In giro tra Forlì e Ravenna
Il Mausoleo di Galla Placidia (cliccare qui)
Avvicinandosi al Mausoleo di Galla Placidia non si immagina che la semplicità dell’esterno nasconda in pochi metri quadrati così splendidi mosaici, i più antichi di Ravenna; qui troviamo tutti i più famosi mosaici di Ravenna che vediamo spesso rappresentati nelle cartoline dei negozi, come ad esempio le due colombe oppure i motivi geometrici degli archi o, appunto, il cielo notturno stellato.
Non esageriamo se affermiamo che l’atmosfera del Mausoleo è magica. Galla Placidia (386 – 450 d.C.), sorella dell’imperatore Onorio, l’artefice del trasferimento della capitale dell’Impero Romano d’Occidente da Milano a Ravenna nel 402 d.C., fece costruire questo piccolo mausoleo a croce latina per sé intorno al 425-450; tuttavia non fu mai utilizzato in tal senso in quanto l’imperatrice, morta a Roma nel 450, fu seppellita in questa città. Anche se oggi appare come un edificio a sé, in origine doveva collegarsi al lato meridionale del nartece della vicina Chiesa di Santa Croce, realizzata sempre da Galla nel secondo quarto del V secolo.
Esternamente è molto semplice e modesto, soprattutto se confrontato con la ricchezza della decorazione musiva interna, resa ancora più splendente dalla luce dorata che filtra attraverso le finestre di alabastro. Ma è il cielo stellato riprodotto sulla volta a colpire più di tutto la fantasia dei visitatori e a restare impresso per sempre negli occhi.
La parte inferiore delle pareti è rivestita da marmi mentre la zona superiore è interamente decorata da mosaici che ricoprono pareti, archi, lunette e cupola. I temi iconografici, a cavallo tra la tradizione artistica ellenistico-romana e quella cristiana, sviluppano a più livelli interpretativi il tema della vittoria della vita eterna sulla morte. Quest’edificio emana un’atmosfera magica.
Le innumerevoli stelle della cupola hanno colpito nel corso dei secoli la fantasia e la sensibilità dei visitatori tanto che si narra che Cole Porter, in viaggio di nozze alla fine degli anni ’20 a Ravenna, rimase talmente colpito dall’atmosfera del piccolo mausoleo e dalle sue stelle, da comporre la sua famosissima canzone Night and Day.
La tappa successiva della nostra visita è l’attigua Basilica di San Vitale (cliccare qui).
Questa chiesa è un tempio di forma ottagonale con la cupola affrescata, sul pavimento un mosaico raffigura un labirinto formato da cerchi concentrici, che simboleggiano il difficile percorso dell’uscita dal peccato per la purificazione. I mosaici, che ci lasciano con il fiato sospeso, sono meravigliosi, rappresentano scene bibliche, che hanno colori sfavillanti dal verde smeraldo all’oro. A mio parare i più belli che ho visto in questa incantevole città.
La Basilica a pianta ottagonale -uno dei monumenti più importanti dell’arte paleocristiana in Italia fondata da Giuliano Argentario su ordine del vescovo Ecclesio- fu consacrata nel 548 dall’arcivescovo Massimiano.
L’influenza orientale, sempre presente nell’architettura ravennate, assume qui un ruolo dominante sia da un punto di vista architettonico, in quanto fonde elementi della tradizione orientale e occidentale, sia della decorazione musiva che esprime in modo chiaro l’ideologia e la religiosità dell’epoca giustinianea. Alla basilica a tre navate si sostituisce un nucleo centrale a pianta ottagonale, sormontato da una cupola e poggiante su otto pilastri e archi. La cupola e i nicchioni furono affrescati nel 1780 dai Bolognesi Barozzi e Gandolfi e dal Veneto Guarana.
Nell’ottobre del 1960 papa Giovanni XXIII la elevò alla dignità di basilica minore.
Quando si entra nella basilica di San Vitale lo sguardo viene catturato dagli alti spazi, dalle stupende decorazioni musive dell’abside, dagli ampi volumi e dagli affreschi barocchi della cupola. Forse per questa tensione verso l’alto non si nota un piccolo e meno noto gioiello. Nel presbiterio, proprio di fronte all’altare, su un lato del pavimento ottagonale è rappresentato un labirinto. Le piccole frecce partono dal centro e attraverso un precorso tortuoso si dirigono verso il centro della Basilica. Nei primi anni della cristianità il labirinto spesso era usato come simbolo del peccato e del percorso verso la purificazione. Trovare la via d’uscita dal labirinto è un atto di rinascita.
Una volta completato il percorso del labirinto del pavimento di San Vitale si possono alzare gli occhi verso l’altare e contemplare i mosaici, tra i più belli della cristianità.
