LETTERA ENCICLICA SPE SALVI DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO XVI

LETTERA ENCICLICA
SPE SALVI
DEL SOMMO PONTEFICE
BENEDETTO XVI
AI VESCOVI
AI PRESBITERI E AI DIACONI
ALLE PERSONE CONSACRATE
E A TUTTI I FEDELI LAICI
SULLA SPERANZA CRISTIANA

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Introduzione

1. « SPE SALVI facti sumus » – nella speranza siamo stati salvati, dice san Paolo ai Romani e anche a noi (Rm 8,24). La « redenzione », la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino. Ora, si impone immediatamente la domanda: ma di che genere è mai questa speranza per poter giustificare l’affermazione secondo cui a partire da essa, e semplicemente perché essa c’è, noi siamo redenti? E di quale tipo di certezza si tratta?

IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA ENCICLICA “SPE SALVI” DI PAPA BENEDETTO XVI: CLICCA QUI

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IL PAPA CHE RIFIUTA IL MONDO MODERNO

EUGENIO SCALFARI

L´annuncio che la seconda enciclica del Papa, dopo quella sull´amore e sulla “caritas”, sarebbe stata dedicata alla…. speranza aveva suscitato in me una viva aspettazione. Il cammino di Benedetto XVI verso la pienezza del suo magistero era stato fin qui piuttosto incerto, la sua decantata teologia soggetta a mutamenti a volte repentini, la sua vocazione pastorale crescente anche se non paragonabile a quella, tanto più drammaturgica e spettacolare, del suo predecessore.
Nei mesi più recenti era emersa una tonalità critica nei confronti della grande revisione conciliare e in un certo senso modernista del Vaticano II, dove dottori e pastori della Chiesa in vesti episcopali avevano aperto alla modernità, all´ecumenismo e perfino ai laici non credenti mettendosi in ascolto per trasmettere il messaggio evangelico e per conciliarlo con le risposte del pensiero laico, della morale laica e della razionalità.
Il Papa sembrava revocare in dubbio il messaggio conciliare e scavalcare a ritroso almeno due dei pontificati precedenti, quello di papa Roncalli e quello di papa Montini, tornando piuttosto alla Chiesa pacelliana e anche più indietro.
Sensazioni tuttavia, ancora incerte. Mitigate – debbo dirlo – dall´apprezzamento sincero dell´opera di Pietro Scoppola, manifestato da Ratzinger in persona in occasione della sua morte con parole inusitate di lode verso un cattolico la cui posizione nei confronti del mondo moderno era di tutt´altro segno di quella ormai prevalente nella Chiesa di Roma.
Perciò attendevo con interesse la seconda enciclica sperando che da essa si potessero trarre maggiori lumi sul pensiero di papa Ratzinger. Così infatti è stato. Anticipo qui il mio giudizio sul documento papale: Benedetto XVI ha voltato le spalle al Concilio Vaticano II.
Lo deduco da una lettura attenta del testo che del resto è estremamente chiaro.
Per certi cattolici il pensiero di un laico non credente può forse non avere rilievo alcuno o può esser tacciato di indebita interferenza. Respingo questa seconda obiezione: i non credenti sono stati da sempre “terra di missione” per la Chiesa; sarebbe dunque molto strano che gli si voglia chiuder la bocca quando essi parlano a chi vuol parlare con loro.
Quanto alla prima obiezione, quella dell´irrilevanza, essa ha un carattere soggettivo e non può esser presa in considerazione se non si munisca di argomenti forti ed espliciti in aperto contraddittorio. Anche i non credenti infatti hanno uno spazio pubblico, almeno altrettanto legittimo di quello reclamato e utilizzato amplissimamente dalla gerarchia ecclesiastica. Spazio pubblico significa discussione pubblica, rinvio di argomenti dagli uni agli altri, confronto paritario. Perciò facciamolo questo confronto. La “Spe Salvi” ce ne fornisce una buona occasione.
* * *
Prima osservazione. L´enciclica porta un sottotitolo che indica i destinatari del documento: «Ai vescovi ai presbiteri e ai diaconi e a tutti i fedeli laici sulla speranza cristiana».
E´ strano che un´enciclica elenchi fin dal titolo i suoi destinatari. Tra di essi non sono indicati i seguaci delle altre confessioni cristiane, per non parlare dei fedeli di altre religioni. Solo vescovi, sacerdoti, fedeli cattolici.
Eppure si parla della speranza. Quella parola dovrebbe comunicare la massima apertura verso tutti i punti cardinali dell´orizzonte spirituale. Il vertice della cattolicità si chiude invece in difesa? Parla soltanto a chi è già arruolato e a chi è già convinto? Dov´è lo spirito missionario? Seconda osservazione. Le argomentazioni del documento pontificio sono certamente interessanti e comprensibili dalla cultura europea, ma abbastanza estranee ai cattolici di continenti e culture più lontane, all´Africa, all´Asia, all´America Latina. Che Ratzinger fosse un Papa europeo lo si era capito subito. La “Spe Salvi” ce ne dà conferma.
