo avrebbe potuto superare l’altezza della cupola di san Pietro. Il minareto della moschea di Roma è l’unico al mondo a non avere altoparlanti, da quella torre nessuna voce invita i fedeli alla preghiera.
E infatti, avvicinandosi al luogo di culto, si respira solo un grande silenzio. Il verde dei boschi intorno, il colore chiaro dei mattoni, il bianco del travertino che riveste l’edificio, e il grigio della cupola di piombo: questi i colori.
Superato il cancello, un grande spazio accoglie chi entra. Le palme offrono un po’ di ombra e poi una scalinata conduce a un corridoio di colonne a calice in cui la luce del sole che penetra dai fori del muro di travertino disegna figure sul pavimento. Si arriva presso un atrio coperto, e una porta lascia entrare nel luogo di preghiera. Ma non ci si può sbagliare: per le donne arriva il momento di coprirsi il capo, e per tutti di lasciare le scarpe fuori. Si entra nel cuore della moschea (cliccare qui).
Superato l’ingresso, colpisce subito la pianta dell’intero edificio che nasce e si sviluppa dal matrimonio di due figure geometriche fortemente simboliche: il quadrato e il cerchio. Il primo rappresenta la terra con i suoi punti cardinali (l’Est e l’Ovest, dove sorge e tramonta il sole; il Sud e il Nord, punto di maggiore e minore di luce), mentre il secondo simboleggia il cielo e quindi tutta la sfera del divino.
Il pavimento è interamente ricoperto da tappeti con arabeschi di colore blu.
La volta è rappresentata da sedici cupole minori che assieme a quella centrale hanno lo scopo di suggerire l’immagine cosmica del cielo e, per di più, ognuna è formata da sette cerchi concentrici che simboleggiano i sette cieli citati dal Corano.
Questa è una soluzione architettonica tipica del mondo arabo, ma che, ritroviamo a Roma in costruzioni come il Pantheon o la Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza che l’architetto Paolo Portoghesi ha cercato quale dialogo tra occidente ed oriente.
La volta è sorretta da una oasi di colonne a calice che si slanciano nel “cielo” in un trionfo di linee forza che si rincorrono e intrecciano sorprendentemente a creare un “velo” arabescato che s’impregna di luce; lo stesso gioco di linee ed intrecci che ritroviamo nella volta della cappella dei Re Magi , una chiesa di Roma dedicata a Cristo adorato dai Re Magi (si trova all’interno del Palazzo di Propaganda Fide ed è opera di Francesco Borromini).
La forma delle colonne e dei pilastri polistili, ottenuti dall’unione di quattro unità a sezione quadrata, prendono spunto da due immagini fortemente islamiche: le mani congiunte in preghiera e la palma albero sacro dell’Islam. A metà della loro altezza diparte verso l’alto, dal centro delle quattro unità, una quinta colonna che rappresenta la fede, l’anelito verso Dio. Anche qui il simbolismo rappresenta i cinque pilastri dell’Islam, l’espressione usata per indicare i cinque obblighi fondamentali che il musulmano devoto è tenuto a osservare, e che sono: la testimonianza di fede; le preghiere rituali; l’elemosina canonica; ll digiuno durante il mese di Ramadan; ll pellegrinaggio a La Mecca almeno una volta nella vita per tutti quelli che siano in grado di affrontarlo.
Tutto intorno la grande sala di preghiera il colore dei mosaici marocchini – richiamante indubbiamente una foresta – fa un bell’effetto. Il blu si diffonde nella sala, mentre da fuori la luce entra filtrata. Lo spunto fondamentale per l’illuminazione della Moschea deriva dalla XXIV Sura del Corano detta appunto “Sura della luce” dove si descrive l’importanza della luce incidente e riflessa nella sala di preghiera simboleggiando il concetto di luce su luce. L’effetto mistico e misterioso che deriva dai vari intrecci di luce raggiunge il risultato desiderato. La condizione è ideale per il raccoglimento.
Ai lati dell’ingresso, due grandi scalinate in marmo travertino conducono a due soppalchi: come nelle antiche basiliche cristiane, nelle moschee le donne pregano in spazi separati (matronei). Nessuna immagine, nessun dipinto nella sala: l’Islam proibisce la riproduzione di immagini sacre.
I fedeli musulmani in preghiera si dispongono sempre rivolti verso la Mecca. In una moschea la direzione della Mecca (qibla) è rappresentata dal mihrab, una nicchia considerata sacra. Accanto al mihrab si erige il pulpito (minbar) di legno su cui sale l’imam a pronunciare il suo sermone (khutba).
Altro forte simbolismo nell’Islam è l’acqua, essendo un elemento prezioso nel deserto. Richiama simbolicamente la purificazione e il dono. All’interno della Moschea l’acqua segna la via di accesso con la fontana di marmo a cerchi concentrici e diciassette bocchette che ricordano i sassi gettati nello stagno che provocano per l’appunto cerchi concentrici. Mentre dalla sala di preghiera si accede ai bagni per le abluzioni: due bagni separati, per le donne e per gli uomini.
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