La presenza di svastiche all’interno della basilica (in particolar modo in una transenna marmorea che introduce all’abside), come in altri luoghi paleocristiani ravennati, non ha ovviamente alcun riferimento alle teorie diffuse dal regime nazista.
La svastica, o crux gammata, poiché i suoi uncini ricordano la lettera greca gamma, è un simbolo portafortuna universalmente conosciuto e molto antico, poiché se ne trova traccia in Asia, in Mongolia, in India e anche nell’America centrale. In effetti la svastica è presente in molte culture dell’antico e del nuovo mondo, la conoscevano i Celti, gli antichi Greci, gli Etruschi, gli Egizi, i popoli della Mesopotamia e gli Aztechi.
La Cappella Arcivescovile o di Sant’Andrea costituisce l’unico esempio di cappella arcivescovile paleocristiana giunta integra sino a noi. Fu costruita da Pietro II (494-519) come oratorio privato dei vescovi cattolici durante il regno di Teodorico, quando il culto dominante era quello ariano. Dedicata originariamente a Cristo, fu in seguito intitolata a Sant’Andrea, le cui reliquie erano state trasportate da Costantinopoli a Ravenna attorno alla metà del VI secolo. La cappella è costituita da un vano a pianta cruciforme preceduto da un piccolo vestibolo rettangolare, ricoperto da volta a botte e interamente rivestito in marmo nella parte inferiore e a mosaico in quella superiore.
L’iconografia è di grande interesse: tutto il programma decorativo, difatti, tende a glorificare la figura del Cristo, in un’interpretazione chiaramente anti-ariana. La presenza del Salvatore in veste di guerriero, il suo monogramma e il suo volto dominano infatti in vari punti della cappella e le immagini dei Martiri, degli Apostoli e degli Evangelisti concorrono anch’essi a sottolineare questo concetto di glorificazione, come chiara affermazione dell’ortodossia cattolica.
Dopo tutto questo peregrinare attraverso la storia è arrivato il momento di rilassarci al ristorante Ca’ de ven. Bellissimo locale, in centro a pochi passi dalla tomba di Dante, composto da una sala molto caratteristica: soffitti affrescati e a volta in mattoncini, che prosegue verso un’altra stanza molto ampia contornata da vetrate. Menù tipico, con ampia scelta di piadine, cappelletti e passatelli in brodo davvero buoni. Piadina più alta del solito, soffice e sublime al palato. Prezzi nella media e servizio molto veloce
3° giorno, sabato 28 aprile 2018: Ravenna (171.000 ab. – 4 m s.l.m. – 11°-22°)
Basilica di Sant’Apollinare Nuovo
Da non confondere con Sant’Apollinare in Classe che si trova fuori dal centro storico, a 8 km da Ravenna, la Basilica ospita il più grande ciclo di mosaici del mondo.
Le pareti della navata centrale sono divise in tre fasce di mosaici ben distinte: la fascia più alta racconta la vita di Cristo, quella centrale Santi e Profeti e mentre quella inferiore ritrae il famoso Palazzo di Teodorico.
La cancellazione della figura dell’Imperatore e di altri personaggi, ricoperti da drappi bianchi, avviene nel momento in cui la basilica passa dal culto ariano (per cui era stata costruita) al culto cattolico. Sulla parete di fronte è ritratto il porto di Classe, uno dei più importanti del Mediterraneo ai tempi dell’Impero Romano.
La Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, fatta costruire da Teodorico nel 505 accanto al suo palazzo, fu in origine adibita a Chiesa palatina, di culto ariano.
Dopo la riconquista bizantina e la consacrazione al culto ortodosso (metà del VI secolo) fu intitolata a San Martino, vescovo di Tours. Secondo la tradizione, nel IX secolo le reliquie di Sant’Apollinare furono qui traslate dalla Basilica di Classe e in quell’occasione ricevette la sua intitolazione a Sant’Apollinare, detta “Nuovo” per distinguerla dall’ altra chiesa con lo stesso nome presente in città.
La Basilica presenta una facciata timpanata, inquadrata da lesene e traforata da una bifora sormontata da due piccole finestre. In origine, forse, era racchiusa da un quadriportico, ma attualmente è preceduta da un semplice e armonioso portico di marmo databile al XVI secolo. Sul lato destro il bel campanile cilindrico, caratteristico delle costruzioni ravennati, risale al IX o X secolo.
Al suo interno sopravvive la meravigliosa decorazione musiva dell’antica costruzione, la quale dal punto vista stilistico, iconografico e ideologico consente di seguire l’evoluzione del mosaico parietale bizantino dall’età teodoriciana a quella giustinianea.
