Viaggio tra cielo e spiritualità in India, Nepal e Tibet

8° giorno, venerdì 4 aprile: Kathmandu (1 milioni di ab. – 1.355 m s.l.m. – 12°-25°)

Una pausa dalla vita frenetica e movimentata di Kathmandu per esplorare due tipici villaggi Newari in meno di un’ora di auto da Thamel.

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Ci tuffiamo nell’atmosfera di due villaggi “sospesi nel tempo”: Bungmati e Khokana. A circa 10 chilometri da Kathmandu e a 6 chilometri da Patan ci sono questi 2 villaggi “medievali”. Non ci sono automobili. Sono tipici villaggi dell’etnia Newari. Da Khokana a Bungmati ci sono 15 minuti a piedi. Tipiche case Newari. Questi due villaggi sono famosi per la produzione dell’olio di seme di senape (quello più raffinato è usato per fare i massaggi, quello meno raffinato è usato per cucinare). Molti dei contadini di questi villaggi lavorano nella pressatura e produzione dell’olio di senape. L’olio di senape di Khokana è ancora popolare nella valle di Kathmandu. Un bel tuffo in quella che era Kathmandu 50/60 anni fa, ci dice Mr. Kish la nostra guida. Lo spirito di questi due villaggi ci ha catturato davvero. Il silenzio, la calma, la dignità di questi contadini (cliccare qui) .

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Successivamente visita alla Durbar Square di Patan che ne è anche la piazza principale.

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Al suo interno ci sono tantissimi templi dedicati a Shiva, Ganesh e ad altri dei induisti. Vi è inoltre il palazzo dove durante uno dei tanti festival religiosi che ci sono in Nepal vengono sacrificati centinai di animali in segno di venerazione.
Vale la pena di specificare che ci sono tre Durbar Square: una a Kathmandu visitata ieri, un’altra a Patan, un’altra ancora a Bhakhtapur che visiteremo il 15 aprile. Sono assolutamente imperdibili. Per cominciare partite da Kathmandu, poi raggiungete il bellissimo complesso di templi, palazzi, musei e botteghe di Patan, infine passate tra le piazze scenografiche di Bhaktapur dove Bertolucci girò il suo “Piccolo Buddha”.

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Nel pomeriggio abbiamo preso due taxi e siamo andati al Tamel, quartiere degli alberghi. Un concentrato assordante di turisti, venditori, negozi, agenzie, taxi, risciò, ristoranti ecc… con un tasso di inquinamento indescrivibile.

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Per fortuna siamo incappati nel Garden of Dreams: al centro del traffico caotico e dello smog pestilenziale di Kathmandu, questo luogo è veramente un paradiso. Un’atmosfera rilassante, tanti alberi intorno, coppiette che passeggiano, meditano e si rilassano.

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Pernottamento in hotel Himalaya. Siamo stati 3 notti all’Hotel Himalaya, in zona Patan. Posizione tranquilla, camere ampie e pulite, ottima colazione a buffet. A 20 minuti circa a piedi da Durbar Square di Patan.

9° giorno, sabato 5 aprile: Kathmandu – Lhasa – Tsedang (52 mila ab. – 3.120 m s.l.m. – 0°-13°)

Prima colazione in hotel. Dopo tre giorni passati in Nepal, abbiamo preso il volo da Kathmandu per Lhasa. Circa un’ora e mezza di volo con viste spettacolari sulle vette innevate dell’Himalaya, una grande emozione che ci ha fatto stare con la bocca aperta incollati all’oblò e all’oculare della macchina fotografica.

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Poi le valli verdeggianti, corsi d’acqua maestosi e l’atterraggio in Tibet. Un po’ di titubanza ai controlli di frontiera dal momento che la situazione, purtroppo, è tuttora sempre sul filo del rasoio. E, in effetti, i controlli sono stati molto minuziosi e, incredibile nell’era di internet.

