Referendum elettorale 2009

referendum

In Italia è in vigore (e non da oggi!) un regime per il quale, da sinistra a destra, l’illegalità e la negazione di leggi, obblighi e scadenze costituzionali, sono diventati pratica quotidiana per tutta la classe politica. Tutto viene piegato e subordinato alle convenienze tattiche di un’oligarchia autoreferenziale, sicché pare passare per “normale” l’idea, letteralmente eversiva, che si possa rinviare il referendum di un anno solo perché “oggi” sarebbe scomodo sia per la destra che per la sinistra. In questo modo si calpestano la Costituzione, le leggi, i diritti dei cittadini, del comitato promotore e dei firmatari! E’ “eccessivo” chiamarlo golpe? Se qualcuno tra qualche anno decidesse di rinviare le elezioni politiche perché scomode, o in quel momento inopportune, posso chiedere a D’Alema, Ferrero, Berlusconi e quant’altri come lo definirebbero? E questo lo dico anche se non sono un convinto sostenitore di questi referendum, in quanto credo ad un bipartitismo anglosassone fondato sul rapporto tra eletti e territorio e non sulle nomine dei capipartito, ma mi rendo conto che purtroppo lo strumento referendario previsto dal nostro ordinamento è solo quello abrogativo.
Striscia la notizia

Referendum costa di più, ma non 400 milioni (da un articolo di Franco Bechis) (…) Devo chiedere scusa ai lettori di Italia Oggi perchè ieri anche io, fidandomi di tutte le dichiarazioni coincidenti, ho riportato nel mio articolo sul terremoto quella stima dei 400 milioni, che certamente sarebbero potuti essere degni di migliore causa. Sono poi andato a controllare e capito da cosa nasceva: da uno studio del febbraio scorso degli economisti della Voce.info. L’ho letto, mi sono preso tutte le relazioni tecniche sulle spese elettorali delle ultime politiche e delle consultazioni referendarie, e mi sono convinto una volta in più che degli economisti bisogna sempre e prima di tutto diffidare. In quei 400 milioni calcolati da loro ci sono circa 200 milioni di euro di quelli che vengono chiamati “costi indiretti”. Che sono? Semplice: 127 milioni di euro sarebbe il costo della passeggiata che ogni elettore dovrà fare per recarsi ai seggi due volte invece di una. Come viene calcolato? Gli economisti sostengono che andare al seggio due volte significa sprecare mezz’ora in media di più per ogni italiano. Il tempo è denaro, e quella mezz’ora vale 3,15 euro, cioè la metà del salario medio orario di un italiano calcolato dall’Istat (6,3 euro). Moltiplicata quella somma per tutti gli italiani che hanno votato alle ultime politiche si giunge proprio ai 127 milioni. Ora è chiaro a tutti come questa sia puro esercizio della fantasia: il tempo sarà denaro, ma non lo spendono le casse dello Stato. Poi alle europee di solito vota molto meno che alle politiche, e quindi perfino il calcolo di fantasia è fatto un po’ a spanne. Quella mezz’ora in più per altro potrebbe essere un fastidio, una noia (ma non è un obbligo votare) per qualcuno, ma un costo- fosse anche privato- proprio no. Domenica scorsa c’erano elezioni? No? E avete messo in tasca 3,15 euro di più dell’ultima domenica in cui siete andati a votare? E’ evidente come quei 127 milioni non siano un costo in più per nessuno e non siano un risparmio in caso di accorpamento per alcuno. Ma non è l’unica perla degli economisti. Perché altri 37 milioni di euro di costi indiretti deriverebbero dai costi sostenuti dalle famiglie. Come? Perché con i seggi occupati molte scuole sarebbero chiuse il lunedì, sostengono gli economisti. E allora? Allora “sono più di tre milioni le famiglie che hanno almeno un figlio nele scuole pubbliche elementari o medie. Di queste il 33 per cento non ha nonni a casa ed entrambi i genitori sono occupati, e quindi con ogni probabilità dovranno fare ricorso a un aiuto esterno per la cura dei figli, Il costo medio di una prestazione di 4 ore nei servizi alla famiglia secondo i dati Istat è di 35 euro lordi; dunque i costi sostenuti dalle famiglie nell’affidamento dei figli in un giorno di chiusura delle scuole possono essere stimati in circa 37 milioni di euro”. Che bravi questi economisti! Naturalmente anche qui non si tratterebbe di costo pubblico, ma privato. Ma permettete una domanda: quante scuole fanno lezione il 22 di giugno? A nessuno è venuto in mente che ogni anno a quella data l’anno scolastico è già terminato? E che quindi i figli sono casa? Invece, accorpando al 7 giugno il referendum gli scrutatori dovranno lavorare sicuramente oltre al lunedì anche il martedì. E il 9 giugno probabilmente quei 37 milioni diventerebbero un costo indiretto in più. Che grazie a Bossi si risparmierebbero. Altri 37 milioni di euro vengono calcolati sula mancata produttività di presidenti di seggio e scrutatori che avendo quell’impegno sono esentati dal lavoro. Anche questa cifra, del tutto virtuale, non è vera. Perché accorpando loro lavorerebbero più giorni consecutivi. Bossi costa di più, è vero. In tutto circa 100 milioni di euro. Ma tutti ci siamo bevuti i 400 calcolati da fantasiosi economisti.