Ecco un´altra prova del suo voltar le spalle al messaggio ecumenico del Vaticano II.
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Mi spiace dirlo di un Papa celebrato soprattutto per la sua finezza teologica ma la sua teologia, almeno per quanto riguarda il rapporto tra speranza-fede-certezza è in realtà una tautologia. Arbitraria e quindi non utilizzabile come prova di quanto l´autore vuole provare.
La speranza, dice papa Benedetto, contiene già la fede, la sostanza della fede è la certezza di ciò che la verità rivelata ci insegna. Perciò la speranza è già salvezza.
Questo passaggio costituisce il nucleo teologico della “Spe Salvi”. Del resto è lo stesso titolo dell´enciclica ad annunciarlo: sarete salvi a causa della speranza, sarete salvi perché sperate. Cento pagine conta l´enciclica, l´identificazione speranza – fede – verità rivelata – certezza – salvezza ne occupa più o meno la metà. Qui sta forse la sapienza teologica di papa Benedetto che ne dedica una cinquantina ad illustrare con citazioni argomentate, chiamando in causa di volta in volta Paolo e Agostino, Ambrogio e Bernardo di Chiaravalle, Massimo il Confessore, e l´edificante esperienza della schiava Bakhita, per suffragare le due parole del titolo: “Spe Salvi”, sperate e sarà vostro il regno dei cieli.
Si coglie, in questo modo di ragionare più induttivo che deduttivo, un riflesso dell´ontologia di Anselmo da Aosta. Era gran tempo che il ragionamento ontologico non aveva più molto spazio nella dottrina ecclesiale; la scolastica l´aveva spodestato. E in effetti l´ontologia contiene un rischio per l´architettura dottrinaria della Chiesa; l´ontologia si elabora nell´interno d´un pensiero che riflette su se stesso.
La Chiesa è molto cauta a muoversi su un terreno così rischioso.
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La Chiesa, la sua dottrina elaborata a dir poco dall´800 dopo Cristo, non ha in molta simpatia la privatezza individuale. Leggete ciò che dice questa enciclica quando parla della preghiera, concepita come mezzo di ascesa verso Dio.
Dice che la preghiera è uno strumento prezioso, che pregare Dio, Gesù Cristo, la Madonna, i Santi, i propri estinti, è un modo per elevare l´anima, crescere in amore e in dedizione di sé. Ciascuno, naturalmente, è libero di pregare a proprio modo, ma questa libertà ha un limite: la preghiera privata rischia di diventare sterile estaticità.
Bisogna dunque passare alla preghiera liturgica da praticare anche solitariamente ma meglio assai coralmente, nella propria comunità, nella propria chiesa, guidata dai propri sacerdoti.
Il richiamo comunitario si affaccia più volte nelle pagine del documento papale. E vi irrompe in modo decisivo quando si parla della salvezza e della vita eterna.
Pensare alla salvezza della singola anima, di quella specifica anima individuale, è un modo imperfetto e improprio di configurare la vita eterna.
Contiene in sé tracce di egoismo. La salvezza passa per l´amore verso gli altri e soprattutto verso Dio. Quindi non può riguardare solo se stessi, il mio io si salverà perché io spero che tutti si salvino. La salvezza quindi è un fatto comunitario guidato dalla sposa di Cristo, cioè dalla Chiesa. La salvezza privata non è un pensiero buono. Perché può prescindere dal Magistero?
* * *
Pagine importanti riguardano il Giudizio finale.
E´ chiaro che quello è un appuntamento essenziale nella dottrina e tanto più se la speranza è il principio di tutto. La speranza è sinonimo di buona vita ed anche di buona morte. Sinonimo di fede e di certezza. Di resurrezione dei corpi. Quindi di conservazione dell´individualità e della memoria di sé. Non ci si reincarna nel corpo d´un altro ma nel proprio.
Dice Agostino in una memorabile pagina delle sue “Confessioni” (ma questa citazione non l´ho trovata nella “Spe Salvi”): «Tenterò di raggiungerti dove puoi esser raggiunto e di aderirti dove aderirti è possibile, o mio Dio, mia dolce sicurezza e mio bene. Rinuncerò anche alla mia memoria, alla memoria di me, pur di avere la beatitudine di poter salire al tuo cospetto. Ma se rinuncio alla mia memoria, come potrò avere memoria di te?».
Questa è la contraddizione essenziale tra la condizione umana e la gioia della beatitudine che fonde l´anima giunta al cospetto del creatore. Ma per arrivare a quel momento supremo c´è ancora il momento del Giudizio finale. Tutti saremo salvati, come l´anima amorosa di tutti ardentemente spera? Ma allora dov´è la giustizia?
La Giustizia, dice papa Benedetto, è un canone irrinunciabile. Dio non può rinunciare alla Giustizia visto che essa è uno dei suoi principali attributi.