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Volo per Lhasa (CA0408: 11:30/15:15 HRS), all’arrivo incontro con il nostro rappresentante Puntzo e trasferimento per Tsedang ci vogliono circa 2 ore di auto. All’arrivo check-in in Tsedang hotel e pernottamento. Dopo la cena, si fa per dire, una leggera passeggiata, per l’acclimatamento in alta quota. Un problema questo che ha creato qualche problema, non in modo grave, in verità, ad alcune persone del gruppo: inappetenza, insonnia, eccessivo affaticamento, malessere, nausea. In generale, grazie anche al diamox, per chi l’ha preso, nessuna conseguenza degna di nota. Camminando in piano, senza strafare, non ci sono problemi. In salita e salendo le scale, invece, bisogna fermarsi a rifiatare spesso, per non trovarsi in debito di ossigeno e con la lingua penzoloni.

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Il Tibet, una delle civiltà più antiche, è considerato il “Terzo Polo della Terra” perché i suoi ghiacciai alimentano i dieci maggiori fiumi dell’Asia. In quanto Terzo Polo terrestre, il Tibet contribuisce quindi alla pace e alla prosperità di oltre un miliardo di persone che, in Asia, vivono lungo il corso dei fiumi e la cui vita dipende dall’acqua che scende da esso.

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Tsedang, città del Tibet è a 145 chilometri a sud-est di Lhasa e a 93 chilometri dall’aeroporto, nella valle dello Tsangpo. Nella vicina valle di Yarlung ebbe nascita la cultura tibetana.

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Sette chilometri a sud è il monastero Trandruk del VII secolo. Altri cinque chilometri, si arriva allo Yumbu Lakhang, un piccolo tempio-fortezza, in posizione dominante sulla bellissima valle. Vicino al villaggio di Changye sono le grandi tombe dei re del Tibet. Venticinque chilometri da Tsedang, nella sponda opposta dello Tsangpo (nuovo ponte) è lo storico monastero di Sakya, dell’ottavo secolo. La forma del Tempio è quella di una Mandala gigante, rappresentazione dell’universo buddista. La città di Tsedang è un posto carino e tranquillo dove, secondo la tradizione popolare, sarebbe nato il popolo tibetano.

10° giorno, domenica 6 aprile: Tsedang – Lhasa (420 mila ab. – 3.660 m s.l.m. – 1°-13°)

Tsedang – Lhasa (145 chilometri in circa 2 ore).

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Trasferimento verso Lhasa (capitale del Paese delle Nevi), lungo la strada ci fermiamo per esplorare Samye Monastery (cliccare qui).

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Il monastero fu il primo monastero buddhista edificato in Tibet. Costruito in tre stili architettonici differente verso il 788 sotto gli auspici del sovrano Trhisong Detsen e da Guru Rimpoche (anche chiamato Padmasambhava). La sua struttura architettonica intendeva rappresentare l’universo e ciascuno dei templi e delle pagode corrispondeva a un punto cardinale, al sole ed alla luna. La sua particolarità consiste però nel fatto che ogni piano è costruito secondo una tradizione e uno stile differente (tibetano, indiano e cinese) a testimonianza delle diverse culture che hanno influenzato questa terra.

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Secondo la leggenda Guru Rimpoche sterminò gli innumerevoli demoni ed orchi che infestavano il Tibet, risparmiando solo quelli che promisero di trasformarsi in difensori e paladini della fede, pur mantenendo le loro forme terrificanti. Del Guru Rimpoche non esiste tomba, perché si dice sia sparito misteriosamente dalla terra senza lasciare tracce.

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Lhasa: immersa in un’atmosfera con forte spiritualità (sede del buddismo tibetano), misticismo e magia, è una delle località più antiche di questa destinazione leggendaria. Lhasa (in tibetano “trono di Dio o terra degli Dei“) situata a 3660 metri di altitudine nella valle del Kyi Chu, è la principale città del Tibet, territorio fin dal 1750 direttamente o indirettamente controllato dalla Cina (e ora dalla Repubblica Popolare Cinese). Attualmente Lhasa è quindi la capitale della Regione Autonoma del Tibet. Era anche la residenza tradizionale del Dalai Lama.