“LAVOCE.INFO” INSISTE SUL REFERENDUM, IL “CORRIERE” RISPONDE…
Lettera de la redazione de “lavoce.info” al “Corriere della Sera” – Pierluigi Battista scrive: «Non è poi neanche vero che i costi del referendum sganciato dalla data elettorale fossero così cospicui, come ha dimostrato in modo documentato Franco Bechis su Italia Oggi ». I costi effettivi, secondo la sua fonte, si limiterebbero a 100 milioni. Ma né lei, né la sua fonte fornite alcuna indicazione sul modo con cui è ottenuta questa cifra. I nostri calcoli, che si trovano sul sito www.lavoce.info, sono stati sostanzialmente confermati, per quanto riguarda i costi diretti, dal ministro Maroni, che ha parlato di 173 milioni di euro, una cifra molto più vicina alla nostra stima che a quella riportata dalla sua fonte.
I dati riportati dalla sua fonte inoltre non considerano alcuni costi (trasporto schede, straordinari del personale dei ministeri coinvolti, noleggio strutture di voti, cancelleria per le sezioni) e sottostimano fortemente i costi relativi alle forze dell’ordine. I nostri dati sono tratti dal Decreto del Ministero del Tesoro (Dmt 91517/2006) relativi al referendum del 2006.
Risposta di Pierluigi Battista – La cifra iniziale dello ‘spreco’ indicata dal sito ‘la voce.info’ era globalmente superiore ai 400 milioni. Oggi, al netto di controversi costi ‘indiretti’, ci si attesta sui 173 milioni circa. Molto meno della metà: una bella differenza.
Ho chiesto ad amici e conoscenti in cosa consistono i tre quesiti del referendum. Quasi nessuno ha saputo rispondere. Omertà politica e dei media. Se non lo sanno è perché nessuno li informa. Molti non sapevano neppure che ci fosse un referendum. Se vincesse il sì, il premio di maggioranza alla Camera e al Senato andrebbe al partito di maggioranza e la Lega sparirebbe. Inoltre verrebbero abrogate le candidature multiple (o candidature civetta) e le liste dovrebbero ottenere il 4% alla Camera e l’8% al Senato.
L’italiano mi sorprende sempre più. E’ come il grande Totò quando prendeva gli schiaffoni e rideva, rideva. Chi lo gonfiava di botte pensava che fosse Pasquale, ma lui non era Pasquale e non gli importava.
Totò-Pasquale – 1966

Aggiornamento

Il Consiglio dei Ministri del 30 aprile 2009 ha individuato nel 21 giugno prossimo la data da proporre al Capo dello Stato per la nuova indizione delle tre consultazioni referendarie, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 40 (approvata martedì 28 aprile dal Senato della Repubblica) in base alla quale è previsto, ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione, che i referendum abrogativi da tenersi nel 2009 abbiano luogo in una domenica compresa fra il 15 ed il 30 giugno. I referendum, indetti con decreto del Presidente della Repubblica del 5 febbraio 2008 per il 18 maggio 2008, sono stati rinviati di un anno a causa dello scioglimento delle Camere, decretato dal Capo dello Stato il 6 febbraio 2008. Presentati nel 2006 i quesiti referendari, dichiarati ammissibili dalla Corte Costituzionale il 16 gennaio 2008, ai quali dovranno rispondere i cittadini, sono tre. Il quesito n. 1 (scheda verde), relativo al premio di maggioranza nazionale per la Camera dei deputati intende abolire le ‘coalizioni’: vince il premio di maggioranza – il partito (ovvero la ‘lista’) che ottiene più voti; partecipano alla ripartizione dei seggi le ‘liste’ che ottengono almeno il 4% dei voti su base nazionale. Il quesito n. 2 (scheda bianca), relativo al premio di maggioranza regionale per il Senato intende abolire le coalizioni: vince il premio regionale – che garantisce il 55% dei seggi della Regione – il partito (ovvero la ‘lista’) che ottiene più voti; partecipano alla ripartizione dei seggi le liste che ottengono almeno l’8% dei voti su base regionale. Il quesito n. 3 (scheda rossa), relativo alla disciplina della candidature intende abolire le cosiddette ‘candidature multiple’, ossia la possibilità di candidarsi in più circoscrizioni in liste aventi il medesimo contrassegno, con successiva eventuale opzione nel caso di elezione in più di una circoscrizione.

1 Comment so far

  1. […] Cliccare qui per vedere anche il mio precedente post: “Referendum elettorale 2009”  del 23 aprile 2009. […]

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