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La lampadina si rifà il look: l’Unione europea ha stabilito, infatti, che dal primo settembre 2013 è scattato l’obbligo per produttori e importatori di apporre sulla confezione delle lampadine un nuovo tipo di etichetta energetica. Sulla nuova etichetta, che si può trovare nella versione a colori o monocromatica sono indicati il nome e/o il marchio del produttore, l’identificatore del prodotto, la classificazione energetica della lampadina e il consumo ponderato di energia. La nuova etichetta è estesa anche a lampade che ne erano state in passato escluse come, ad esempio, le alogene a bassa tensione, così come tutte le lampadine direzionali, comprese quelle a Led ed è divenuta obbligatoria per le lampadine immesse sul mercato a partire dal primo settembre 2013. I prodotti già in vendita nei negozi, al contrario, riporteranno ancora la vecchia etichettatura, pertanto nella fase di transizione, sarà possibile trovare le due diverse classificazioni. lampa
Quando nel 1878 Sir Joseph Wilson Swannel  brevettò in Inghilterra la prima, seppur rudimentale, lampadina ad incandescenza, forse non immaginava di aver inventato uno dei prodotti più longevi della storia, arrivato fino a noi pressoché immutato nella sostanza fino alla messa al bando definitiva da parte dell’Unione Europea nel settembre 2012, surclassata da nuove tecnologie più efficienti.
La messa la bando della lampadina ad incandescenza è stata determinata da ragioni di risparmio energetico e, proprio per agevolare la comprensione da parte dei consumatori, dal primo settembre 2013, come sopra esposto, sulle confezioni viene apposto un nuovo tipo di etichetta energetica.
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A colori o monocromatica, si rifà a quella già ampiamente diffusa e conosciuta per gli elettrodomestici, introducendo una nuova classificazione di efficienza energetica attraverso una scala di riferimento che va da A++ (altamente efficiente) a E (poco efficiente). Rispetto alla precedente classificazione, infatti, che andava solamente da A a G, questa nuova serie di valori aggiunge due gradini alla scala, mettendo ulteriormente in evidenza il miglioramento in termini di efficienza delle nuove tecnologie per l’illuminazione a disposizione oggi.
L’altra importante novità della nuova etichetta è l’indicazione del dato sul consumo ponderato di energia su base annua (che si trova in basso espresso in kWh/1000h), per cui il consumatore ha un ulteriore strumento per valutare il peso dei consumi energetici in bolletta delle diverse tipologie di lampade in commercio e fare i relativi confronti. Ma la vera importanza di questo nuovo sistema risiede nella ormai per fortuna inarrestabile tendenza a fornire al consumatore strumenti utili per valutare le sue abitudini di consumo e il loro peso non solo sulla bolletta, ma anche sull’ambiente che ci circonda. Un sistema che naturalmente stimola anche i produttori a mettere in commercio prodotti sempre più efficienti, per consumatori più attenti e maturi, non giocando solo sulla leva prezzo.
Scegli la lampadina giusta

Quello di cui ancora si sente purtroppo la mancanza è però l’assenza dell’indicazione delle esternalità. Esternalità intese sia come impatto del ciclo di vita del prodotto – della lampadina infatti ci viene detto quanto sia efficiente, ma non quanto è impattante la sua produzione e il suo smaltimento – sia come competitività che premi quei produttori attenti alle ragioni ambientali, che rispettano parametri e regole, e che per forza di cose devono alzare il prezzo del loro prodotto. Un sistema che penalizzerebbe a ragione coloro che inquinando abbassano i costi, non curandosi del reale impatto del life cycle del loro prodotto.
La nuova etichettatura è comunque di sicuro un passo avanti e, considerando che i due parametri su cui tendenzialmente si basa la scelta di un corpo illuminante sono la durata e la resa, per chi volesse approfondire Assil (Associazione Nazionale Produttori Illuminazione, federata Confindustria Anie) mette a disposizione il sito web: www.lampadinagiusta.it con tante utili distinzioni e informazioni.
Per saperne di più:  quadro legislativo (cliccare qui e qui). Scegli la lampadina giusta (cliccare qui).
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La luce è fondamentale, tanto che già dalla preistoria l’uomo sente l’esigenza di illuminare la sua vita. Il compito è affidato inizialmente al fuoco delle torce.
Le prime “lampade” risalgono, invece, a 400.000 anni fa: tronchi, conchiglie e corni riempiti con grasso animale o vegetale.
Fino al ‘700 l’illuminazione rimane affidata quasi esclusivamente a fiaccole e candele. Basti pensare che nel 1668, per illuminare il parco della reggia di Versailles, vengono utilizzate ben 24.000 candele: un effetto da favola, ma un enorme spreco di risorse e denaro!
Intorno alla metà del 1800, uno scienziato tedesco crea il primo olio di paraffina che, nelle lampade, sostituisce quello vegetale e rende più efficace l’illuminazione.
