Una risata vi/ci seppellirà – La mostra “Totò Genio” al Museo di Roma in Trastevere

Antonio de Curtis, per tutti Totò, è stato una mente brillante e un genio amato da tutte le generazioni. Le sue espressioni, i suoi sguardi, la capacità di ribellarsi alle angherie con una risata, le movenze che ci hanno fatto ridere sono ricordi indimenticabili e inimitabili.
120 anni fa nasceva il “Principe della risata” e il prossimo 15 aprile saranno 51 anni dalla sua morte.

Totò, un attore che, senza proclami né appartenenze, è stato futurista, cubista, dadaista, astrattista, ermetico, neorealista, pop. La sua lingua e la sua comicità, frutti di un’improvvisazione che si raffinava e perfezionava nel tempo, erano un’invenzione continua, anarchica, archetipica, le cui radici – la fame, l’amore, il sesso, la risata, la malinconia – si perdono nella notte dei tempi.

Sono così varie le sfumature della sua comicità, così infinite le risorse della sua maschera, così esuberanti le sue parole e le sue espressioni linguistiche, che sollecitano la risata lungo traiettorie sempre diverse, spostandosi con disinvoltura dal surreale alla satira, dalla caricatura alla farsa.

Ma la risata o la bellezza della pernacchia in Totò sono anzitutto un potente rimedio contro la sopraffazione: è il ridicolo che toglie altezza ai potenti e ne indebolisce le minacce.

Ecco, è questo l’aspetto che io più amo fra le mille venature del personaggio di Totò, e mi vengono subito in mente alcune scene immortali: la pernacchia al gerarca nazista, il rifiuto all’ordine di sparare (“Io ho carta bianca!” intima il graduato tedesco, e sappiamo tutti la risposta che riceve), lo sberleffo al borioso onorevole Trombetta, la derisione pubblica del sedicente autore di un “Picassò”.

E le ragioni di questa ribellione continua s’intravedono ancora una volta in un film, in quel bellissimo monologo in cui Totò divide l’umanità in “uomini” o “caporali”: una distinzione sottile che, attraverso le amare osservazioni del personaggio, lascia scorgere in trasparenza anche la malinconia dell’attore.

Caro Antonio gli italiani continuano a votarli!

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“Sono napoletano, sembro della CNEF: ‘cca nisciuno è fesso”
“La mia faccia non m-i è nuova, ce l’ho da quando sono nato”
“Io tocco.. Ma lei perché mi fa il ritocco?..”
“A proposito di politica, ci sarebbe qualche cosarellina da mangiare?”
“Di notte, quando sono a letto, nel buio della mia camera, sento due occhi che mi fissano, mi scrutano, mi interrogano, sono gli occhi della mia coscienza.”
“Lei è un cretino, s’informi!”
“Si dice che l’appetito vien mangiando, ma l’appetito viene a star digiuni”
“Scusa ieri cosa ti ho detto? Domani ti pago e domani ti pago”
“Chi dice che il denaro non fa la felicità, oltre ad essere antipatico, è pure fesso!”
“La donna è mobile e io mi sento mobiliere”
“Dai retta a me futilizzati!”
“Il coraggio non mi manca, è la paura che mi frega”
“Il nostro paese è un paese di navigatori, di santi, di poeti e di sottosegretari”
“Ma mi faccia il piacere!!”
“E io Pago!”
“Qualche volta sono stato usato, ma non si vede”
“Che cosa ho chiesto a San Giovanni? Un terno? Una quaterna? Una cinquina? Niente di tutto questo, ma una sciocchezzuola, una bazzeccola, una quisquiglia, una pinzellacchera: far cadere la lingua a mia moglie”
“Lei vuole sposare mia figlia? No, non se ne fa niente: a me i generi non interessano a meno che non siano alimentari”
“Una ragazza con gli occhi a mandorla, la bocca a ciliegia e le guance di pesca”
“Io sono integro e puro, sia di corpo che di spirito: non ho commesso peccati né di carne né di pesce”
“Evado di giorno perché non mi va di essere un evaso di notte”
“Cavalli celebri: il cavallo di Troia, i cavalli di Frisia, piazza Magnacavallo e il cavallo dei pantaloni”
“L’orologio a cucù si è guastato perchè il becco dell’uccellino si era tappato, il suono gli usciva dalla parte opposta del corpo e, naturalmente, era una fetecchia: sono cose che possono capitare a tutti”

La mostra racconta il genio artistico di Totò a tutto tondo, partendo dal cinema e dal teatro e indagandone anche la figura di autore di canzoni e di poesie.