Le 26 scene cristologiche, risalenti al periodo di Teodorico, rappresentano il più grande ciclo monumentale del Nuovo Testamento e, fra quelli realizzati a mosaico, il più antico giunto sino a noi.
Domus dei tappeti di pietra (cliccare qui)
La Domus dei tappeti di pietra è un sito archeologico della città di Ravenna collocato in un ambiente ipogeo situato circa tre metri sotto la Chiesa di Sant’Eufemia.
Il sito fu ritrovato fortuitamente nel 1993 durante i lavori per la costruzione di alcune autorimesse sotterranee in via D’Azeglio 47. Venne alla luce un palazzo interamente decorato con meravigliosi mosaici e intarsi marmorei, databile al periodo bizantino.
Le pavimentazioni musive sono decorate con elementi geometrici, vegetali e figurativi, per una superficie complessiva di 700 m².
I mosaici più famosi sono la Danza dei Geni delle Quattro Stagioni, rarissimo caso di geni danzanti in cerchio e il Buon Pastore.
Danza dei Geni delle Quattro Stagioni
Nella Danza dei Geni delle Quattro Stagioni appaiono quattro figure umane. A sinistra, il personaggio vestito di rosso con una corona di rose è la Primavera. In basso, la persona vestita di bianco è l’Autunno mentre il personaggio in alto che indossa un mantello verde è l’Inverno. Le stagioni stanno danzando e si tengono per mano. Autunno e Inverno danno la mano all’Estate, ma i mosaici che la raffiguravano non ci sono più. La quarta figura umana si trova in alto a destra ed è un musico che suona un flauto di canne.
Buon Pastore
Nel Buon Pastore, esso è ritratto in una versione differente da quelle tradizionali cristiane. È molto giovane ed ha i capelli corti. Indossa una tunica color azzurro con una stoffa arancione sotto il collo. Infine, indossa dei calzari ai piedi. Regge un bastone con il braccio sinistro. Alla sua destra e alla sua sinistra appaiono due cerbiatti. Dietro i cerbiatti vi sono due alberi alti come il Buon Pastore, con due uccelli sui rami. Rispetto alla Danza dei Geni delle Quattro Stagioni, questo mosaico è più rovinato. Del volto del Buon Pastore se ne vede solo metà. I mosaici che raffiguravano i bordi, gran parte dell’albero di sinistra e un po’ del ramo di destra non ci sono più.
Tra il 1993 e il 1994, la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna ha riportato alla luce presso via D’Azeglio un complesso di strutture edilizie databili tra l’età romana repubblicana e il periodo bizantino.
Di particolare interesse un palazzetto di cui sono stati individuati quattordici ambienti e tre cortili. Tutte le stanze dell’edificio erano pavimentate in tarsia di marmo o a mosaico con raffinate geometrie e inserti figurati in tessere policrome.
I “tappeti di pietra” dopo il loro restauro sono stati ricollocati nel luogo dove sono stati scoperti, in un ambiente sotterraneo appositamente realizzato al quale si accede dalla chiesa di Sant’Eufemia.
La Chiesa settecentesca e l’annesso Oratorio dei Cento Preti del XV secolo sono stati oggetto di un progetto di recupero funzionale dei volumi edilizi esistenti e della creazione del collegamento con lo scavo archeologico dei mosaici bizantini. L’opera è stata realizzata dall’Arcidiocesi nel programma degli interventi finanziati dalla legge per il Giubileo e, nella sua globalità costituisce un’operazione culturale che si spinge oltre la semplice conservazione del monumento per diventare esperienza unica ed esemplificativa di fruizione di una parte della città di grande valenza storico-religiosa.
Abbiamo visitato il Giardino Rasponi o delle Erbe Dimenticate: un delizioso angolo verde aperto al pubblico, collocato all’incrocio tra Via Rasponi e Via Guerrini, alle spalle del Battistero Neoniano. Le sue possenti mura di cinta attutiscono i rumori della città, creando un’atmosfera magica, esaltata dai colori e dai profumi delle erbe coltivate. Infatti vi sono presenti sia erbe recuperate dai ricettari degli speziali che erbe più note, di uso quotidiano, presenti nella cucina mediterranea.
Quindi, in attesa di riprendere il treno per tornare a Roma, abbiamo passeggiato lungo le piazze e piazzette, vie e viuzze tipiche di questo antichissimo e splendido centro storico.
Abbiamo gustato un imbottitissimo “crescione” (grande tortello ripieno preparato con lo stesso impasto della piadina e cotto anch’esso sulla teglia) in una piadineria tipica, gustato un gelato nella grande piazza Kennedy, acquistato dolci e piadine da asporto per portare con noi un po’ di fragrante profumo di questa incantevole città che è Ravenna.
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