In giro tra Forlì e Ravenna


Sono stato, in occasione di un mio impegno di lavoro, in giro tra Forlì e Ravenna assieme a mia moglie e, questo è il post con le sensazioni e le informazioni del viaggio, suddiviso per motivi tecnici in due parti.
1° giorno, giovedì 26 aprile 2018: Forlì (117.600 ab. – 34 m s.l.m. – 23°-29°)
Partenza in treno ore 7:30 da Roma e arrivo alle ore 10:30 alla stazione di Forlì; la città – uno dei capoluoghi di provincia dell’Emilia Romagna – si estende in pianura, sulla Via Emilia.

Forum Livii si chiamava ai tempi di Roma, ma solo con il Medioevo ha inizio la vera storia della città, contrassegnata da importanti eventi e duri scontri con gli altri centri urbani, che sul territorio di riferimento volevano imporre il loro dominio assoluto, sia economico, che da un punto di vista del controllo del territorio inteso in senso più ampio.

Nel XII secolo era in lotta contro Venezia, poi con Bologna e poi con Firenze. Passata alla Signoria degli Ordelaffi, vi rimase fino al 1488 quando passò in mano al Conte Girolamo Riario. Nel 1504 la città passò sotto il dominio della Chiesa e vi rimase fino al 1859, anno in cui fu unita alla Patria. Al Risorgimento aveva donato uomini famosi come Pietro Maroncelli e Aurelio Saffi. Oggi Forlì è una città fiorente, vivace, con ariose piazze e belle vie.

Passiamo ora a visitare la città, raggiungendo subito, dalla Stazione, il centro della stessa, che è rappresentato dalla Piazza Aurelio Saffi. Piazza molto grande che racchiude praticamente tutto ed è strategica perché collega il centro a quattro vie che portano a negozi, bar, ristoranti, pizzerie e locali del centro di Forlì. Ci sono anche gli autobus che portano alla stazione centrale.

Troviamo qui il bel Palazzo del Podestà, il Municipio e l’antica Abbazia di San Mercuriale (primo Vescovo di Forlì). Quest’ultima è sicuramente la Chiesa più famosa della città e la sua costruzione risale al XII secolo. All’interno ammiriamo gli affreschi del Palmezzano, il sarcofago di Barbara Manfredi, opera dello scultore Francesco di Simone Ferrucci (1473-1493), dopo il trasbordo dalla Chiesa di San Biagio a seguito dell’ultimo conflitto mondiale. Barbara Manfredi fu prima moglie di Pino III, signore di Forlì a fine Quattrocento.

Accanto alla chiesa c’è il Campanile, il più caratteristico monumento della città. Raggiunge l’altezza di 75,5 metri ed è opera del Magistro Aliotto (forse forlivese) su progetto di un certo Francisco Deddi. Al suo interno si eleva una torre cilindrica e, fra questa ed il muro, c’è una scala che porta fino alla torre campanaria, dalla cui sommità si può ammirare un vastissimo panorama sugli Appennini e la Pianura in generale.

Carino anche il chiostro esterno con un vecchio pozzo, dalle cui arcate si ha la vista sulla piazza e la torre civica visibile da vari punti della città.

Dal 10 febbraio al 17 giugno 2018 a Forlì è in corso la grande mostra L’Eterno e il Tempo tra Michelangelo e Caravaggio, allestita ai Musei San Domenico, una mostra caratterizzata da un nuovo percorso espositivo che, per la prima volta, utilizza come sede la Chiesa conventuale di San Giacomo Apostolo, a conclusione del suo integrale recupero. All’ingresso mi viene subito fatto notare che non posso scattare foto, neanche senza flash, e mi domando perché, dal momento che ho fatto foto (senza flash) in ogni museo del mondo senza problemi. Non possono essere motivi commerciali dal momento che le mie foto non entrano certo in competizione con quelle professionali scattate con il cavalletto e inserite all’interno di riviste e/o cataloghi. Le foto scattate nei musei e condivise sui social inoltre diventano esse stesse veicolo di diffusione della conoscenza. Attraverso le fotografie dei visitatori, non solo viene trasmessa l’immagine del museo, ma viene diffusa un’immagine personale, e quindi molto più coinvolgente.

