Musei Capitolini, l’imponente ricostruzione del Colosso di Costantino


Nel giardino di Villa Caffarelli è possibile ammirare, in tutta la sua imponenza, la straordinaria ricostruzione in scala 1:1 del Colosso di Costantino, risultato della collaborazione tra la Sovrintendenza Capitolina, Fondazione Prada e Factum Foundation for Digital Technology in Preservation, leader nel settore della digitalizzazione di opere d’arte, con la supervisione scientifica di Claudio Parisi Presicce, sovrintendente capitolino ai Beni Culturali.

Tra le opere più importanti dell’antichità, con i suoi 13 metri circa di altezza, la statua colossale di Costantino (IV secolo d.C.) è uno degli esempi più significativi della scultura romana tardo-antica.

Dell’intera statua, riscoperta nel XV secolo presso la Basilica di Massenzio, oggi rimangono solo pochi monumentali frammenti marmorei, ospitati nel cortile di Palazzo dei Conservatori ai Musei Capitolini: testa, braccio destro, polso, mano destra, ginocchio destro, stinco destro, piede destro, piede sinistro.

I lineamenti decisi e lo sguardo fiero verso l’orizzonte, la mano che stringe lo scettro, il drappo dorato che scende regale e quel ginocchio scoperto, segno di devozione come nella tradizione omerica.

Imponente e mastodontico, oggi come allora il Colosso di Costantino (306-337 d.C.), emoziona e segna la distanza tra lui e chi si ritrova al suo cospetto.

O almeno al cospetto della più fedele ricostruzione della colossale statua dell’imperatore del IV secolo d.C., a cui si devono iniziative che avrebbero profondamente modificato l’Impero Romano: il riconoscimento ufficiale della religione cristiana nel 313 d.C. e il trasferimento nel 326 d. C. della capitale da Roma a Costantinopoli, che accoglie, gratuitamente, i visitatori del giardino di Villa Caffarelli, quasi una porta d’accesso a quello scrigno di tesori che sono i Musei Capitolini.

Una iscrizione murata nel cortile del Palazzo dei Conservatori dei Musei Capitolini ricorda il ritrovamento nel 1486 di una testa e di altri frammenti pertinenti a una statua colossale in marmo, all’interno dell’abside di un edificio che al tempo si riteneva il Tempio della Pace di Vespasiano, e che solo agli inizi dell’Ottocento è stato correttamente identificato con la Basilica di Massenzio lungo la Via Sacra.

Tra il Cinquecento e la fine dell’Ottocento, il ritratto colossale è rimasto senza una identità certa. La corretta identificazione con l’imperatore Costantino è una acquisizione della fine dell’Ottocento.

Lo studio approfondito del ritratto, inoltre, ha permesso di riconoscere sicuri segni di rilavorazione, soprattutto in corrispondenza del mento e del sottogola, a indicare che il personaggio originariamente raffigurato avesse la barba.

Per celebrare la definitiva affermazione di Costantino come imperatore all’indomani della battaglia di Ponte Milvio a Roma contro l’usurpatore Massenzio (312 d.C.) si decide dunque di reimpiegare una statua colossale già esistente, seduta e barbata. Un imperatore precedente, forse, più probabilmente una divinità.

Costantino, passato alla storia come il primo imperatore cristiano, soprattutto nei primi anni di regno dovette inserirsi però nel solco della tradizione pagana e dei modi tipici della rappresentazione del potere imperiale, che da qualche tempo andava sempre più collocandosi in una dimensione divina.

Il suo Colosso riecheggia infatti uno schema iconografico celeberrimo, definito secoli addietro da Fidia in un’altra statua di dimensioni colossali, lo Zeus di Olimpia: la divinità è raffigurata seduta, drappeggiata in un mantello che lascia nudo il torso, con il braccio sinistro alzato e la mano che detiene lo scettro, mentre la destra regge un globo sormontato da una Vittoria.

Il ginocchio sinistro, scoperto, è un ulteriore dettaglio che rafforza l’espressione della maestà divina: con il ginocchio nudo, Giove si mostra su monete e medaglioni di epoca pre-costantiniana, con dedica a Iuppiter Conservator.

