Monte Guadagnolo (Lazio), Santuario della Mentorella e San Vito Romano


Coperto da vegetazione boscosa soprattutto a nord, lasciando scoperta la parte sommitale prativa, mentre ad est si apre un piccolo altopiano (Prati del Guadagnolo), in cima alla montagna si trova la frazione Guadagnolo di Capranica Prenestina e a poche decine di metri dall’abitato, alcune pareti rocciose sono meta frequente di arrampicatori laziali, mentre poco più in basso, sul versante est, è posto il Santuario della Mentorella.

La cima si raggiunge facilmente tramite una strada asfaltata salendo da ovest da Palestrina oppure da Casape ed è uno dei punti più panoramici che guardano verso la città di Roma, assieme al Monte Gennaro, al Tuscolo e a Monte Cavo.

Dalla cima la vista spazia infatti a est verso i Monti Ruffi e i Monti Affilani a nord verso i Monti Tiburtini, i Monti Lucretili, la campagna romana e la Capitale con una prominenza di circa mille metri di dislivello dal fondovalle, a ovest verso i Colli Albani, a sud verso la Valle del Sacco.

Gli splendidi scenari che offrono i monti Prenestini, alle porte di Roma. La spiritualità del Santuario della Mentorella e i panorami del Monte Guadagnolo (1.218 m s.l.m.), la cima più alta della provincia di Roma.

Il Santuario Madre delle Grazie della Mentorella sul monte Guadagnolo è uno dei più antichi santuari mariani d’Italia e d’Europa ed è sorto nel luogo della conversione di sant’Eustachio.

Qui, mentre inseguiva un cervo, vide comparire tra le corna la croce e vi riconobbe un segno divino.

Sorge ad un’altitudine di 1.018 metri s.l.m., su una rupe sporgente del versante orientale del Monte Guadagnolo (Monti Prenestini) che scende quasi a picco sulla sottostante Valle del Giovenzano, tra Tivoli e Palestrina, a sud-est di Roma.

Appartiene alla Chiesa cattolica apostolica romana (Diocesi di Tivoli), ed è custodito dalla Congregazione della Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo.

Secondo la leggenda, il santuario è sorto per volontà di Costantino nel IV secolo, nel luogo dove si convertì il già tribuno romano Sant’Eustachio, vissuto tra il I e il II secolo. Nel VI secolo venne donata ai Benedettini e divenne, fino al XV secolo, proprietà dell’Abbazia di Subiaco; abbandonata dai monaci benedettini, si depauperò fino a quando nel XVII secolo venne riscoperta dal gesuita Athanasius Kircher che ne diresse il restauro.

Nel 1664 Papa Alessandro VII proclamò uno straordinario anniversario per Mentorella, stabilendo la festa annuale patronale per il giorno 29 settembre, festa di San Michele Arcangelo. Nel 1857 Papa Pio IX donò il santuario alla ancor presente Congregazione della Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo.

Nel 1870 la Mentorella, con tutti i suoi beni, venne incamerata dal nuovo Stato Italiano, e nel 1880 viene messa all’asta dallo Stato Italiano. Nel 1883 i padri Resurrezionisti ricomprarono dal Governo italiano la chiesa ed il convento, per la somma di 8.500 lire. Il primo rettore fu padre Luigi Oldoini. Nel 1947 venne rinnovata la Scala Santa che porta alla cappella di Sant’Eustachio.

Nel 1961 si concludono i lavori della strada, di circa 2 chilometri, che unisce il Santuario con Guadagnolo; Il 22 ottobre 1967 la strada che conduce al santuario venne asfaltata, ed inaugurata alla presenza del Cardinale Wladyslaw Rubin.

Il 29 ottobre 1978, papa Giovanni Paolo II si recò, per la prima volta, alla Mentorella, in occasione del suo primo viaggio pastorale da pontefice; successivamente lo visitò, in incognito, numerose altre volte, ancor oggi nella memoria delle persone del luogo. Nel 2000 in occasione del Grande Giubileo il santuario venne completamente ristrutturato e rinnovato. Il 29 ottobre 2005 anche papa Benedetto XVI rende omaggio alla Madonna delle Grazie della Mentorella.

Il 22 agosto 2007 papa Benedetto XVI inviò alla Madonna della Mentorella una rosa d’argento benedetta, da deporre ai suoi piedi per esprimere voto di gratitudine per i 150 anni di presenza al Santuario della Congregazione della Resurrezione.

La Chiesa è nello stile delle basiliche romane del XII secolo con l’interno a tre navate. Davanti all’entrata della chiesa è stata collocata una statua in bronzo di san Giovanni Paolo II, dono dei dodici comuni che “fanno corona alla Madonna“, come recita la stessa preghiera a Lei dedicata.

Statua lignea della Madonna delle Grazie
La figura della Madre di Dio con il Bambino Gesù sulle ginocchia, è stata realizzata nei secoli XI/XII da artista ignoto (potrebbe essere uno dei padri benedettini), in legno di rovere, ed è stata incoronata solennemente dal Capitolo Vaticano il 29 settembre 1901. La Statua fu rubata da ignoti nel 1972 ma dopo circa un anno fu ricuperata dall’Arma dei Carabinieri. Nel trono, accanto alla figura mariana, è stata collocata la rosa d’argento benedetta e inviata da Papa Benedetto XVI in occasione dei 150 anni di presenza dei padri Resurezionisti alla Mentorella.

Presbiterio
Al centro dello stesso è stato collocato il ciborio del 1305, arricchito nella parte superiore da ornamenti cosmateschi della fine del XIX secolo, innalzato e piazzato sull’altare di marmo. Sotto l’altare si trova un frammento del pavimento del XII secolo, opera dei cavapietre della scuola cosmatesca. Sul pilastro sinistro del presbiterio è collocata una piccola lapide con la data della consacrazione della chiesa a Maria Santissima: “MEN. OC. D. XXIII DEDICATIO BEATAE MARIAE IN WLTVILLA”.

