Viaggio tra cielo e spiritualità in India, Nepal e Tibet

4° giorno, lunedì 31 marzo: Agra – Jaipur (3 milioni e 324 mila ab. – 431 m s.l.m. – 20°-35°)

Agra, nella parte occidentale dello stato federato dell’Uttar Pradesh, sulle rive del fiume Yamuna a due ore e mezzo circa di treno da Nuova Delhi, fu capitale dell’Impero Moghul dal XVI al XVIII secolo. Agra è sede di una delle più antiche arcidiocesi dell’India: lo storico cappuccino Pellegrino da Forlì riferisce che fu affidata ai confratelli del suo ordine fin dal 1703. Sempre ad Agra si può compiere un pellegrinaggio al Taj Mahal, il mausoleo conosciuto in tutto il mondo con il nome di derivazione persiana La luce del palazzo. Nel 1983 il Taj Mahal è stato dichiarato Patrimonio dell’umanità da parte dell’UNESCO.

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La metà della bellezza è nel paesaggio. L’altra metà negli occhi di chi la guarda.


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Alle ore 6 del mattino si parte per la visita al Taj Mahal (cliccare qui e qui).
La luce del primo mattino è perfetta per la visita e per fare delle foto. Bellissime quelle con il riflesso del monumento sullo specchio d’acqua adiacente.

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Questo monumento è considerato una delle meraviglie del mondo, si dice la 7°. L’imperatore Shah Jahan amava teneramente la moglie Mumtaz Mahal, sposata all’età di 20 anni; mori tre anni dopo la sua ascesa al trono dando alla luce il suo 14° figlio.

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Sconvolto dal dolore l’imperatore iniziò la costruzione del Mausoleo. All’interno vi sono le tombe di entrambi. Sito ufficiale (cliccare qui).

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Alle ore 13:00 trasferimento a Jaipur (232 chilometri per circa 5 ore).

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Nel tragitto visita alla città fantasma di Fatehpur Sikri: a circa 38 chilometri da Agra, nell’Uttar Pradesh, India del Nord, Fatehpur Sikri è stata una piccola città fortemente voluta dall’imperatore Akbar, e fu abitata per soli quattordici anni. La leggenda narra che il potente imperatore all’età di ventisei anni fosse riuscito a consolidare il suo impero, ma non ad avere una progenie, nonostante avesse un buon numero di mogli.

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Nel 1569, dopo l’annuale pellegrinaggio ad Ajmer si fermò in questa zona, per far visita a Shaikh Salim, un santone chishti, un ordine sufista, il quale predisse che molto presto avrebbe avuto ben tre figli maschi. Nel 1572 con la nascita di Daniyal, il terzo figlio, si avverò questa predizione (cliccare qui, qui, qui, qui e qui).

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In seguito visita al pozzo di Abhaneri Chand Baori: famoso pozzo a gradini situato nel villaggio di Abhaneri vicino a Jaipur, nello stato indiano del Rajasthan. Il pozzo è uno dei più profondi (19,5 m) ed ampi dell’India. Prende il nome dal suo costruttore il re Chand di Abhaneri e dalla parola Baori nome dato nell’India occidentale ai pozzi. Costruito intorno al VII secolo anche se alcune fonti lo datano al IX secolo. Serviva a risolvere il problema dell’approvvigionamento idrico nei periodi di siccità e fornire un mezzo abbastanza comodo per raggiungere l’acqua. Il pozzo ha 3.500 stretti gradini che collegano 13 piani o livelli fino a raggiungere, alla profondità di trenta metri, l’acqua. Il livello dell’acqua era legato al periodo dell’anno, nei momenti di siccità il livello era più basso (cliccare qui).

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Pernottamento nell’hotel Royal Orchid di Jaipur.

5° giorno, martedì 1° aprile: Jaipur (3 milioni e 324 mila ab. – 431 m s.l.m. – 19°-33°)

Jaipur, fondata nel 1728 dal Maharaja Sawai Jai Singh II, è famosa anche con il nome di “città rosa“, per il colore predominante delle sue abitazioni. La città è stata costruita con concezioni moderne; ha infatti una planimetria reticolare con ampi viali alberati. Numerosi sono i bazar ed i mercati suddivisi a seconda delle varie e molteplici attività artigianali. Per citarne alcune: gioielli, pietre preziose, smalti, stoffe sia stampate che intessute, oggetti intagliati.

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Questa mattina escursione fuori città per la visita di Amber Fort. Arroccato su una collina alla periferia della città, il palazzo fu costruito nel 1592 dal Maharaja Man Singh. Ha una facciata solenne ed austera, mentre gli interni sono fastosi, eleganti e raffinati.

