Governo e Parlamento: una Repubblica fondata sui decreti


Una Repubblica fondata sui decreti; una forma di governo parlamentare che non interpreta più i valori costituzionali. In un semplice ma essenziale adagio, Leonardo Sciascia spiegava che occorre essere riformisti per ciò che non funziona e conservatori per quello che funziona.


Lo stato d’emergenza è caratterizzato da decretazione d’urgenza, decreti legge, abuso dei decreti legge, e quindi l’esautoramento di fatto del Parlamento, che dovrebbe essere il potere legislativo, mentre il Governo dovrebbe essere quello esecutivo.


Le continue richieste del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di limitare l’uso dei decreti legge, che per Costituzione dovrebbero avere solo un carattere di “necessità e urgenza”, sono presto spiegate. Il Governo Meloni ha finora adottato 25 decreti in sei mesi, la media più alta delle ultime 4 legislature, secondo Openpolis, con 4,17 decreti ogni 30 giorni. Tantissimi, anche per una Repubblica che ormai da tempo ha fatto l’abitudine all’uso allegro di questo strumento legislativo.


E gli eccessi dell’esecutivo a guida Fratelli d’Italia (FdI) sono destinati persino a peggiorare la situazione, visto che nei due mesi prima delle vacanze estive le Camere saranno impegnate a convertire in legge ben sei decreti, pena la loro scadenza.

Ergo: Parlamento ingolfato e probabile ricorso alla questione di fiducia, con conseguente compressione del dibattito e azzeramento – o giù di lì – delle possibilità di occuparsi anche d’altro, per esempio le proposte di legge di iniziativa parlamentare.
Dal suo insediamento il governo Meloni ha dovuto far fronte a diverse situazioni di crisi.
Per questo motivo l’attuale governo ha fatto un massiccio ricorso ai decreti legge. Sia per fronteggiare queste emergenze ma anche per dare attuazione al proprio programma.

Se da un lato il ricorso alla decretazione d’urgenza può apparire giustificato, dall’altro questo pone un tema che non deve essere sottovalutato: la progressiva scomparsa delle leggi ordinarie.

5 su 24 le leggi ordinarie approvate dall’inizio della legislatura.
Nel confronto con gli esecutivi precedenti infatti, se si escludono le ratifiche di trattati internazionali, quello attualmente in carica presenta la percentuale più bassa di norme ordinarie approvate sul totale di quelle entrate in vigore (17,4%).

Un dato ancora più rilevante se si considera che solo 4 norme approvate dall’inizio della legislatura sono di iniziativa parlamentare. Una di queste peraltro porta la firma della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.


Tale dinamica conferma ancora una volta le difficoltà del parlamento nel dettare l’agenda che, anche dal punto di vista legislativo, è sempre più saldamente in mano al Governo.
• Il Governo Meloni ha pubblicato 25 decreti legge in 6 mesi. Nello stesso periodo sono state approvate solamente 5 leggi ordinarie.
• L’attuale esecutivo presenta il dato più alto di decreti legge pubblicati in media al mese (4,17) tra i governi delle ultime 4 legislature.
• Con il Governo Meloni passano in media 4,5 giorni tra la deliberazione del decreto e la sua effettiva entrata in vigore. In alcuni casi si superano le 2 settimane.
• In molti casi il Governo ricorre ai decreti legge per ridurre al minimo le discussioni e approvare i provvedimenti così come deliberati in Cdm.

Negli ultimi anni il numero di leggi ordinarie approvate si è drasticamente ridotto. Il rovescio della medaglia è stato un significativo aumento nel ricorso alla decretazione d’urgenza. Non solo per fronteggiare situazioni di emergenza ma anche per implementare il programma di Governo. Una dinamica che ha caratterizzato tutti gli esecutivi che si sono succeduti alla guida del Paese ma che si è consolidata in particolar modo con l’esplosione della pandemia.

Successivamente a questo evento catastrofico infatti gli esecutivi hanno ulteriormente concentrato su loro stessi anche l’attività legislativa attraverso una produzione sempre più massiccia di decreti legge (Dl).

Il ricorso alla decretazione d’urgenza in quella fase era apparso comunque eccessivo, sebbene giustificato dalla situazione di emergenza. Tale dinamica tuttavia si è consolidata anche successivamente, tanto che la produzione di decreti legge è rimasta ingente.