Scala Santa
Costruita nel XVII secolo è adornata da affreschi che rappresentano il battesimo dell’imperatore Costantino, e la consacrazione della chiesa di Sant’Eustachio, che è stata fatta costruire da papa Silvestro I.

Tramite il percorso della Scala Santa si giunge alla cappella di Sant’Eustachio costruita nelle stesso periodo e costituita da un campanile, con tre campane a corda, che reca la seguente iscrizione “non far da campanaro se il cuor tuo non batte da cristiano“.

Grotta di San Benedetto

Nella roccia sottostante la Cappella di Sant’Eustachio si trova la grotta di San Benedetto con l’altare e l’immagine del santo.

In questa grotta naturale soggiornò per due anni San Benedetto da Norcia (480-547), il padre della vita monastica occidentale.

Egli abbandonò la vita laica da patrizio romano per condurre una vita da eremita.

Dalla Mentorella Benedetto si recò poi a Subiaco a circa 35 km di distanza.

Per gli amanti del territorio collinare, poco distante dal Monte Guadagnolo, San Vito Romano è la meta perfetta: un piccolo tesoro da godersi tra escursioni e passeggiate nel suo centro storico.

Centro fatto di sole scale tanto che sembra di essere dentro un disegno di Escher.


Il mondo è fatto a scale…quelle di Escher sono a San Vito Romano!

Il Castagneto prenestino, la cui protezione è stata fortemente voluta dai Comuni di Capranica Prenestina e San Vito Romano, è un’area di 166 ettari costituita da una selva castanicola (Castanea sativa Miller) popolata da alberi monumentali plurisecolari la cui valenza naturalistica e paesaggistica è frutto dell’equilibrio tra dinamiche naturali e gestione antropica.

 

San Vito Romano è un comune italiano di 3.222 abitanti della città metropolitana di Roma Capitale nel Lazio. La morfologia del territorio è collinare e nel territorio comunale incomincia il suo percorso il fiume Sacco.  Gli abitanti si chiamano sanvitesi (santuitisi in dialetto).

È qui che ci siamo incontrati con i cugini sanvitesi Ivo e Mariateresa che stavano trascorrendo qualche giorno nella loro casa, anch’essa fatta di tante scale, al fresco delle colline raccogliendo nei boschi more e finocchietto selvatico.

Abbiamo passato un paio di ore insieme attorno ad una tavola imbandita e poi, per digerire, facendo un giro turistico su e giù per le scale di San Vito.

Il mar Tirreno si trova invece a circa 75 km. La prima località marittima più vicina è Nettuno, quindi Anzio.

Il centro urbano si trova a 655 metri, mentre il punto più alto del Comune, tocca quota 720 metri.

Mentre i dettagli sulle origini del paese restano ancora incerti, la prima menzione del Castrum Sancti Viti appare nel Regesto Sublacense del 1085, dove è presente tra le terre donate dal Signore di Paliano al Monastero di Subiaco.

San Vito rimase possedimento dell’abbazia fino al 1180 quando divenne proprietà della famiglia Colonna, che ne ampliarono il castello.

Nel 1575, dopo una breve parentesi come feudo dei Massimo, passò ai Theodoli, famiglia nobiliare appartenente al patriziato romano originaria di Forlì e ancora oggi proprietari del castello. Fu Gerolamo Theodoli, vescovo di Cadice, ad acquistare il feudo per 20.000 scudi romani, assumendo su di sé il titolo di Conte di Ciciliano e Signore di San Vito e Pisoniano.

Nel 1592 Theodolo Theodoli assunse il titolo di Marchese di San Vito, come suggerisce l’iscrizione presente all’interno dell’antica cappella del palazzo, mentre qualche decennio più tardi il cardinale Mario Theodoli, a partire dal 1640, promosse un significativo intervento di espansione urbanistica, che da lui prenderà il nome di Borgo Mario Theodoli.

Carlo Theodoli e suo figlio Gerolamo si fecero prosecutori dell’opera di Mario, morto nel 1650, prima della fine dei lavori del borgo, della Chiesa dei Santi Sebastiano e San Rocco e dell’adiacente Convento dei Carmelitani, oggi sede municipale.

L’architetto Carlo Theodoli, infatti, diede al castello la forma di una nave, intorno fece costruire un muro a scarpa e abbellì l’interno con affreschi e quadri. Modificò notevolmente il suo aspetto conferendogli funzioni di residenza signorile.

Occupato dai francesi durante il periodo napoleonico, seguì le sorti dello Stato Pontificio fino al 1870, quando questo venne definitivamente annesso al Regno d’Italia.

 

Con Regio Decreto del 16 maggio 1872 San Vito cambiò denominazione in San Vito Romano.


Lenta, rimata e ritornante, la parola del poeta De Paolis chiede all’antico borgo un munito asilo dai saccheggi del tempo e inscena il rituale quotidiano, che chiama alla presenza il senso. È il tempo circolare della vita agreste, che vince la vacuità della perdita, a fare il sacro per l’oggetto di vita eterna. Così speranza è l’uomo, finestra di luce che resta, virtù che proviene e che guarda a una divina verità ideale.

 

La definizione ballo di San Vito fa riferimento all’omonimo santo, martire cristiano morto nel 303 d.C., patrono dei danzatori.

La tradizione vuole che abbia il suo santo guaritore, appunto San Vito, nella sua qualità di protettore dei danzatori.


Prima di lasciare il paese, fate un brindisi con il vino sanvitese, vi stupirà!

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