Dio giudicherà in base alla speranza che ha aperto l´anima alla fede. Chi non ha sperato con ardore si sarà autoescluso. Ma Dio è anche misericordia e amore per le sue creature, sicché ammette una sorta di prova d´appello ed è la sua grazia a renderla possibile. Questo percorso è suggestivo. E´ il racconto di «cose che non si vedono».
Proprio perché non si vedono è la speranza che accadranno a darcene certezza e sostanza. Si chiama religione, sentimento religioso. E certo lo è, l´aura è quella.
Ma attenti ad un racconto così dettagliato perché dalla religiosità si rischia di travalicare facilmente nell´ideologia e da questa alla favola per bambini e al “c´era una volta”, nella quale è sempre la voce della mamma a legger quel favoloso racconto che ci promette la vita oltremondana, conservando memoria di noi almeno fino a quando «l´anima esploderà nella gioia suprema» dinanzi al Dio onnipotente, causa e fine di tutto.
* * *
Dovrei forse dire una parola sull´ennesima condanna (stavolta senza appello) che nell´Enciclica il Papa lancia contro l´Illuminismo, il relativismo, il marxismo? Contro la scienza se priva di fede? Contro il moralismo che si affida all´autonomia della coscienza individuale? Insomma contro la modernità, considerata in blocco come un abisso dal quale ritrarsi finché si è in tempo? Non credo che su questi temi valga la pena di ribattere. L´abbiamo già fatto più volte e ripetersi in questo caso non giova.
Osservo, perché risulta evidente dal testo, che gli accenti critici dedicati a Marx e al marxismo sono molto più cauti e starei per dire più riguardosi nelle parole di papa Benedetto di quelli riservati all´Illuminismo.
Dopo tutto Marx creò una sorta di chiesa economicistica, si affidò allo spirito collettivo del proletariato sofferente, anche il suo pensiero ebbe i suoi presbiteri che annunciarono un loro paradiso. Penso che quel riguardo papale nei suoi confronti sia dovuto ad una chiesa e ad un paradiso terreno, in nome del quale si consumarono indicibili orrori. Sorretti però da una fede.
Gli illuministi non avevano fede. Alcuni di loro – Voltaire per esempio – erano teisti. Direi per necessità: non si spiegavano l´esistenza del creato e per non farla troppo lunga con discussioni e ricerche che non portavano da nessuna parte, si rassegnarono all´idea che ci fosse stato un architetto dell´universo e che, una volta creatolo, l´abbia lasciato funzionare da solo con tutti gli errori connessi e si sia ritirato dalla scena.
L´impegno degli illuministi fu un altro: cercarono di far trionfare la ragione, la tolleranza, la cultura. E di sconfiggere l´ignoranza, i privilegi, i pregiudizi, la tirannia. Si trovarono di fronte l´Ancien Régime e la Chiesa. Il trono e l´altare. Insomma il potere nelle sue espressioni meno accettabili.
Questa situazione era durata a dir poco un millennio. Il temporalismo della Chiesa era durato anche di più. La tentazione verso forme temporalistiche sia pure di tipo moderno è perennemente risorgente e va energicamente respinta.
A Benedetto XVI il relativismo non piace ed è comprensibile in chi amministra la verità assoluta (la sua). Non c´è niente da dire su questo punto. Certo, anche la Chiesa cambia spesso di opinione su fatti peccati e peccatori. E´ umano. A rileggere la sua storia ci si accorge che è anch´essa immersa nel relativismo. Anche questo è umano.
Perciò “Unicuique suum”.
© Copyright Repubblica, 2 dicembre 2007
Gia’, caro Scalfari, a ciascuno il suo.
A proposito di relativismo, noto che anche per Lei, che e’ persona intelligente, il Papa migliore e’ sempre quello che non c’e’ piu’!
Anche Lei, caro Scalfari, cade nella trappola della contrapposizione fra Papa Benedetto e Papa Giovanni Paolo II.
Francamente da una persona colta come Lei mi sarei aspettata qualcosa di piu’, ma tant’e’!
Vorrei semplicemente ricordarLe, caro Scalfari, che Papa Wojtyla e’ per Lei il Pontefice ideale solo ora.
Non era cosi’ nell’aprile 2005, il giorno dopo la morte di Giovanni Paolo II, quando, anche un po’ indelicatamente visto il momento, scrisse questo articolo:
La doppia anima del regno (3 aprile 2005)
Vede che osannare ORA Giovanni Paolo II per usarlo come “arma” contro il suo successore ha poco senso?
Caro Scalfari, la formulazione delle encicliche papali e’ sempre la stessa e identici sono i destinatari perche’ il Papa (ohibo’) e’ il Capo della Chiesa Cattolica. Cio’ non toglie che essa possa essere non solo letta ma anche offerta in regalo alle altre confessioni ed ai non credenti.
Legga i destinatari della Mater et Magistra (Giovanni XXIII), della Sacerdotalis Caelibatus (Paolo VI), della Evangelium Vitae (Giovanni Paolo II). Vede che non c’e’ alcuna differenza con la Spe Salvi“?.
Che argomento e’ mai questo?