Negli stessi anni si diffondono anche le lampade a gas (acetilene) che permettono di illuminare riducendo di 5 volte i costi delle candele.
La moderna lampadina a incandescenza (quella con filo all’interno) entra in scena quando l’americano Thomas Alva Edison capisce come trasportare l’energia elettrica scoperta da Luigi Galvani e Alessandro Volta e anche Swan incorporò questo miglioramento nelle sue lampadine, che venivano commercializzate in Inghilterra dalla sua azienda: questo causò un dissidio tra i due e Swan fu citato in giudizio da Edison per violazione di brevetto.
È il 1879 e la prima lampadina della storia rimane accesa per 40 ore consecutive.
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Alla fine prevalse il buon senso, Swan ed Edison si accordarono e fondarono la Società Edison-Swan che diventò una delle più grandi produttrici mondiali di lampadine. Nel 1880 Thomas Alva Edison e Joseph Wilson Swan brevettano la lampada ad incandescenza con filamento di carbonio.
Nel 1891 inizia la produzione industriale di lampadine da 16 watt con filamento di carbone capace di durare fino a 1.500 ore, seguita, pochi anni dopo, dalla realizzazione di quelle con filamento di tungsteno, un metallo efficiente e duraturo che viene usato ancora oggi. Più che parte della vita quotidiana, un simbolo entrato nella storia umana, nell’immaginario e nei modi di dire. La lampadina ad incandescenza, quella con il classico filamento a zig zag, il simbolo di qualsiasi idea nuova, per non parlare della testa di Edi, l’aiutante.
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La prima lampada fluorescente lineare (comunemente detta “NEON”) fa la sua comparsa nel 1935, ma la seconda guerra mondiale blocca la sua diffusione.
Dobbiamo attendere fino al 1980 per veder comparire nei negozi e nelle case le prime lampade fluorescenti compatte a risparmio energetico.
2 settembre 2009: l’Unione europea bandisce la produzione di lampadine ad incandescenza -caratterizzate cioè dalla presenza di un filamento metallico all’interno- pari o superiori a 100 W e di tutte quelle a bulbo smerigliato, a vantaggio di quelle a basso consumo;
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settembre 2010: l’Unione europea bandisce la produzione di lampadine ad incandescenza di potenza pari o superiore a 75 W;
settembre 2011: l’Unione europea bandisce la produzione di lampadine ad incandescenza di potenza pari o superiore a 60 W;
settembre 2012: l’Unione europea bandisce la produzione di tutte le lampadine ad incandescenza per illuminazione domestica, che saranno sostituite principalmente da quelle a basso consumo e in misura minore da quelle a raggruppamento di LED e quelle alogene tuttovetro, tutte comunque con potenze, formati ed attacchi retrocompatibili con le classiche lampade ad incandescenza.
Oggi le lampade a basso consumo di energia ci permettono di illuminare la nostra vita senza consumare inutilmente energia e soldi e senza immettere nell’aria tonnellate di CO2.
Anche le lampadine a risparmio energetico producono luce, ma lo fanno in modo differente rispetto alle altre. Infatti mentre una lampadina tradizionale sfrutta solo il 5% dell’energia che consuma per illuminare e trasforma la restante in calore, una lampada a risparmio energetico, invece, sfrutta ben il 25% della sua energia unicamente per illuminare.
Una lampadina a incandescenza da 100 W e una lampadina a risparmio energetico da 20 W illuminano una stanza nello stesso modo! Questo significa che la lampada a risparmio energetico sfrutta 5 volte meglio l’energia che consuma e regala lo stesso risultato con meno sprechi.
Gli obiettivi fissati dall’Europa sono decisamente ottimisti: man mano che le tradizionali lampadine saranno sostituite da quelle a risparmio energetico la bolletta elettrica nel vecchio continente dovrebbe essere più leggera di oltre 10 miliardi di Euro, mentre si eviterà di immettere in atmosfera 32 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno.
Quali sono gli eredi del classico bulbo a forma di pera? Tre sono le tecnologie disponibili, ciascuna con vantaggi e svantaggi che probabilmente diventeranno veramente evidenti solo con un uso su vasta scala.
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La lampada alogena è tutto sommato una non lontana parente di quella convenzionale. Anch’essa è infatti ad incandescenza, ma con profonde differenze. Al normale gas inerte contenuto di solito nelle lampadine, vengono aggiunti altri elementi, tra cui alcuni appartenenti al gruppo degli alogeni (tipicamente iodio o bromo). Grazie alla loro maggiore efficienza, le lampade alogene attualmente in commercio permettono un risparmio di corrente fino al 30%. Un problema è la loro emissione di raggi ultravioletti, che di solito vengono schermati da un vetro di protezione. E comunque non avranno vita lunga: nella scala dell’efficienza energetica sono in classe C, anche questa destinata a sparire nel 2016.