Attraverso documenti personali, cimeli, lettere, disegni, costumi, fotografie, installazioni e testimonianze, Totò Genio propone un viaggio indietro nel tempo, nell’universo di Totò.

In esposizione i disegni realizzati da Pier Paolo Pasolini per la Terra vista dalla luna, i disegni di Federico Fellini e di Ettore Scola, ma anche da fumettisti celebri come Crepax, Pratt, Manara, Onorato e Pazienza. Inoltre, fotografie che ritraggono Totò insieme ai grandi personaggi del Novecento e una poesia scritta da Paolo Conte e dedicata al grande interprete napoletano.

Ovviamente ampio spazio è dato alla sezione che racconta il rapporto di Totò con il cinema (è stato protagonista di 97 film) ripercorrendone la carriera attraverso manifesti, locandine e fotobuste.

Non mancano infine le sue poesie, come la celebre “A livella” (alla fine del percorso, il cancello da varcare è unico per tutti: re, magistrati, nobiluomini o “scopatori”. Perché “’A morte ’o ssaje ched’è… è una livella”) e le sue canzoni, come Malafemmena, composta da Totò nel 1951 e poi declinata in centinaia di versioni.

Tanti film di Totò furono mutilati nella pretesa che potesse esistere una satira educata, sobria, decente, edulcorata e innocua. Solo dalla lettura delle sceneggiature originarie si può valutare il danno causato alla sua genialità dal cinema italiano di quegli anni. Con Totò, Monicelli, Steno, Mattoli, Mastrocinque, Bolognini e tanti altri artisti originali furono soffocati dal preteso rispetto verso la moralità, il buon costume, le istituzioni laiche e religiose e qualunque categoria protetta verso la quale era inconcepibile l’irriverenza.

La censura teatrale, rispetto a quella cinematografica, aveva però un problema – salvo sanzionare un danno avvenuto: si può sforbiciare il copione ma non si può interrompere la recita in corso! È persino divertente leggere oggi la nota del questore Saverio Polito del 10 maggio 1949 al capo della Polizia che denuncia come Totò, interpolando con battute a soggetto il copione approvato, renda inutile tutta la procedura predisposta all’approvazione.

Ma non è solo la vocazione di Totò all’improvvisazione a scombinare tutto: non era neanche possibile dalla mera lettura del testo sottoposto a esame raffigurarsi come l’eccezionale espressività dell’artista permettesse alla mimica di dire l’indicibile! Alcuni soggetti privati, esponenti della politica e della cultura (giornalisti, architetti, artisti, giuristi, scrittori, militari…), consci della rilevanza nazionale delle loro esperienze e opere, versano la documentazione prodotta durante la loro attività all’Archivio Centrale dello Stato proprio per renderne impossibile la perdita di memoria. Fra questi il fotografo e regista Osvaldo Civirani e l’autore teatrale e attore Peppino De Filippo. I loro archivi conservano bellissime immagini di cinema e di teatro e fra queste tutti gli indimenticabili volti di Sua Altezza Imperiale il Principe De Curtis dei Griffo Focas Gagliardi Antonio, in arte Totò.

Il teatro è raccontato attraverso costumi di scena, filmati d’epoca e installazioni multimediali, mentre la sezione pubblicità ci mostra Totò nella meno nota veste di testimonial di alcuni prodotti italiani di quegli anni, come la Lambretta e la Perugina. E ancora: Napoli, il grande amore Franca Faldini, la dedizione agli animali, gli aspetti privati dell’uomo Antonio de Curtis e, infine, la sezione Nessuno mi ricorderà, dedicata ai suoi funerali, che furono tre, il primo a Roma, il secondo a Napoli e il terzo nel Rione Sanità sempre a Napoli, in cui era nato.

Ma è proprio nella capitale che Totò visse gran parte della sua vita: prima in due appartamenti in viale dei Parioli e poi in viale Bruno Buozzi, e infine nella casa di via dei Monti Parioli dove morì il 15 aprile 1967 all’età di 69 anni. Sempre nello stesso quartiere, perché amava la quiete di questo luogo dove poteva mantenere una vita pacata e riservata al di fuori dei set cinematografici.

È evidente, lungo il percorso della mostra, questo contrasto tra l’eclettica figura artistica di Totò e il totale disinteresse da parte del principe De Curtis per i riflettori, che lascia affiorare una personalità che, visitando la mostra, si definisce man mano nel percorso espositivo che si snoda in tre macrosezioni.