E ha trovato una conferma anche con l’esecutivo attualmente in carica. Il Governo Meloni infatti fa registrare il dato più alto per quanto riguarda il numero medio di decreti legge pubblicati al mese tra i governi delle ultime quattro legislature.
L’ennesima conferma di come anche il potere legislativo sia sempre più in mano all’esecutivo che legifera a colpi di decreto.
• Con il Governo Meloni sono state approvate 4 leggi al mese. Il dato più basso delle ultime legislature.
• Il 17,4% delle leggi approvate con il governo Meloni è di natura ordinaria. Anche in questo caso la quota più bassa delle ultime legislature.
• Allo stesso tempo, il 78,3% di leggi approvate riguarda conversioni di decreti. Il dato più alto.
• Tra le 5 leggi ordinarie approvate ci sono l’istituzione di due commissioni d’inchiesta, una ratifica e una legge delega.
• Solo il 12,5% delle leggi approvate nell’attuale legislatura sono di iniziativa parlamentare. Il dato più basso degli ultimi anni.

25 i decreti legge emanati dal Governo Meloni in 6 mesi.
Le situazioni emergenziali da gestire non sono mancate in questi primi mesi della nuova legislatura. Tuttavia occorre rilevare anche che in molti casi si è scelto di legiferare con decreto anche per provvedimenti di natura più “politica”.

È il caso, solo per fare alcuni esempi, del decreto legge contenente le misure in tema di lavoro o di quello per il riavvio della progettazione per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina. Interventi che non hanno una natura emergenziale in senso stretto e che quindi avrebbero potuto essere approvati attraverso il ricorso all’iter legislativo ordinario.
Tale scelta conferma la volontà dell’esecutivo di cercare di far approvare i provvedimenti, così come delineati nell’ambito del Consiglio dei Ministri (Cdm). Limitando il più possibile i momenti di confronto, sia dentro che fuori dal Parlamento.

Come viene esplicitato dall’articolo 77 della Costituzione, il Governo dovrebbe fare ricorso ai decreti legge solo in casi straordinari di necessità e urgenza. Una definizione che lascia spazio a interpretazioni più o meno estensive e che ha portato gli esecutivi ad abusare dello strumento.

Tanto che lo stesso Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale si sono visti costretti a intervenire più volte sull’argomento.
I decreti legge nascevano per risolvere situazioni straordinarie e urgenti, ma sempre più spesso vengono utilizzati per implementare l’agenda di governo e aggirare il dibattito parlamentare.
Le Camere si trovano a discutere su norme che stanno già producendo i loro effetti, spesso anche rilevanti sulla vita delle persone. Perciò i margini di intervento e modifica sono piuttosto ristretti.

Finora, come sopra riportato, il Governo Meloni ha emanato 25 decreti legge. Il portale OpenPolis ha paragonato questo dato a quello di tutti gli esecutivi delle ultime quattro legislature, scoprendo che – in proporzione – nessun altro Premier aveva fatto ricorso così tanto spesso a tale strumento.

Se ci si limita al numero di decreti adottati, c’è chi ha fatto peggio di Meloni, ma in un tempo molto più lungo. A partire dal 2008, Silvio Berlusconi ha infatti guidato il Governo che ha emanato un numero maggiore di decreti, 80, seguito da Mario Draghi con 64. Poi troviamo l’esecutivo di Matteo Renzi con 56 decreti, due in più del Conte II. Più in basso Mario Monti, 41; il Conte “gialloverde” con 26; Enrico Letta con 25, proprio come Meloni; e infine Paolo Gentiloni con 20.

La graduatoria va però ponderata, appunto, con la durata dell’incarico di ciascun Presidente del Consiglio. E allora si capisce bene la recente preoccupazione di Mattarella, visto che Meloni sforna in media 4,17 decreti al mese. Molto più di chiunque altro, nonostante una solida maggioranza in Parlamento. Il governo di Draghi, che pure si era distinto per le prove di forza rispetto al Parlamento, si era fermato a una media di 3,2 decreti al mese, dunque uno in meno dell’attuale esecutivo. Praticamente appaiato a Draghi, si rileva poi il Governo giallorosa guidato da Conte, che come l’ex Bce ha dovuto fare i conti con la pandemia.

Il grafico mostra il numero di decreti legge pubblicati dai governi diviso per il numero di mesi di durata del loro incarico. Dati Openpolis.