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I turisti vengono fatti salire, sui ripidi bastioni, a dorso d’elefante, la maggior parte dei quali hanno proboscidi stupendamente dipinte (cliccare qui).

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Stupenda e scenografica la terrazza d’entrata, di un bianco accecante. Questa terrazza, nella parte che guarda la gola, è coperta da una fila di colonne con capitelli a forma di elefante.

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Le pareti ed il soffitto sono finemente lavorati a specchio, mentre stupende finestre intarsiate si aprono sul lago sottostante (cliccare qui, qui e qui).

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In seguito ci dedichiamo allo strano e imponente Jantar Mantar, un osservatorio astronomico costruito agli inizi del 1700 dal Maharaja Jai Canta II, il grande guerriero-astronomo a cui questa città deve il suo nome. Osservatorio astronomico all’aria aperta i cui enormi strumenti astronomici sono costruiti in pietra.

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Tappa successiva il Palazzo di Jaipur (City Palace), tuttora residenza del Maharaja di Jaipur, è un enorme e complesso palazzo con numerosi cortili, due musei ed un’armeria (cliccare qui e qui).

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Il cortile più famoso è il Pritam Niwas Chowk, comunemente conosciuto come Cortile del Pavone. Stupende sono le quattro porte, finemente lavorate, con rappresentazioni delle quattro stagioni.

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Nel tardo pomeriggio visitiamo l’Hawa Mahal (conosciuto come Palazzo dei Venti): costruito nel 1799, è un palazzo di otto piani la cui facciata, in arenaria rosa, comprende quasi mille fra nicchie e finestre, tutte finemente lavorate a merletto. Serviva da osservatorio dal quale le donne di corte, non viste, potevano assistere alla vita della città.

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In serata è la volta del Birla Mandir Temple che è un tempio indù molto interessante per la sua incredibile semplicità e senso dell’ordine e del pulito. Si tratta di un tempio molto recente, costruito dagli indusriali Birla. Il tempio, molto ampio, è costruito interamente in marmo bianco con decorazioni rappresentanti vari dei sul lato sud vi e anche rappresentato Gesu Cristo, Maria Vergine, San Pietro ed altri segno, questo, di un luogo aperto ad altri culti religiosi.

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Pernottamento sempre all’hotel Royal Orchid.

6° giorno, mercoledì 2 aprile: Jaipur – Delhi – Kathmandu (Nepal)

Jaipur – Delhi (9W K5550: 06:50/07:40 HRS)

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Delhi – Kathmandu (9W262: 13:35/15:25 HRS).

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Questa mattina presto trasferimento in aeroporto e volo per Kathmandu via Delhi. Benvenuti a Kathmandu, anche popolarmente conosciuta come Kantipur, è la capitale della Repubblica Federale del Nepal. La città è parte di una grande valle circondata da piccole montagne e colline. Kathmandu insieme con le sue città gemellate Patan (Lalitpur) e Bhaktapur è ricca di architettura antica, arti, culture e tradizioni.

Per entrare nel Nepal, il visto si ottiene in aeroporto pagando 25 $ e compilando un modulo che si trova in aeroporto all’arrivo. Siamo accolti all’arrivo presso l’aeroporto internazionale di Tribhuvan nella zona orientale della città, oltre il corso del Bagmati, dal rappresentante Kish che ci accompagnerà fino alla fine del viaggio e, con un veicolo privato, ci dirigiamo all’hotel Himalaya.

Kathmandu. Fondata nel 723 d.c., con il nome di Kantipur. La tradizione dice che il bodhisattva Manjushri bonificò la zona, allora lacustre, attraverso il taglio di una collina grazie alla sua spada, permettendo il deflusso dell’acqua. Il centro storico fa parte dei patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO.

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Incredibile crogiolo di genti, di culti, di canti, di vita e di morte, Kathmandu trasuda spiritualità e bisbiglia alle orecchie dei viandanti gli immortali segreti delle felicità di cui è solo, invincibile custode, l’Himalaya. È la più grande città del Paese, si trova nell’omonima valle del Nepal centrale, ed è lambita dai fiumi Bagmati e Vishnumati. Quest’ultimo confluisce nel primo insieme a numerosi altri torrenti che drenano la valle. Questi due fiumi ne delimitano sostanzialmente l’area urbana propriamente detta: il secondo la lambisce ad ovest, mentre il primo, fiume sacro agli hindu, la delimita ad est ed a sud, separandola dalla contigua città di Patan. L’area urbana è caratterizzata da una morfologia che presenta numerose gibbosità corrispondenti alle varie colline che separano le vallate dei numerosi corsi d’acqua che defluiscono nel Bagmati prima che questo entri nella celebre Gola di Chobar.

