Più annegati, meno immigrati
Il Mare nostrum rischia di diventare un vero cimitero di uomini in fuga dalla povertà, dalla persecuzione e dalle guerre. Un cimitero di vite e di speranze.
Le stime più prudenti parlano di diecimila morti annegati negli ultimi dieci anni sulle rotte tra l’Africa e le nostre coste meridionali. Se si considera che ogni anno arrivano via mare circa ventimila migranti, si ha un’idea di quanto sia alta la possibilità di morire nel mare nostrum: per ogni cento “clandestini” che arrivano, cinque annegano. E si ha anche qualche indicazione sull’efficacia dell’inasprimento delle pene, dell’istituzione del reato di immigrazione clandestina, del prolungamento del periodo di permanenza nei centri di detenzione. Si tratta di sanzioni tutto sommato blande davanti alla pena capitale che il Mediterraneo commina tutti i giorni senza processo, colpendo indiscriminatamente donne e bambini.
Per anni, molti paesi e regioni hanno celebrato le loro giornate del rifugiato. Di queste celebrazioni, una delle più famose era l’Africa Refugee Day, che già in diversi paesi del continente si celebrava il 20 giugno. Come espressione di solidarietà con l’Africa, che ospita milioni di rifugiati e che ha sempre tradizionalmente mostrato grande generosità verso di loro, nel 2000 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità una speciale Risoluzione che ha designato il 20 giugno di ogni anno come la Giornata Mondiale del Rifugiato. La Giornata Mondiale del Rifugiato dovrebbe costituire un momento per fermarsi a riflettere sulla drammatica condizione dei rifugiati e sull’inesauribile coraggio che impiegano in ogni fase della loro personale vicenda: se gli stessi rifugiati si rifiutano di abbandonare la speranza, come possiamo farlo noi?
Una parte importante di ogni celebrazione della Giornata Mondiale del Rifugiato è il Premio Nansen per i Rifugiati, che viene consegnato in una cerimonia che si tiene in questa speciale giornata. Il premio, che consiste in una medaglia e in una somma in denaro di centomila dollari, è assegnato ogni anno a una persona o a un’organizzazione che si sia distinta nel sostenere la causa dei rifugiati. Tra i recenti vincitori vi sono la signora Graça Machel, il Maestro Luciano Pavarotti e l’operatrice umanitaria Annalena Tonelli.
I termini del fenomeno immigrazione cambiano, mentre si continua a parlarne in astratto, ciascuno coltivando le sue illusioni: i leghisti ossessionati dal progetto di conservare la purezza della razza padana; i buonisti cattolici e laici convinti che basta fare appello ai valori della solidarietà e dell’uguaglianza per rendere governabile una mutazione socio-economica epocale che deve essere affrontata dal legislatore, opportunamente assistito dai migliori economisti, sociologi, giuristi.
Immigrazione: clandestinità e sicurezza
L’umanità negata (da Il Manifesto del 17 giugno 2008)
Quaranta cadaveri e un centinaio di dispersi, che non troveremo mai, nel mar di Sicilia. Persone, esseri umani, che fuggono dai loro paesi, raggiungono la costa meridionale del Mediterraneo. È una storia di sterminio di massa che si ripete e continuerà. Di chi è la responsabilità di questa strage continua? Nostra, della nostra globalizzazione aperta a tutti i movimenti di capitali, ma chiusa – fino all’omicidio di massa – alle persone, a quelli che non riescono a vivere nei loro paesi e a rischio di morte tentano di sbarcare nel nostro mondo ricco e benestante. Magari solo per mendicare, ma in un paese ricco la mendicità può dare da vivere.
È una tragedia, ma essendo una tragedia di poveracci non diventa mai un nostro problema. Al massimo si cerca di eludere il problema con più vigilanza, con sbarramenti di motovedette e guardie.
Questi disperati migranti non c’erano un tempo o il fenomeno era meno rilevante. Oggi queste popolazioni sono più povere, alla disperazione, perché nei loro paesi la popolazione è cresciuta e perché le loro produzioni sono state distrutte dalla nostra crescita di produttività. Perché la nostra globalizzazione è stata quella dei paesi benestanti, quasi il club dei signori. E – va detto – nei nostri paesi benestanti la globalizzazione finanziaria e mercantile ha accresciuto il distacco tra poveri e ricchi. E i nostri poveri, quelli che lavorano a salario a tempo determinato, o in nero, temono l’arrivo di altri poveri, ancora più poveri e più disposti a lasciarsi sfruttare per un tozzo di pane.
Gli imperi coloniali non ci sono più, ma viene da dire che siamo andati al peggio. Non ci sono più le colonie, ma c’è la colonizzazione volontaria di tutti quelli che nei loro paesi non riescono più a vivere e tentano di farsi individualmente colonizzare nei nostri paesi ricchi.
Questi movimenti migratori sono diventati una costante tragica dei nostri tempi e quel che sorprende è che non ci sia nessuna iniziativa non dico democratica, ma almeno umanitaria. Pensiamo solo a rafforzare le frontiere e basta. Tacciono i governi, tacciono anche i partiti di opposizione e qui da noi tace anche la Chiesa cattolica, quelli che tentano di arrivare mica sono cristiani!
Questa tragedia degli emigranti – donne, bambini e uomini condannati ad affogare nel nostro bel Mediterraneo – non sembra toccare la sensibilità delle nostre società, dei nostri politici, dei nostri intellettuali. Un’insensibilità che segna il nostro grado di imbarbarimento.
Forse, paradossalmente, il problema sta anche sulla sparizione delle colonie.
L’elenco dei paesi che hanno avuto drammatici crolli del PIL, della legalità, della democrazia, oppure esplosioni di guerre con altri stati (quando va bene) o di guerre civili da quando sono andati via i coloni bianchi è incredibilmente lungo.Per esempio le nazioni africane immuni da tutto ciò forse (dico forse) si possono contare con le dita di una mano.
Tornare al colonialismo è antistorico, ma cercare una nuova forma di “protezione” da parte delle nazioni guida potrebbe togliere da impasse ormai pluridecennali decine di paesi ormai allo sbando più totale.
Potrebbe puzzare di razzismo tutto ciò, ma è sicuramente pragmatico.
Più ne crepano, meno ne arrivano.