Letto alla luce del tempo trascorso a Palazzo Chigi cambia molto anche il dato su Enrico Letta, protagonista di 2,78 decreti al mese; mentre i tecnici di Monti ne hanno approvati 2,41 ogni 30 giorni. Più staccati il Berlusconi IV (1,9 al mese), il primo governo Conte (1,73) e poi Renzi (1,7) e Gentiloni (1,18).

E menomale che proprio Fratelli d’Italia, nei lunghi anni di opposizione, si lamentava spesso di come il premier di turno trascurasse le Camere, costringendo gli eletti ad approvazioni lampo e a un mono -cameralismo di fatto: spesso, dovendo approvare i decreti entro 60 giorni dall’emanazione, il dibattito si concentra in un solo ramo del Parlamento e l’altro si trova a dover votare norme blindate senza potersi permettere alcuna modifica (non ci sarebbe tempo per tornare indietro e far ri-approvare il nuovo testo).

Nell’ordinamento costituzionale italiano il Governo detiene il potere esecutivo. Assieme ad altri attori detiene anche il potere d’iniziativa legislativa, permettendogli quindi di presentare in Parlamento, il potere legislativo, disegni di legge.

In aggiunto il Governo ha anche altri due strumenti per legiferare: il decreto legislativo e il decreto legge. Quest’ultimo è un atto normativo con valore di legge utilizzato dal governo in casi straordinari di necessità e urgenza (art. 77 della Costituzione). I decreti legge hanno effetto immediato, e devono poi essere convertiti in legge dal parlamento entro 60 giorni. Se ciò non avviene, i decreti perdono efficacia sin dall’inizio. Per assicurare un giusto esame da parte di Camera e Senato, il ramo presso cui viene depositato il ddl di conversione deve assicurare in media un’approvazione entro 30 giorni.
A differenze dei decreti legislativi, in cui l’intervento del Parlamento è precedente a quello del Governo con l’approvazione di una legge delega, con i decreti legge è successivo, con la conversione in legge del decreto.

Nella XVII legislatura 83 delle 380 leggi approvate sono state conversioni di decreti legge, il 21,84%. Dopo le ratifiche dei trattati internazionali, rappresentano la tipologia di legge più ricorrente in parlamento. Anche per la particolare natura dell’atto, i decreti sono le proposte che completano il proprio iter nel minor tempo, circa 40 giorni, con una media generale che invece si attesta sui 306.

Tipo di legge ricorrente, rapida e anche molto efficace, visto che raramente i decreti legge decadono. Nella XVII legislatura dei 100 decreti deliberati dal Consiglio dei Ministri, solamente 17 non sono poi stati convertiti in legge, il 17%.
In aggiunta, e qui arriviamo al terzo punto, non è raro vedere il Governo porre una questione di fiducia su un decreto in discussione, ulteriormente limitando il dibattito parlamentare.
Ciò però riduce notevolmente le prerogative del Parlamento. Che, sempre più spesso, si ritrova nella condizione di semplice ratificatore di decisioni prese a Palazzo Chigi.

La distanza tra deliberazione ed entrata in vigore dei decreti legge
Se possiamo certamente dire che il numero di decreti emanati finora è stato molto alto, risulta più difficile riuscire a distinguere i Dl dedicati alle situazioni di emergenza rispetto a quelli maggiormente finalizzati all’attuazione del programma di Governo. Anche perché, molto spesso, l’esecutivo attualmente in carica ha adottato dei provvedimenti “omnibus”. Atti cioè che contengono misure che vanno a intervenire in settori anche molto diversi tra loro. Anche questa peraltro è una pratica che, per quanto adottata di frequente, rimane assolutamente impropria. I decreti legge infatti dovrebbero avere un contenuto omogeneo. Spesso invece si è legata una situazione di emergenza/urgenza (o comunque interpretata come tale) alla necessità di adottare altri tipi di provvedimenti non strettamente correlati tra loro.
La pubblicazione di decreti legge omnibus rappresenta una forzatura che sarebbe meglio evitare.

È il caso, ad esempio, del decreto legge 162/2022, il cosiddetto “decreto rave”. Tale atto infatti, oltre a introdurre una stretta a contrasto dei raduni illegali, ha previsto nuove norme anche in tema di detenuti, oltre al reintegro del personale sanitario non vaccinato.

Rientra in questa classificazione anche il decreto 169/2022 che oltre a prorogare la partecipazione dell’Italia alle iniziative della Nato ha disposto anche la proroga del commissariamento del sistema sanitario calabrese.