La prima guida lo spettatore alla scoperta di una storia che parte dal rione Sanità, dove nasce Antonio Clemente il 15 febbraio 1898, e si dirama nei vicoli di Napoli prima di arrivare alla ribalta dei grandi teatri e al cinema, passando per un’arte più intima espressa nelle poesie e nelle canzoni. Totò dialoga con il suo pubblico, il Principe recita il suo componimento più noto, ’A livella; vengono esposti gli scritti autografi delle sue canzoni da Miss, mia cara miss fino al suo capolavoro Malafemmena.

Nella seconda sezione è presentata l’immensa quantità di materiale che testimonia la stima che il mondo della cultura e dello spettacolo ha attestato all’artista in special modo dopo la sua morte e che comunque ancora oggi è viva “Al mio funerale sarà bello assai perché ci saranno parole, paroloni, elogi, mi scopriranno un grande attore: perché questo è un bellissimo paese, in cui però per venire riconosciuti qualcosa, bisogna morire”(Franca Faldini, citando le parole del compagno Totò). Fellini, Scola, Pasolini, Fo, le testimonianze filmate (oltre cinquanta) che spaziano da Aldo Fabrizi a Tognazzi, da Carlo Croccolo a Ninetto Davoli, da Achille Bonito Oliva a Camilleri, da Benigni a Carlo Verdone, gli articoli per ricordarlo e le tantissime fotografie che vedono il nostro accanto ai personaggi più significativi del secolo scorso.

La terza sezione ci porta con rispetto, ma anche con curiosità, negli aspetti meno noti di un Principe riservato e schivo, nei suoi affetti più grandi. Prima tra tutti Napoli, perché “Quanno se dice ‘Napule’ s’annomena ’a riggina!”, diceva lui. Un filmato eccezionale lo mostra nell’inedita veste di cicerone che amorevolmente illustra ai turisti in gita su un torpedone le bellezze di Partenope.

Poi Franca Faldini, la “femmina sincera” compagna degli ultimi quindici anni di vita morta il 22 luglio del 2016. E ancora: gli animali, per i quali il principe De Curtis provava un affetto incondizionato, in particolare per i cani, che ebbe sempre accanto e per i quali si prodigò. La passione, quasi un’ossessione, per l’araldica e la ricerca delle sue origini nobiliari, e il gusto per la cucina, raccontato dalle ricette tramandate dalla figlia Liliana.

Ampio spazio – attraverso fotografie, filmati storici provenienti dall’Archivio Luce e dalla Rai, giornali e ricordi – viene dato poi alle tre cerimonie funebri organizzate per la morte avvenuta, improvvisamente, all’alba del 15 aprile del 1967 (cliccare qui). I funerali – a Roma (chiesa di Sant’Eugenio) e poi a Napoli nella basilica santuario del Carmine Maggiore e ancora il 22 maggio 1967 nella chiesa di San Vincenzo al rione Sanità – richiamarono decine di migliaia di persone, contraddicendo la profezia di Totò, convinto che nessuno si sarebbe ricordato di lui.

Le battute di Totò riguardavano spesso la politica in una chiave che già veniva detta “qualunquistica” (il partito dell’Uomo Qualunque era stato fondato il 16 febbraio 1946 dal commediografo Guglielmo Giannini, un uomo di spettacolo che Totò conosceva).

Da bravo nobile o presunto tale, Totò era monarchico (e massone), ma da napoletano cresciuto nei poveri vicoli della Sanità, aveva uno spiccato senso delle disuguaglianze sociali, e sapeva come parlare a “los de abajo”, come si dice in America Latina, a quelli che stanno sotto. Era antica la sfiducia dei più verso uno Stato costantemente nemico e distante, ben radicata in un paese mal governato e dove gli squilibri economici erano enormi.

Totò era anche in questo il portavoce di un sentimento diffuso, discutibile quanto comprensibile. Ma era anche per questo che Totò non era ben visto dalla critica cinematografica ufficiale del dopoguerra, fin troppo ideologica e schierata. Lo si accusava di “volgarità”, dimenticando che quest’insulto riguardava storicamente la cultura del “volgo”.

Per restare agli anni di Totò: il suo era un pubblico di contadini, di operai, di artigiani, di sottoproletari e di marginali. Di poveri e di oppressi, non importa se settentrionali o meridionali o insulari; il suo cinema comico sapeva accontentare tutti, sciorinando caratteristi fortemente connotati dai loro tanti dialetti.

Ma come dice Totò : ““Perciò, stamme a ssenti…nun fa”o restivo, suppuorteme vicino che te ‘mporta?
Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie … appartenimmo à morte!”
“.

Grazie Totò.

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