Formaggi avariati: una pattumiera
L’impresa criminale che faceva capo a 4 aziende con sede a Cremona, Novara, Biella e Woringen in Germania, tutte riconducibili all’imprenditore siciliano Domenico Russo, ed era punto di riferimento per marchi come Galbani, Granarolo, Cademartori, Brescialat, Medeghini, Igor, Centrale del latte di Firenze, Frescolat, Euroformaggi, Mauri, Prealpi ed altre multinazionali europee, operava anche grazie alla connivenza delle Asl di competenza riciclando con l’ausilio di molta creatività gli scarti di formaggio avariato che avrebbero dovuto essere smaltiti.
Tali scarti, spesse volte forniti proprio dai grandi marchi di cui sopra, consistevano in formaggio avariato e putrefatto all’interno del quale si poteva trovare di tutto: vermi, escrementi di topi, pezzi di ferro, residui di plastica tritata, muffe ed inchiostro. Il materiale marcescente e maleodorante anziché venire smaltito subiva tutta una serie di lavorazioni che lo portavano a tornare sugli scaffali di discount ed ipermercati (spesso attraverso quegli stessi marchi che lo avevano venduto come rifiuto) sotto forma di sottilette, formaggio fuso, formaggio grattugiato, mozzarelle, gorgonzola ed altre specialità casearie che venivano vendute come prodotti genuini ai consumatori. La truffa nell’ambito della quale il gruppo Lactalis Italia che controlla Galbani sembra avere pesantissime responsabilità, non ha coinvolto solo l’Italia ma si è sviluppata a livello europeo, arrivando a produrre la lavorazione di oltre 11.000 tonnellate di formaggio avariato a fronte di un business economico di enormi proporzioni. Decine risultano essere le persone indagate e denunciate per un’attività criminale che oltre a produrre profondo disgusto ha determinato pesantissimi rischi per la salute pubblica.
Lo scempio del formaggio avariato
Come ultima nota disarmante in questa scioccante vicenda va sottolineato il fatto che gli impiegati e gli operai delle ditte incriminate hanno verbalizzato di essere a conoscenza della situazione ma si sono guardati bene dal renderla pubblica, molto probabilmente per non rischiare di mettere a repentaglio il proprio posto di lavoro.
Lo scenario ricostruito dagli investigatori è inquietante. Decine di tonnellate di scarti di formaggio piene di schifezze ritirate da grosse aziende (Granarolo, Ferrari Giovanni industria casearia, Zanetti) e mischiate a prodotto fresco: un sistema collaudato con cui la DELIA, stabilimento a Monticelli D’Ongina, sede legale a Milano in piazza IV Novembre, riesce a piazzare sul mercato italiano e europeo il suo prodotto finito. Che vuol dire soprattutto: formaggio grattugiato. Come? Vendendolo a aziende che lo confezionano in buste a marchio “Galbani”, “Ferrari”, “Medeghini”, solo per citarne alcuni. O direttamente al cliente finale, come nel caso di “Biraghi” o “Prealpi”.
Il giro è enorme, e abbraccia mezza Europa (Spagna, Austria, Germania, Francia, Belgio). Una ventina di milioni di euro il volume d’affari della società, collegata a altre tre aziende di cui due con sede a Barcellona (Compinque S. L. e Quederlac S). Sono tutte riconducibili a Alberto Aiani, cinquantatreenne di Casalbuttano. Il paese in provincia di Cremona dove l’ex ufficiale dell’Arma Francesco Marinosci, pugliese di Francavilla, cremonese d’adozione, – prima di darsi al formaggio e diventare socio di Aiani nella DELIA – dirigeva la stazione dei carabinieri. Ieri usava l’utilitaria in dotazione, guadagnava un moderato stipendio. Oggi gira in Jaguar e, si capisce, ha implementato le sue entrate.
Formaggio scaduto 2
Sulle triangolazioni pericolose con cui DELIA acquistava “merda” – termine usato dai truffatori per indicare il prodotto avariato, dalle intercettazioni del primo troncone di inchiesta condotta dalle fiamme gialle guidate dal comandante Mauro Santonastaso – il compito di vigilare, si fa per dire, spettava a un veterinario dell’Asl piacentina: Luciano Dall’Olio (falso e abuso d’ufficio). Il medico non è esattamente un guardiano scrupoloso. Il veterinario dell’ASL piacentina Luciano dall’Olio, attualmente ancora in servizio, era l’uomo che certificava come “sano” il pastone maleodorante (nelle intercettazioni definito “merda” dai personaggi coinvolti nella truffa), arrivando perfino a “dimenticare” il timbro dell’ASL di Piacenza negli uffici del caseificio dando modo all’azienda di procedere a vere e proprie autocertificazioni. Per lui l’accusa è al momento quella di falso ed abuso d’ufficio.
Insieme a loro risultano indagati anche altri personaggi appartenenti all’Asl e gli inquirenti nutrono sospetti anche su funzionari delle forze dell’ordine.
Carosello “Galbani” Fidati di me 1967
Gli investigatori dopo avere allargato il ventaglio dei prodotti finiti messi in vendita e oggetto della frode anche al ricco mercato dei formaggi grattugiati in busta sempre più spesso presenti sulle tavole degli italiani (che in questo caso sembra contengano il pastone ammuffito anziché parmigiano o grana padano) hanno affermato di ritenere che di aziende come DELIA sia pieno il mercato e che sullo stesso mercato abbondino i grandi marchi ben disposti ad utilizzare questo tipo di “servizio” per incrementare i propri profitti.
Ed ora per finire un po’ di formaggio buono come quello della foto sottostante