La mostra mette in scena per la prima volta in maniera compiuta il fascino del secolo compreso tra un superbo tramonto del Rinascimento e l’affermazione del Barocco, documentando quello che è stato uno dei momenti più alti e affascinanti della storia dell’arte occidentale. Gli anni che idealmente intercorrono tra il Sacco di Roma (1527) e la morte di Caravaggio (1610); tra l’avvio della Riforma protestante (1517-1520) e il Concilio di Trento (1545-1563); tra il Giudizio universale di Michelangelo (1541) e il Sidereus Nuncius di Galileo (1610).

Dall’ultimo Michelangelo a Caravaggio, l’esposizione forlivese tesse un filo estetico di rimandi unici che illustra la nascita dell’età moderna. Un percorso culturale innovativo che mostra capolavori di Raffaello, Rosso Fiorentino, Lorenzo Lotto, Pontormo, Sebastiano del Piombo, Correggio, Vasari, Daniele da Volterra, El Greco, i Carracci, Barocci, Veronese, Tiziano, Zuccari, Reni e Rubens.

Il periodo che intercorre tra il compimento del Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina (1541) e l’affermazione a Roma di Caravaggio è per la storia dell’arte uno dei più avvincenti e stimolanti.
La pittura della Maniera aveva messo in campo le ragioni di un’“arte per l’arte”, in cui a prevalere erano il capriccio e la “licenza”, ovvero una sorta di trasgressione che stesse dentro alla regola: un’arte colta, rivolta a un élite in grado di compiacersi del gioco di rimandi ai modelli di Raffaello e di Michelangelo, sentiti come insuperabili.

A mettere in crisi questo modo di intendere l’arte era stata la polemica dei riformatori protestanti che, contro il lusso della corte pontificia, si richiamavano al rigore della Chiesa delle origini. Ma, ancora prima che il Concilio di Trento teorizzasse il valore didattico delle immagini – “da venerare secondo ciò che rappresentano”, sventando così il rischio iconoclasta – gli artisti avevano autonomamente elaborato una nuova figurazione in cui le esigenze del racconto prevalessero sullo sfoggio di un virtuosismo fine a sé stesso.
Denys Calvaert – La morte di Cleopatra, 1590, olio su tela
Nella stessa Roma si erano per tempo avvertiti segnali di ritorno a una nuova concentrazione sul tema del sacro.
Daniele da Volterra – Il profeta Elia nel deserto 1550 ca., olio su tela
La vicenda umana e artistica di Michelangelo appare sintomatica se proprio la sua aspirazione a una figurazione rigorosa e spogliata di ogni orpello aveva finito per attrarre su di sé gli strali di quanti vedevano nell’essenzialità del nudo un’offesa al decoro. La sua meditazione, compresa da pochi, aveva così offerto il destro alle polemiche più feroci, caratterizzando la malinconica ricerca spirituale dei suoi ultimi anni.
El Greco – Ragazzo che soffia su un tizzone acceso, 1571-72, olio su tela
Già prima della metà del secolo Roma si propone come centro di elaborazione di nuovi percorsi, di cui la mostra evidenzia la ricca eterogeneità. Paolo III Farnese, che nel 1545 indice il Concilio di Trento, è a capo di una vera e propria corte alla stregua di quelle europee. Per lui lavorano artisti come El Greco e Giovanni de’ Vecchi, promotori di una ventata neo-mistica, e architetti come Antonio da Sangallo il Giovane e il Vignola, che mutuando linguaggi dallo studio dell’antico elaborano una nuova concezione spaziale.
Correggio – Il Compianto sul Cristo morto, 1524 ca., olio su tela
Il fervore costruttivo alimenta la richiesta di nuove opere sacre, concepite in ordine a una nuova leggibilità e a un diffuso sentimento di pietà. E mentre artisti come Girolamo Muziano e Federico Zuccari sapranno farsi interpreti di una narrazione didascalica, nella quale la pittura torna a farsi “libro illustrato” per gli illetterati, sarà Federico Barocci a coniugare, grazie alla riscoperta di Correggio, fervore religioso e sentimentalità prebarocca.
Paul Rubens – L’Adorazione dei pastori, 1608, olio su telaCaravaggio – Fanciullo morso da un ramarro, 1596-97, olio su tela

Parallelamente lo scrupolo di attenersi al “vero”, al “verosimile” finisce per sviluppare una ripresa dell’autonomia degli studi storici e di quelli naturalistici.