Un esempio più recente riguarda invece il Dl 34/2023. In questo caso i filoni di intervento sono ben tre: interventi per il contrasto del caro bollette, misure per compensare la carenza di personale del sistema sanitario e misure in tema di adempimenti fiscali.Da citare anche il Dl 51/2023 con cui il Governo, tra le altre cose, ha disposto il commissariamento di Inps e Inail.

Un altro elemento da tenere in considerazione riguarda il tempo che intercorre tra l’approvazione in Consiglio dei Ministri di un decreto e la sua effettiva entrata in vigore. Se per i provvedimenti più urgenti infatti la pubblicazione è avvenuta nell’arco di massimo 24/48 ore, in altri casi la distanza è stata molto più significativa. Possiamo osservare infatti che in 8 casi la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è avvenuta con più di una settimana di ritardo.

4,5 il numero medio di giorni che intercorre tra l’approvazione di un decreto legge e la sua effettiva entrata in vigore.
In questo lasso di tempo può accadere che le discussioni sul testo del decreto proseguano e che la versione definitiva sia diversa da quella che ha ricevuto l’approvazione. Sono questi i casi in cui è più probabile incontrare i provvedimenti più politici e meno legati a situazioni di emergenza.

Da questo punto di vista i casi particolarmente eclatanti sono due. Si tratta del decreto legge 44/2023, dedicato al rafforzamento della capacità delle pubbliche amministrazioni, entrato in vigore con ben 16 giorni di ritardo rispetto alla deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il secondo caso invece riguarda il già citato decreto per il ponte sullo stretto, pubblicato in G.U. 15 giorni dopo il via libera del Cdm.

Risulta evidente che in questi casi la logica non è quella di andare a sanare situazioni particolarmente urgenti. I tempi lunghi infatti servono proprio a trovare un accordo tra le varie forze della maggioranza. Accordo che però viene siglato a livello di Governo invece che in Parlamento.

La firma del Presidente della Repubblica su un disegno di legge approvato dal Parlamento rappresenta il passaggio finale dell’iter legislativo prima della pubblicazione della norma in G.U.. In base all’articolo 73 della Costituzione infatti le disposizioni contenute in una legge entrano effettivamente in vigore solo se il testo viene promulgato dal Quirinale.
L’influenza del Capo dello Stato sul processo legislativo tuttavia va ben oltre questa funzione. Il Presidente della Repubblica può ad esempio decidere di rinviare un disegno di legge alle Camere.
1. Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione.
2. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata.
(Costituzione italiana, art. 74)

Tale prerogativa però non può essere reiterata. Qualora infatti il parlamento decida di riapprovare il medesimo testo, indipendentemente dal fatto che abbia recepito o meno le sue osservazioni, il Presidente della Repubblica è tenuto ad apporre la propria firma e promulgare il Ddl.

Il Capo dello Stato inoltre può intervenire anche sui decreti legge (Dl). La Costituzione infatti prevede che il Governo possa emanare questo tipo di atti solo in casi di necessità e urgenza. Nel caso in cui però il decreto del Governo non risponda a questi requisiti, il Presidente della Repubblica può rifiutarsi di firmare.
Il Quirinale può esercitare la propria influenza anche attraverso messaggi informali.
L’influenza del Quirinale sul processo legislativo inoltre può avvenire anche attraverso strumenti cosiddetti di moral suasion. In base all’articolo 87 della Costituzione infatti il Capo dello Stato può inviare messaggi alle Camere. Tuttavia, secondo una parte della dottrina, il Presidente della Repubblica potrebbe inviare messaggi informali anche ad altri soggetti (come ad esempio il Governo). Rientrerebbero in questa categoria le cosiddette “esternazioni“. Comunicazioni in forma non scritta attraverso le quali il Presidente della Repubblica, nell’esercizio delle sue funzioni, esprime la propria posizione. L’obiettivo in questi casi è quello di evitare uno scontro istituzionale traumatico.
È pacifica l’opinione che il Presidente possa rivolgere consigli e indirizzi agli organi costituzionali al fine di addivenire a scelte condivise e assolvere un ruolo di mediatore all’interno della società.

La presenza attiva del Capo dello Stato nello scenario politico non è realizzata solo mediante il ricorso alle esternazioni (il cui incremento si registra dalla Presidenza di Sandro Pertini).
Il Presidente, difatti, “dialoga” con i propri interlocutori esercitando anche un’attività di moral suasion, instaurando rapporti e relazioni con gli altri Organi costituzionali e i rappresentanti delle forze politiche orientandone le decisioni per tutelare e attuare principi costituzionali.