Le Compact fluorescent lamps (CFL) più note come lampadine “a basso consumo” e riconoscibili dalla struttura tubolare sono nate negli anni ’70, come risposta alla crisi energetica mondiale, ma hanno iniziato ad affermarsi sul mercato solo negli anni ’90 e sono su tutti gli scaffali dei supermercati. Il principio alla base non è nuovo. Persino Edison ci lavorò sopra per qualche tempo, ma poi furono altri a svilupparlo. Sono strettamente imparentate con quelle che vengono comunemente chiamate lampade “al neon”, anche se il vero protagonista è il mercurio. Al loro interno, infatti, l’elettricità causa l’eccitamento di vapori di mercurio. Gli atomi di mercurio, in queste condizioni, producono raggi ultravioletti che colpiscono la parete del tubo, ricoperta all’interno da una sostanza fluorescente (tipicamente fosforo). Proprio questa sostanza, assorbendo gli ultravioletti, riemetterà  luce normale anche se meno “naturale” rispetto alle tradizionali lampade.
Le CFL, con la loro classe “A”, promettono grandi risultati. A partire da un risparmio di energia elettrica dell’80%. Certo, costano: da 10 a 15 volte di più della classica lampadina, ma dovrebbero durare anche in misura proporzionalmente maggiore. Eppure dubbi vengono avanzati. Non sul basso consumo, sicuramente impressionante. Ma sulla durata effettiva sì. Una CFL promette un periodo di funzionamento di 10.000 ore, ma questo è solo uno degli aspetti da considerare. Le lampade a fluorescenza sono infatti fortemente influenzate dal numero di accensioni e spegnimenti e dal tempo in cui restano accese senza interruzioni. In altri termini, il loro utilizzo ideale è in locali dove la luce viene mantenuta accesa per periodi lunghi, o per lo meno per più di quindici minuti ogni volta. Se però le montiamo in bagno, o nel corridoio, allora qualche nodo comincia a venire al pettine: le numerose accensioni di breve durata finiscono per accorciare notevolmente la vita di una lampadina che, non dimentichiamolo, è costata molto di più.
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Però è proprio nella difesa dell’ambiente che le CFL hanno ancora un ostacolo da superare per dimostrare di essere la risposta definitiva. C’è infatti il grosso problema dello smaltimento. Le lampade a fluorescenza contengono mercurio, anche se in misura minima (circa 5 milligrammi). La tossicità di questo elemento rende indispensabile un riciclaggio molto accurato. Nell’Unione Europea si punta infatti a riciclare almeno l’80% delle lampadine CFL in modo corretto, ma la struttura destinata a questo compito è ancora da mettere in piedi.
Del resto, molti nel settore pensano che le CFL possano essere solo una soluzione temporanea, e non va dimenticato che l’Unione Europea indica solo il livello di efficienza energetica delle lampadine del futuro, ma non si lega ad un tipo specifico. E allora probabilmente la risposta più efficiente al problema di ridurre i consumi per l’illuminazione passa attraverso una tecnologia completamente diversa: i LED (diodi ad emissione luminosa). Nati negli anni ’60, a loro ci siamo abituati da tempo: si trovano in quasi tutti gli apparecchi elettronici, come indicatori o proprio per fornire illuminazione. Nelle torce elettriche tascabili hanno ormai spiazzato quasi definitivamente le lampadine, mentre nelle auto cominciano ad essere impiegate estesamente per i fari. Ed ora appaiono sempre più spesso nelle case, soprattutto in forma di faretti composti da decine di singoli Led.
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Sulla carta sono impressionanti: 50.000 ore di durata e 140 lumen per ogni watt assorbito (una lampadina tradizionale ne produce circa 17). Il loro essere componenti a stato solido, inoltre, li rende anche particolarmente resistenti. Però i problemi non mancano neanche qui, a cominciare dal prezzo (da 15 ad oltre 30 volte quello di una lampadina tradizionale) e dal tipo di luce prodotta. Un Led, infatti, emette luce solo in una banda dello spettro luminoso molto ristretta. Quindi per ottenere una luce bianca bisogna adottare qualche trucco, ed anche così i colori degli oggetti illuminati vengono falsati. Ma in questo campo gli sviluppi tecnologici sono veramente rapidi, come nel caso della recente ricerca condotta alla Seul National University, dove è stato prodotto, per ora solo a livello sperimentale, un nuovo tipo di Led capace di generare luce molto simile a quella delle classiche lampadine ad incandescenza.
Anche se ci vorrà ancora qualche anno, e gli eredi non sono ancora certi, le lampadine classiche si trovano insomma in pieno canto del cigno. Ma non tutte. La normativa europea ne salva alcune: quelle nei frigoriferi e nei forni, ad esempio. Oppure quelle usate per il riscaldamento delle incubatrici per i neonati, o anche per scaldare i pulcini degli allevamenti. Qui le soluzioni alternative devono ancora essere ideate. Così, per il momento ci sarà ancora qualcuno che sfornerà bulbi di vetro con dentro un filo, proprio come si faceva all’inizio del secolo.

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