Si sono fatte le 14:30, abbiamo appetito, ed incrociamo in Corso Garibaldi un negozio di piadine con tante possibilità di ripieno compreso lo squacquerone.

Ci muoviamo fotografando vari angoli della vicina piazza Saffi, cuore della città, ovviamente al centro la statua di Aurelio Saffi.

Partenza in treno e arrivo a Ravenna alle ore 17:30 al nostro Exclusive Hotel Residence La Reunion 4*; poi passeggiata in centro in piazza del Popolo che è il luogo dove ravennati e non si danno appuntamento.

Costruita dai veneziani che vollero ricordare piazza san Marco con due colonne, una con in cima sant’Apollinare, patrono di Ravenna e l’altra il leone alato, in seguito abbattuto dai ravennati dopo la fine del dominio veneziano, avvenuta nel 1509 e sostituito da San Vitale. Dopo l’unità d’Italia fu intitolata a Vittorio Emanuele II e prese il nome attuale in seguito al referendum del 2 giugno del 1946 che proclamò la repubblica.


Dopo a cena -sempre in zona- alla Taberna Boaria, locale caratteristico cosparso di esempi di mosaici intervallati da richiami di attrezzi rupestri, grappoli d’uva essiccata pendenti da piccole travi intersecate a una stesa di botti appese con maestria al soffitto. Abbondante e di qualità il tagliere di salumi e formaggi serviti con la piadina.  Abbiamo particolarmente apprezzato i primi (Passatelli con fonduta e tartufo) ma anche la carne è ottima. Il tutto accompagnato da Sangiovese.

2° giorno, venerdì 27 aprile 2018: Ravenna (171.000 ab. – 4 m s.l.m. – 13°-19°)

Ravenna si può definire con certezza un tesoro sconosciuto alla maggioranza degli italiani. Oscurata dalle più famose città d’arte italiane (Firenze, Roma, Venezia, Napoli) è in realtà una cittadina straordinaria che attira turisti e appassionati d’arte da tutto il mondo. Pochi sanno che è stata per tre volte, capitale di tre imperi: dell’Impero Romano d’Occidente, di Teodorico Re dei Goti, dell’Impero di Bisanzio in Europa.


Questo passato è testimoniato dalle basiliche e dai battisteri di Ravenna, dove si conserva il più ricco patrimonio di mosaici dell’umanità risalente al V e VI secolo.

Pochi sanno anche che Ravenna ha otto monumenti inseriti nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO e che le spoglie di Dante sono conservate qui, e non a Firenze.

La giornata è splendida, il cielo terso ed un piacevole sole ci accompagneranno per tutto il giorno di cammino.
Il Mausoleo di Teodorico
Secondo la leggenda la vasca in porfido rosso che si trova al piano superiore del Mausoleo è la stessa in cui trovò la morte l’Imperatore barbaro. Poiché aveva paura dei fulmini, in un giorno di temporale si rifugiò nel suo mausoleo ma un fulmine venne a colpirlo proprio mentre stava facendo il bagno.


Dalla fessura a forma di croce aperta nel tetto del Mausoleo, sarebbe poi arrivato un cavallo nero che lo avrebbe gettato nell’Etna!
Sono tante le leggende sulla morte di questo re barbaro che governò l’Italia per 33 anni portando tolleranza, pace e ricchezza e che nel 520 d.C. si fece costruire come propria sepoltura questo mausoleo interamente realizzato in blocchi di pietra d’Istria, affinché trovasse pace a Ravenna, dove aveva vissuto. La struttura a due piani a forma decagonale e con un massiccio tetto fatto con un unico blocco di pietra lo rende un monumento singolare, completamente differente rispetto agli edifici in mattone di Ravenna.


Al di sopra del mausoleo si innalza una grande cupola monolitica, coronata da dodici anse recanti i nomi di otto Apostoli e di quattro Evangelisti. Le sue misure sono sorprendenti: 10,76 m di diametro e 3,09 m di altezza. Il peso, secondo calcoli recenti, raggiunge le 230 tonnellate. Da una nicchia si accede all’ordine inferiore la cui destinazione, si presume, fosse quella di una cappella, a pianta cruciforme, usata in origine per servizi liturgici. Al vano superiore si accede attraverso una piccola scala esterna. Qui è collocata una vasca di porfido in cui si presume fosse stato sepolto lo stesso Teodorico, le cui spoglie furono rimosse durante il dominio bizantino, a seguito dell’editto di Giustiniano del 561, quando il mausoleo fu trasformato in oratorio e consacrato al culto ortodosso.