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Nell’espansione edilizia, la città ha inglobato caoticamente villaggi e piccoli agglomerati vicini, raggiungendo e superando le rive dei sopracitati fiumi fino a unirsi completamente con Patan, posta a sud del Bagmati ed unita a Katmandu da un grande ponte.

Appena a nord del centro storico e senza soluzione di continuità con esso, a partire dagli anni ottanta si è sviluppato, abbastanza caoticamente, il quartiere turistico di Thamel, caratterizzato da anguste stradine trafficatissime di veicoli a pedali, a motore e pedoni, nel quale si trovano centinaia di alberghi, guest houses, ristoranti, bazar, negozi per lo più ad uso dei turisti occidentali che affollano questa parte della città sia per visitarne l’immenso patrimonio monumentale, sia per organizzare viaggi nelle altre zone del Nepal a scopo di trekking, rafting sui fiumi o alpinismo.

Il tessuto urbano della città è caratterizzato pertanto da un disordine urbanistico notevole, indice anche di una crescita urbana e demografica tumultuosa: si stima che la popolazione dell’area metropolitana stia crescendo al ritmo di oltre 150.000 persone all’anno. Basti osservare ad esempio che a Katmandu le strade, tranne poche eccezioni riguardo alle arterie principali, non hanno una denominazione, motivo per cui non esistono indirizzi ma ci si orienta, ad esempio, col riferimento agli incroci stradali (in nepalese chowk) principali: Indra Chowk, Asan Tole, Thaiti Tole, Chhetrapati e tanti altri sono il riferimento urbano per la miriade di esercizi commerciali, abitazioni, alberghi e ristoranti che si trovano nel loro intorno, nel raggio di cento o duecento metri a seconda dei casi.

A partire dagli anni sessanta, Katmandu è divenuta una meta molto popolare per turisti occidentali, e si è trasformata in una sosta obbligata per i seguaci della cultura hippy (cliccare qui).

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Katmandu ha condizioni ambientali estreme: prima dei monsoni è una scatola di polvere e bisogna fornirsi di buone mascherine per riparare bocca e narici.

In serata abbiamo mangiato fuori dall’albergo in un ristorante di nostra scelta il Bricks Cafe ed è stata un’esperienza piacevole, in un ambiente che vanta una storia di cento anni, situato tra Thapathali Bridge e Pulchowk, dove si trova l’Hotel Himalaya.

7° giorno, giovedì 3 aprile: Kathmandu (1 milioni di ab. – 1.355 m s.l.m. – 10°-18°)

Il centro urbano della città presenta un nucleo storico risalente perlopiù al XVII secolo (tarda epoca Malla), che si sviluppa nell’intorno della celeberrima Durbar Square, ricca di templi induisti. Numerosi altri templi sorgono isolati gli uni dagli altri presso molti chowk, sicché nella città si concentrano, come del resto nell’intera valle, centinaia di templi indu; fra questi i più noti sono quello di Pashupatinath, sulle rive del sacro fiume Bagmati nella cui vasta area si trovano, allineate sulla riva destra del corso d’acqua, anche numerosi plinti lapidei atti alle pire per la cremazione dei cadaveri, e quello di Bodnath nella periferia orientale a cui fa capo una consistente comunità tibetana sfuggita alle persecuzioni cinesi.

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Visitiamo per prima un luogo sacro buddhista che si trova a circa 40 minuti da Thamel (Kathmandu): Swayambhunath (noto anche come il Tempio delle Scimmie), costruito 2000 anni fa su una collina di circa 77 metri s.l.m. (circa 200 scalini ripidi da salire) da cui si vede la vallata di Kathmandu. Bel modo di iniziare la visita, suggestivo (cliccare qui, qui e qui).

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Poi è la volta della Piazza Durbar Square che è il posto più importante della città. Nella piazza si trovano alcuni spettacolari templi, risalenti ai tempi delle antiche città imperiali dedicati a Ganesh (il Dio dalla testa di elefante), Shiva, Narsingha, Taleju, e altri ancora (cliccare qui).

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Nella piazza principale della capitale nepalese c’è il palazzo dalle finestre intarsiate di legno dove vive la XIV Kumari, Matina Shakya (età 5 anni e nominata nel 2008). La Kumari è l’impersonificazione di Taleju, una delle dee più importanti del pantheon induista nepalese, essendo una rappresentazione della moglie di Shiva.

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A sceglierla è una ”commissione” di otto specialisti rituali, fra i quali il sacerdote del tempio di Taleju. L’eletta deve possedere le “32 perfezioni”, tra le quali la bellezza, la pelle chiara e profumata, la dentatura perfetta, i seni poco appariscenti. Si affaccia dalla sua finestra a richiesta dei turisti che lasciano offerte in una scatola nel cortile, stando bene attenta a non farsi fotografare.