Analizzando i dati delle ultime sei legislature possiamo osservare che i quattro Presidenti della Repubblica che si sono succeduti (Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella) hanno rinviato alle Camere complessivamente 12 disegni di legge. Il picco si è registrato nella XIV legislatura (2001-2006) con 7 disegni di legge rinviati alle Camere.  Nella legislatura attuale invece non si sono registrati casi di questo tipo.

In base alla banca dati del Senato invece possiamo osservare che nello stesso periodo non è mai accaduto che un Presidente della Repubblica si rifiutasse di firmare un decreto legge del Governo. Anche se è accaduto in più di un’occasione che esecutivo e parlamento venissero “richiamati” all’ordine su questo tema.

La Costituzione non prevede limiti specifici al potere di intervento del Presidente della Repubblica sul processo legislativo. Data la struttura del nostro ordinamento però è generalmente ritenuto che il rinvio di un Ddl alle Camere non possa essere motivato da “ragioni politiche“. Una parte della dottrina infatti definisce il ruolo del Presidente della Repubblica come di “estrema garanzia“. In base a questa impostazione le fattispecie in cui il Capo dello Stato può esercitare le sue prerogative sarebbero nel caso in cui una legge non abbia le necessarie coperture di bilancio oppure risulti manifestamente incostituzionale. Su questi limiti però la dottrina non è unanime.
L’influenza informale del Quirinale sul processo legislativo secondo alcuni dovrebbe essere limitata.
Anche per quanto riguarda la possibilità di indirizzare il processo legislativo attraverso comunicazioni informali le posizioni non sono unanimi. Durante la presidenza Ciampi ad esempio è capitato che il Presidente consigliasse al Governo delle modifiche in alcuni progetti di legge che riteneva presentassero profili di incostituzionalità.

Tuttavia questa pratica di intervento diretto sull’iter legislativo è considerata da alcuni, incluso l’ex Presidente Cossiga, censurabile e grave. Censurabile perché va a ledere la sovranità parlamentare e pone il Capo dello Stato all’interno di una dialettica politica da cui dovrebbe essere estraneo. Grave per le conseguenze che poterebbero derivare da un’eventuale bocciatura da parte della Corte Costituzionale di un testo guidato dal Presidente della Repubblica.
Anche rispetto all’abuso dei decreti legge gli inquilini del Quirinale sono spesso intervenuti pubblicamente. Tuttavia si è trattato di interventi a cui i Governi non si sono sentiti particolarmente vincolati e che in conclusione non sembrano essere stati molto efficaci.

Il ricorso continuo a strumenti straordinari mortifica l’autorevolezza del Parlamento.
Tanto più se il Governo ricorre, in sede di conversione, all’utilizzo del voto di fiducia. Quando viene posta la questione di fiducia, il Governo lega il proprio destino all’esito del voto sul testo. Decadono gli emendamenti e si procede direttamente al voto, con il triplice obiettivo di accelerare i tempi, evitare modifiche indesiderate e compattare la propria maggioranza. Essendo un dispositivo che comprime la possibilità della Camera di modificare i testi, dovrebbe essere utilizzato con parsimonia. Invece è diventato uno strumento ordinario delle dinamiche parlamentari, utilizzato da tutti gli ultimi Governi senza particolari eccezioni.


La fiducia viene solitamente posta con il triplice obiettivo di blindare le disposizioni contenute nei testi, di ricompattare la maggioranza e di velocizzare l’iter per l’approvazione delle leggi.
A una prima analisi potrebbe sembrare che il ricorso allo strumento fatto dall’attuale esecutivo sia in linea con quello dei suoi predecessori, se non addirittura inferiore. Tale dato però deve essere contestualizzato. Il ricorso alle questioni di fiducia fatto dal Governo Meloni infatti risulta essere ancora piuttosto limitato se consideriamo i dati in valore assoluto e anche in base alla media mensile. Lo scenario però cambia radicalmente se confrontiamo il numero di voti di fiducia rispetto alle leggi approvate.
50% il rapporto tra questioni di fiducia poste e leggi approvate durante il Governo Meloni.
Considerando questo indicatore vediamo che l’attuale esecutivo sale al primo posto superando, anche nettamente, gli esecutivi delle ultime 4 legislature.

Per analizzare l’utilizzo della questione di fiducia che è stato fatto dai vari Governi negli ultimi anni possiamo partire valutando i dati in termini assoluti. In questo caso il valore dell’attuale esecutivo risulta essere ancora relativamente basso.
17 i voti di fiducia posti dal Governo Meloni dal suo insediamento.