A Ravenna, con il biglietto cumulativo da 11,50 € è possibile visitare le 5 attrazioni più importanti e più rappresentative del mosaico bizantino, lo stile principe della città. I 5 monumenti compresi nel biglietto unico sono: Battistero Neoniano (o degli ortodossi), Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, Basilica di San Vitale, Mausoleo di Galla Placidia e museo Arcivescovile.
Noi facciamo il biglietto al Battistero Neoniano, il primo che visitiamo. Il battistero del V secolo ha come particolarità principale la meravigliosa cupola decorata ovviamente a mosaico e che raffigura al centro la scena del battesimo di Cristo, per scendere poi alle figure dei 12 apostoli.

Proseguendo nel nostro giro, decidiamo di visitare la basilica di San Francesco (cliccare qui)
che tra l’altro è gratuita. Qui si sono tenuti nel 1300 circa i funerali di Dante, ma la curiosità di questa basilica è che la cripta, trovandosi sotto il livello del mare, è stata invasa dall’acqua e addirittura si può anche vedere qualche bel pesce rosso nuotare!


La basilica, situata nell’omonima piazza nel centro storico, è sede di parrocchia affidata all’Ordine dei frati minori conventuali. L’attuale edificio risale al IX-X secolo, ed è stato più volte rimaneggiato sia all’esterno, sia all’interno.


Al di sotto del presbiterio si trova la cripta del IX-X secolo, raggiungibile tramite una doppia rampa di scale ed avente come ingresso una piccola finestra ad arco da cui è possibile vederla senza però potervi accedere.

La cripta è a tre navate e coperta con volte a crociera sorrette da quattro colonnine con semplici capitelli geometrici. Sul pavimento, vi sono gli antichi mosaici, risistemati nel 1977; tra questi un’iscrizione che ricorda l’originaria destinazione dell’ambiente, ovvero quella di accogliere le spoglie del vescovo Neone.


Trovandosi sotto il livello del mare l’acqua invade la Cripta come fosse una piccola piscina, dove nuotano anche diversi pesci creando un bellissimo effetto suggestivo.

Di fronte alla finestra di accesso alla cripta si trova il marmoreo sarcofago di Neone, vescovo di Ravenna nella seconda metà del V secolo e costruttore dalla primitiva chiesa nel V secolo.

Usciti dalla basilica, decidiamo di proseguire verso la attigua Tomba di Dante, un tempietto quadrato che custodisce i resti del famosissimo poeta fiorentino. All’interno si trova un sarcofago di epoca romana inciso in latino e un bellissimo bassorilievo raffigurante ovviamente il famoso viso di Dante Alighieri. All’esterno un bellissimo mosaico affisso ad un palazzo segnala che questa è la Zona del silenzio.

Per molti è una sorpresa scoprire che la Tomba di Dante si trovi a Ravenna e non a Firenze. Dante morì a Ravenna durante il suo esilio e nonostante i ripetuti tentativi di riportarlo nella città natale, è ancora qui. Il poeta era stato esiliato da Firenze, essendo un guelfo bianco e lo stesso Foscolo lo definì “Ghibellin fuggiasco”.


I Francescani del vicino convento trafugarono e conservarono gelosamente le ossa di Dante per diversi secoli, opponendosi alla volontà di sovrani e papi di riportare le spoglie a Firenze. Furono sempre loro a salvarle dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Oggi a ricordare Firenze e la toscana c’è la lampada votiva settecentesca alimentata con olio d’oliva degli appennini toscani che viene donato ogni anno (la seconda domenica di settembre) dalla città di Firenze.


La Tomba di Dante fu costruita tra il 1780 e il 1782 per volontà del cardinal legato Luigi Valenti Gonzaga e su progetto dell’architetto ravennate Camillo Morigia, secondo i contemporanei dettami neoclassici, nell’intento di restituire nobiltà e decoro alla sepoltura dantesca, fino ad allora ospitata all’interno di una semplice cappellina, più volte ristrutturata nel corso dei secoli.