Il motivo iconografico, impiegato anche nelle raffigurazioni della personificazione della dea Roma, sarà ripreso anche da Michelangelo per il suo Mosè di S. Pietro in Vincoli.

Lo schema iconografico e le dimensioni fuori dall’ordinario del monumento esprimono quindi in forma concreta l’assimilazione di Costantino con la divinità, un’operazione a cui rimandano anche lo sguardo del ritratto, serenamente rivolto verso un orizzonte sconfinato e sovrumano, e la possibilità che il Colosso – che soprattutto nella testa reca evidenti tracce di rilavorazione – originariamente fosse in realtà una statua di culto di Giove o (ipotesi suggestiva ma non dimostrata) addirittura proprio quella del tempio capitolino.

All’inizio dell’Ottocento si affronta per la prima volta il tema della forma e della ricostruzione del Colosso attraverso i frammenti, prendendo in considerazione anche la mano destra allora conservata presso lo studio di Antonio Canova e acquisita alle collezioni capitoline nel 1829 o poco prima.

Del Colosso sono noti attualmente dieci frammenti marmorei: cinque pertinenti agli arti inferiori, tre ai superiori, uno al torso e l’ultimo costituito dalla testa. Nello specifico, della gamba sinistra si conserva solo il piede, della gamba destra quattro frammenti, del braccio sinistro due; di quest’ultimo, un tratto dell’avambraccio lungo 72 centimetri è stato rinvenuto in anni più recenti ai piedi dell’abside occidentale della Basilica di Massenzio, ed è ora esposto insieme agli altri frammenti nel cortile di Palazzo dei Conservatori.

Del braccio destro si conservano due frammenti, di cui uno costituito dalla mano, mentre una porzione del petto sinistro, alta 126 centimetri, con la spalla e l’attacco del braccio coperto dal panneggio, è stata individuata nel 1951 ancora in situ ed è in procinto di essere trasferita dal Parco Archeologico del Colosseo al Campidoglio. La testa, infine, è costituita unicamente dalla metà anteriore e non sembra avere mai avuto la parte occipitale.

Che il Colosso sia il risultato della rilavorazione e del riadattamento della statua di culto di Giove Ottimo Massimo, costituisce una affascinante ipotesi di lavoro. Con maggiore sicurezza si può invece affermare che il simulacro di Giove abbia costituito il modello imprescindibile per la realizzazione del colosso costantiniano. Tra le repliche, in formato ridotto, della statua di culto del tempio di Giove una delle più fedeli, databile in età flavia (69-96 d.C.), è la statua di Giove, proveniente da Castel Gandolfo, oggi all’Ermitage di San Pietroburgo.

La statua è un acrolito, con le sole parti nude realizzate in marmo. Il dio è avvolto in un mantello che lascia scoperti il torso, le braccia e il ginocchio corrispondente al braccio sollevato; un motivo, quest’ultimo, che la statua dell’Ermitage condivide con il Colosso di Costantino, associato quasi esclusivamente all’immagine di Giove o di imperatori raffigurati come Giove, come il Claudio rinvenuto a Leptis Magna. Un calco di quest’ultima statua, conservato al Museo della Civiltà Romana e attualmente esposto al Museo dell’Ara Pacis, è stato preso a riferimento (soprattutto per il panneggio) nel tentativo di modellare le parti mancanti.

Integrate le parti mancanti e ultimata la creazione del modello digitale si è dunque proceduto con la stampa 3D del Colosso. Resina e poliuretano sono stati scelti come materiali per rendere le superfici materiche del marmo e del bronzo, mentre per la struttura interna (originariamente ipoteticamente composta di mattoni, legno e barre di metallo) è stato impiegato un supporto in alluminio facilmente assemblabile e rimovibile.

Nel ringraziare tutti quelli che hanno reso possibile questa creazione e questa ricostruzione che contribuisce a farci comprendere meglio il passato e quindi a capire meglio chi siamo mi domando solo perché non sistemare l’imperatore dov’era? Nella basilica di Massenzio. Fuori contesto è un grande, affascinante, maestoso oggetto estraneo, un’attrazione da Las Vegas.

Nessun commento

Lascia un commento