Soltanto i governi Conte I (15) e Letta (10) infatti hanno fatto registrare un valore inferiore. Ai primi posti invece troviamo gli esecutivi Renzi (66), Draghi (55) e Monti (51).
Occorre sempre ricordare però che i Governi hanno avuto durate diverse. L’attuale esecutivo ad esempio è in carica da circa 8 mesi. Per questo un indicatore più adatto per fare confronti è quello del numero medio di voti di fiducia tenutisi per mese. In base a questo indicatore al primo posto troviamo il governo Monti con una media di 3 voti di fiducia al mese. Seguono gli esecutivi Draghi (2,89) e Conte II (2,25).

Al di là dell’emergenza, anche in tempi normali l’utilizzo in modo improprio di questi strumenti viene giustificato con la necessità di semplificazione e di decisione in tempi rapidi. Dietro un’esigenza condivisibile e sentita dai cittadini, qualsiasi critica del sistema attuale viene derubricata a perdita di tempo.

Ma come sta funzionando questo modello decisionale basato sulla compressione delle prerogative parlamentari?
Sono diversi gli elementi che portano a valutare negativamente l’efficacia ed efficienza del processo di formazione delle norme appena descritto.
Alcuni sono già insiti negli strumenti descritti, o meglio nelle storture che derivano dal loro abuso. Su tutti il ricorso alla decretazione d’urgenza per implementare politiche ordinarie del programma di Governo.
Ma sono anche altri gli indicatori che mostrano come questo processo decisionale sia comunque lento, soggetto ad errori e porti alla sovrapproduzione normativa.

Il varo di una legge è spesso l’occasione per campagne di propaganda, molta meno cura è riservata all’attuazione delle norme.

Il varo di una norma, soprattutto decreti legge, spesso ha anche un grande valore politico in termini di comunicazione. Lo si vede da come sono stati ribattezzati i principali provvedimenti degli ultimi anni: dl semplificazioni, trasparenza, spazzacorrotti, sicurezza, cura Italia. Nomi evocativi, che fanno appello a parole chiave scelte solo allo scopo di renderli inattaccabili agli occhi dell’opinione pubblica. Chi può essere a favore dell’insicurezza, della corruzione, della mancanza di trasparenza?

Il problema è duplice. Primo, l’appello a slogan e parole chiave consente al proponente di fare propaganda non sul merito delle norme che si vogliono introdurre, ma sull’intero pacchetto. Un provvedimento da prendere a scatola chiusa, senza preoccuparsi di cosa contiene. Ovviamente bypassando ogni argomentazione e discussione sui contenuti reali dei testi, spesso molto più articolati e contraddittori di quanto il nome lascerebbe intuire.

Secondo, anche una volta approvate, tutte le norme hanno bisogno di una faticosa attuazione per calarsi nella realtà concreta dei cittadini. E sarebbe proprio questo il principale compito del Governo, in quanto organo esecutivo. Seguire i processi amministrativi, interessarsi di far funzionare le norme, con decreti ministeriali, direttive, raccordando l’attività degli uffici sul territorio. Anche la legge migliore, se non ha nessuno che si preoccupi di come viene attuata, resta lettera morta (nel caso migliore). In quello peggiore, finisce con il diventare l’ennesimo elemento di confusione in un panorama legislativo già molto complesso.

La difficoltà nell’attuazione delle norme è resa evidente dai decreti attuativi. Si tratta di atti, come decreti ministeriali, Dpcm, provvedimenti dei dirigenti, cui la legge stessa rimanda per essere implementata. A volte fissando un termine preciso dall’entrata in vigore della legge, altre volte senza scadenza.

Dopo il lavoro del Parlamento, l’implementazione di una legge passa nelle mani di ministeri e agenzie pubbliche. Un secondo tempo delle leggi spesso ignorato, ma che lascia molte norme incomplete.

Se prendiamo le ultime sei leggi di bilancio approvate, storicamente il provvedimento che richiede il maggior lavoro extra parlamentare per trovare piena implementazione, vediamo come tutte – a volte anche a distanza di anni – abbiano un certo numero di decreti ancora non adottati (vedere post: cliccami).

Aggiornamento al 20-09-2023: (cliccare qui)

 

1 Comment so far

  1. www.thonwittaya.com on 3 Settembre, 2023

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