L’interno fu rivestito di marmi policromi per il Centenario dantesco del 1921: sulla parete di fronte all’entrata è collocato il bel bassorilievo con il ritratto di Dante, scolpito da Pietro Lombardo nel 1483; ai piedi dell’arca sepolcrale è posta una ghirlanda in bronzo e argento offerta nel 1921 dall’esercito vittorioso nella Prima Guerra Mondiale e sul lato destro si trova la raffinata ampolla realizzata da Giovanni Mayer e donata dalle città giuliano-dalmate nel 1908.

A fianco del mausoleo dantesco è il giardino con il Quadrarco di Braccioforte, antico oratorio, che prende nome da una leggenda secondo la quale due fedeli prestarono un giuramento invocando il “braccio forte” di Cristo, la cui immagine era posta in quel luogo.

Passiamo velocemente al Battistero degli Ariani, gratuito e Patrimonio dell’Umanità, un po’ spoglio ma con una cupola meravigliosa e tutta dorata!
Il Battistero degli Ariani di Ravenna fu costruito durante il regno di Teodorico, quando Ravenna era la capitale dell’Impero e l’arianesimo era religione ufficiale della corte.


L’arianesimo è sempre stato considerato un’eresia del Cristianesimo perché secondo la dottrina ariana Cristo era figlio di Dio ma conservava la sua natura umana e, solo attraverso il rito del battesimo, che la natura divina fu comunicata a Cristo. I mosaici sulla volta del battistero celebrano proprio il battesimo di Cristo. A differenza del vicino Battistero degli Ortodossi, qui il giovane Cristo non viene rappresentato come proveniente da Oriente ma si dirige verso oriente, diventando divino solo nel momento del battesimo. È un uomo, quindi non c’è “censura” sulla sua nudità, mentre è immerso nelle acque del Giordano e Giovanni Battista gli comunica il Battesimo. Dall’alto scende la colomba divina, ad irrorare con un soffio di luce, simbolo dello Spirito, il capo del Cristo.

Il Battistero Neoniano invece fu la risposta cattolica (del vescovo Neone) all’eresia Ariana, che proprio in Ravenna aveva avuto il massimo splendore sotto il regno di Teodorico.

Una contrapposizione che si ritrova anche nel Cristo raffigurato nel mosaico sotto la cupola, che a differenza di quello nel vicino Battistero degli Ariani viene da Oriente (“luce da luce, Dio vero da Dio vero”) ed è divino anche prima del battesimo comunicatogli da Giovanni Battista e dalla colomba divina (gli ariani affermavano il contrario).


Si racconta che Carl Gustav Jung (uno dei padri della psicanalisi), agli inizi del Novecento in un suo viaggio a Ravenna vide nel Battistero Neoniano, un mosaico che rappresentava Cristo mentre tende la mano a San Pietro che sta per affogare. Discusse a lungo di questa immagine con la sua compagna di viaggio e la interpretò come un segno della morte e della rinascita. Solo molto tempo dopo, quando cercò una foto del Battistero Neoniano, si accorse che quell’immagine non esisteva ed era stata il frutto della sua immaginazione. Jung usò quell’episodio per scrivere bellissime pagine sul rapporto tra inconscio e coscienza e di come anche l’immaginazione modifichi il modo in cui vediamo la realtà.


Il battistero, di forma ottagonale e in muratura, presenta lati alternativamente rettilinei e absidati, traforati in alto da una finestra con arco a tutto sesto e porte interrate. L’interno, articolato in due ordini di arcate sovrapposte, presenta una ricca decorazione tripartita: marmi nella parte inferiore, stucchi nell’area mediana e mosaici in quella superiore di evidente influenza ellenistico-romana.

Al centro della cupola un grande medaglione racchiude la scena del battesimo di Cristo, raffigurato immerso sino alla vita nelle acque trasparenti del fiume Giordano che a oggi costituisce la più antica testimonianza di una scena del battesimo di Cristo eseguita a mosaico in un edificio monumentale.

Attorno al medaglione, in una prima fascia su fondo blu, emergono le figure dei 12 apostoli, suddivisi in due schieramenti, capeggiati da San Pietro e San Paolo; nella seconda, invece, si alternano otto settori architettonici caratterizzati da un’ampia esedra con troni e altari a suggerire il concetto di città celeste e diffusione della dottrina cristiana.

Al centro dell’edificio, una vasca ottagonale di marmo greco e porfido, rifatta nel 1500, conserva ancora qualche frammento originale del V secolo.

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