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Dietro questa esile figura ingioiellata e truccata c’è comunque un misto di storia, tradizione e leggenda. Quello che sorprende di più è la storia umana di una bambina, strappata alla sua famiglia all’età di tre-quattro anni per diventare la dea in terra. Non lo sarà a vita, ma fino al primo mestruo, quando sarà sostituita da una nuova Kumari. Infatti si ritiene che la Kumari, avendo le mestruazioni, contaminanti secondo l’induismo, perda la sua purezza e la capacità di incarnare una dea.

Nel primo pomeriggio pranziamo in un ristorante sopra la Freak Street dove gli hippy degli anni settanta del Novecento ne avevano fatto il loro quartiere, ma oggi vi si ritrovano solo i viaggiatori irriducibili e nostalgici.

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La prossima visita che ci attende è alla “Varanasi del Nepal”: Pashupatinath Temple, luogo conosciuto per le sue pire dove vengono celebrati ogni giorno cremazioni di defunti di religione indu (cliccare qui, qui, qui e qui).

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Davanti ai nostri occhi pire e fumo che si innalza al cielo… qui ci è stata molto utile la guida per poter capire ogni passaggio compiuto davanti ai nostri occhi. Il corpo del defunto viene corpo viene denudato e coperto da un telo che varia di colore a seconda del sesso, se si tratta di un maschio o di una vedova è di colore bianco, se di una donna sposata con marito in vita o giovane donna non sposata, rosso o giallo; il defunto viene quindi adagiato sugli scalini che portano al fiume Bagmati ed i suoi piedi vengono accarezzati dall’acqua. Poi la barella viene posta sopra uno dei molteplici altari (chiamati ghat), i parenti maschi (le donne non sono ammesse alla cerimonia) compiono tre giri intorno alla pira così come i sacerdoti. Infine il figlio maggiore accenderà il fuoco. Giorni dopo, allorché la famiglia ha purificato la casa scacciando tutti i demoni della morte, le ceneri verranno rovesciate nel fiume sacro. Essendo il fiume considerato sacro, sono tantissimi i fedeli che si bagnano nelle sue acque, incuranti del livello altissimo d’inquinamento e immondizia. Non è raro vedere bambini immergersi completamente alla ricerca di qualche moneta o pezzetto di oro.

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E’ stata una visita comunque interessante ed importante anche se alquanto difficile e che non dimenticherò mai. Non ho scattato le foto per istinto voyeuristico, ma con l’obiettivo “documentaristico” e sociologico di catturare un frammento in più della cultura che mi circonda, catturare le immagini e conservare le emozioni.

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Sempre nel pomeriggio visita a Boudhanath (Little Tibet) Stupa (Chorten), Patrimonio Mondiale dell’Umanità e la più grande stupa buddista nel sud est asiatico. Bellissima, imponente… e soprattutto il più sacro tempio buddista tibetano fuori dal Tibet (infatti questo luogo è frequentato da moltissimi rifugiati tibetani scappati dalla loro patria). Divenuto punto focale del Buddismo in Nepal. La cupola bianca è alta circa 36 metri. La stupa si trova sull’antica rotta per la Cina. Questo luogo toglie il respiro talmente l’atmosfera è pacifica e serena. Bello. Un luogo spirituale dove la prima cosa che ci appare davanti è questa immensa pagoda con questi enormi occhi disegnati che ti fissano……ho provato tanta pace… (cliccare qui).

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Attorno a questa enorme stupa camminano, girando in senso orario, molti pellegrini pronunciando preghiere e sopra di loro sono appese le bandierine tibetane di preghiera con i loro cinque colori fondamentali che corrispondono a elementi importanti della vita: giallo-terra, verde-acqua, rosso-fuoco, bianco-spazio, blu-aria e dove sopra sono stampati i quattro animali sacri e dei mantra (preghiere).

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La nostra guida ci spiega che secondo i tibetani le bandierine, muovendosi con il vento, purificano e santificano tutta l’atmosfera intorno. Oltre al fatto che le loro preghiere vengono trasportate dal vento.

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Nelle vicinanze visitiamo un tempio dove dentro è presente un enorme Buddha e vicino alle sue gambe la foto del Dalai Lama. Nella piazza, intorno alla stupa, sono presenti molti negozi e laboratori…noi ne visitiamo alcuni dove vengono disegnati i mandala. Una bella esperienza!

In serata ceniamo nel nostro albergo, una chiacchierata e poi tutti a letto. Pernottamento in hotel Himalaya.

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4 Comments so far

  1. Ayah on 11 Luglio, 2014

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  3. Jessica on 26 Febbraio, 2015

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  4. Anggermacan on 30 Marzo, 2015

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