 

 

6 Comments so far

  1. raffa on 2 Dicembre, 2007

    complimenti per il blog. Abbiamo aperto da poco un blog, e facciamo un giro sugli altri per capire come migliorarci, etc. Il tuo è davvero molto interessante.
    se ti va passa a vedere anche il nostro. Penso che potrebbe piacerti..
    a presto!
    http://giuraffa.blogspot.com/

  2. Naina on 11 Luglio, 2014

    I have mixed feelings about this (yeah, I know, qlleue surprise.) On the one hand, if Wegmans is privately held, then I see where their earnings really aren’t a public concern. However they bring up the counter themselves. It affects their ability to recruit senior managers. What about those prospective recruits right to know the fiscal health of the company whose overall value their compensation will be tied into. Tricky call.

  3. Mamah on 19 Febbraio, 2015

    Tricky call not really. It isn’t the right of prscieotpve recruits to know that information. If they want it and can’t get it, they go elsewhere for a job. Obviously it’s not a stumbling block, since Wegmans has no problems getting quality managers.

  4. Yongki on 25 Marzo, 2015

    Jenny – I just loved looking thougrh these again! We love so many of these pictures and they are slowly being framed all over the house! Can’t wait until we do our next session It will be fun to see how much the boys will have changed!!

  5. life insurance policies on 14 Aprile, 2015

    agree 100% on everything. seriously…FUCK Dane Cook. he’s not funny. at all. flailing your arms around and yelling really loud does not = funny (unless you’re the kind of shaved ape whose required to wear a hockey helmet whenever you step outside…and judging by most of his fan base, i guess it’s safe to assume we’re dealing with such specimens). physical comedy is cool and all, but fuck…even Jim Carrey had jokes….REAL jokes. not nonsensical “wouldn’t it be cool?” one-liners and woefully obvious trivial observations with no real insight or wit to back them up. Cook defenders, before you say anything…shut up.

  6. life insurance policies on 22 Aprile, 2015

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