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Era già un importante centro amministrativo quando il sovrano Songten Gampo (618-649) proseguì nell’opera di unificazione del Tibet. Nello stesso periodo furono costruiti la fortezza del Palazzo del Potala e il tempio del Jokhang per ospitare le effigi del Buddha portate in dote dalle mogli, una cinese e l’altra nepalese. Da Lhasa i re di Yarlung governarono per 250 anni.

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Nel 1642 divenne capitale del Tibet quando il V Dalai Lama (1618-1682) costruì la sua residenza sulle rovine del vecchio Potala.

Sino all’inizio degli anni ’50 era, quindi, una piccola città medievale, nelle cui vicinanze sorgevano i tre più grandi monasteri tibetani, e con una popolazione che superava di poco le ventimila unità. Era il centro vitale di una società arcaica che tale era per sua libera scelta e che deliberatamente aveva deciso di non perdersi nell’affannosa ricerca di uno sviluppo materiale fine a se stesso ma al contrario di indirizzare le sue energie verso la conoscenza interiore e l’evoluzione spirituale. Un tempo Lhasa era universalmente considerata un piccolo gioiello dell’arte e della architettura tibetane. Decine di migliaia di donne e uomini, da tutti gli angoli del Tibet, vi arrivavano ogni anno in devoto pellegrinaggio per prosternarsi e raccogliersi in preghiera davanti ai suoi dei, ai suoi altari e ai suoi templi.

A quel tempo Lhasa consisteva principalmente di due separati quartieri, un piccolo villaggio chiamato Shol, situato proprio sotto il palazzo del Potala, e una serie di antichi edifici, separati da un dedalo di strette stradine, intorno ai templi del Jokang e del Ramoché. Per passare dall’una all’altra parte della città si doveva attraversare un piccolo ponte di pietra e legno chiamato Yutok Sampa, il Ponte del Tetto di Turchesi.

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Nel 1950 Lhasa e tutto il Tibet vennero invasi dalla Cina ed assoggettati alla sua amministrazione. Durante il capodanno cinese del 1959, quando si scoprì che i cinesi avrebbero tentato di rapire il Dalai Lama, scoppiò una rivolta popolare. Il Dalai Lama dovette rifugiarsi di nascosto in India e, in seguito a tre giorni di repressione, morirono circa 10.000-15.000 tibetani. Prima dell’occupazione cinese la città contava 20.000-30.000 abitanti. Oggi non si sa con esattezza quanti tibetani vivano nell’antica capitale: l’amministrazione cinese afferma che l’etnia tibetana rappresenti circa il 60% della popolazione cittadina. Secondo il Governo Tibetano in esilio tale percentuale è destinata a scendere a seguito dell’inaugurazione nel 2007 della rete ferroviaria che ha collegato l’altopiano tibetano ai territori cinesi. È ciò che il Dalai Lama ha definito “genocidio culturale“.

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In seguito all’occupazione cinese gran parte del patrimonio artistico di Lhasa è stato distrutto, ma il piccolo quartiere del Barkhor e l’area del Potala rimangono siti di inestimabile valore artistico e culturale. Lhasa moderna si sta invece sviluppando rapidamente secondo gli schemi di una qualsiasi periferia cinese, in netto contrasto con l’anima antica della città.

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A partire dalla seconda metà degli anni ’80 i cinesi hanno introdotto numerose modifiche architettoniche e fatto costruire molti edifici moderni che hanno notevolmente alterato il volto di Lhasa e l’atmosfera dell’antica magia rimane oggi quasi esclusivamente nella parte vecchia e tibetana della città, in modo particolare nel quartiere del Barkor attorno al tempio del Jokang. Qui, in un intricato insieme di strade su cui si affacciano ancora le caratteristiche case tibetane a due piani, si possono incontrare frammenti dell’antico Tibet. E a volte, osservando i volti, i gesti, gli sguardi, i sorrisi dei tibetani che si muovono tra negozietti, bancarelle e rigattieri di ogni sorta si riesce perfino provare la piacevole sensazione che nulla sia mutato.

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Pernottamento in hotel Hotel Bhramaputra.

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4 Comments so far

  1. Ayah on 11 Luglio, 2014

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  3. Jessica on 26 Febbraio, 2015

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  4. Anggermacan on 30 Marzo, 2015

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