Viaggio tra cielo e spiritualità in India, Nepal e Tibet

11° giorno, lunedì 7 aprile: Lhasa (420 mila ab. – 3.660 m s.l.m. – 1°-10°)

Oggi visita al Potala, che è il palazzo d’inverno del Dalai Lama. Sorge a 3.700 m s.l.m. il maestoso Potala dai tetti dorati, residenza-monastero del Dalai Lama, domina tutta la città e con i numerosi templi e complessi monastici è un affascinante luogo sospeso tra sogno e realtà. Una meta irraggiungibile, nascosta dal resto del mondo per secoli e oggi destinazione desiderata da tanti esploratori e avventurosi! (cliccare qui).

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Rara meraviglia architettonica altamente simbolica, che giace assopita a nord-ovest della città, antica residenza, palazzo, fortezza e monastero del Dalai Lama. Costruito dal re Songtsan Gampo nel VII° sec. d.C., è collocato in una posizione da cui domina il profilo di Lhasa ed è visibile da tutti gli angoli della città, con le sue altissime mura rosse (117 m), le guglie ed i tetti ricoperti di lamine d’oro. Magnifica fortezza, quasi sospesa nel cielo, questa struttura è sicuramente un esempio eccelso della cultura e dell’architettura tibetana. E’ divisa in due palazzi principali (il Palazzo Rosso ed il Palazzo Bianco) ed ospita al suo interno più di mille stanze riccamente adornate, le tombe dei Dalai Lama (alcune molto stravaganti nelle loro decorazioni con diamanti, perle, coralli…), colorate sculture buddiste, preziosi regali degli imperatori cinesi e molte altre antichità di valore inestimabile.

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L’imponente edificio del Potala, ben tredici piani e 117 metri di altezza, svetta sulla città di Lhasa e lo si può vedere da decine di chilometri di distanza. Anzi, giungendo via terra, è l’unico parametro per capire quanto ci si stia avvicinando alla capitale tibetana. Il Potala era, e continua ad essere, il simbolo del Tibet.

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Questo palazzo, il cui nome deriva da quello di un monte dell’India meridionale, il Monte Potala dimora di Avalokitesvara e che i buddhisti considerano sacro al bodhisattva Chenrezig, viene giustamente considerato uno dei tesori più preziosi dell’intera architettura asiatica. E’ talmente sconfinato che nessuno conosce con esattezza il numero delle sue stanze.

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Fino al 1959 oltre alle residenze dei Dalai Lama ospitava un monastero, decine di cappelle (ognuna delle quali dedicata a una particolare deità del Buddhismo tantrico), uffici governativi ed altre cose ancora. Era il cuore pulsante del Tibet e il punto di riferimento religioso, sociale e culturale di tutto lo sterminato Paese delle Nevi. Alla mattina e alla sera gli abitanti di Lhasa e i pellegrini che vi giungevano in gran numero, specialmente per le celebrazioni delle festività del Nuovo Anno, lo circoambulavano con deferenza; le mani giunte nel gesto della preghiera e gli occhi rivolti verso le stanze dove risiedeva il Dalai Lama. I più devoti addirittura compivano questo percorso prosternandosi e, prosternazione dopo prosternazione, coprivano le centinaia di metri (forse più di un chilometro) dell’intero perimetro del Potala. Era un atto di omaggio, di devozione e purificazione interiore considerato con sommo rispetto dal popolo tibetano.

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Oggi nelle mutate condizioni politiche del Tibet contemporaneo la situazione è ovviamente diversa.

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Proibita rigorosamente fino ai primi anni ’80, la circoambulazione del Potala è ora di nuovo consentita e i tibetani, all’alba e al tramonto, hanno ripreso a compierla anche se il Dalai Lama non risiede più oltre quelle alte e suggestive mura, fuggito a Dharamsala, India, in seguito all’invasione ed alla fallita rivolta del 1959.

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Adesso in pratica il Potala è un museo che tutti possono visitare, tibetani e turisti. In una splendida giornata di sole e ottimo clima, affrontiamo la visita, scandita dall’ora di tempo imposto dai cinesi, scalando con una certa fatica gli oltre mille ripidi gradini e visitando numerosi edifici, sale e cappelle, rigorosamente in senso orario, mischiati ad una moltitudine di pellegrini che fanno girare le ruote di preghiera, deponendo sugli altari delle cappelle le offerte e il burro di yak. Vale la pena di ricordare la “Cappella di Maitreya“, “La Cappella dei Mandala Tridimensionali“, “La Tomba del XIII Dalai Lama (1876-1933)“, “La Cappella di Kalachakra“, “la Cappella delle Tombe dei Dalai Lama“.

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L’edificio misura 400 metri sul lato est-ovest e 350 metri su quello nord-sud, con pietre inclinate spesse 3 metri (5 metri alla base), con rame fuso attorno alle fondamenta per aiutare a proteggerlo dai terremoti. I tredici piani dell’edificio (contenente oltre 1.000 stanze, 10.000 reliquiari e circa 200.000 statue) si alzano per 117 metri sulla cima del Marpo Ri, la “Collina Rossa“, con un’altezza totale di oltre 300 metri dal fondo della valle. Secondo la tradizione le tre principali cime di Lhasa rappresentano i “Tre Protettori del Tibet“. Chokpori, immediatamente a sud del Potala, è la “montagna dell’anima” (bla-ri) di Vajrapani, Pongwari è quella di Manjusri e Marpori, la cima su cui si trova il Potala, rappresenta Chenresig o Avalokitesvara.

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Nel pomeriggio, visitiamo il famoso tempio e il monastero più antico della città: il Jokhang (cliccare qui). Nel tempio si vedrà la scintillante statua di Sakyamuni che è considerato come la rarità del buddismo tibetano. Questo tempio è considerato la cattedrale del buddismo tibetano, epicentro della vita sociale e spirituale del Paese.

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Questo complesso architettonico, (fatto costruire dal re Songtsen Gampo nel VII secolo) , situato nel centro della vecchia Lhasa, toglie il fiato per la sua bellezza, con i bellissimi tetti dorati ed i manufatti conservati al suo interno.

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Centinaia di lumini votivi che con la loro luce rischiarano gli oscuri ambienti dei templi introducono il fedele nel Jokhang, In questo superbo complesso religioso si trovano tutti gli splendori, le eleganze e le opulente ricchezze dell’arte del Paese delle Nevi. Lunghe file di pellegrini passano davanti alle statue dei Buddha (particolarmente al veneratissimo Jowo Sakyamuni portato in dote dalla principessa cinese Wen Cheng, una delle mogli del re Songtsen Gampo), di Tzongkhapa, di Padmasambhava (Guru-rimpoche), di Avalokitesvara, del Buddha della Medicina e di tante altre divinità e santi buddhisti. Si fermano per un istante in raccoglimento, le mani giunte e gli occhi socchiusi, depongono sugli altari le loro offerte (quasi sempre lumini colmi di burro fuso al cui interno arde uno stoppino) e proseguono alla volta del prossimo altare e della prossima offerta.

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L’aria è satura dell’odore acre del burro che si mescola e si scontra con quello degli incensi. Le preghiere e i mantra salmodiati dai devoti in tutti i dialetti del Tibet e il suono profondo dei tamburi rituali che i monaci suonano nelle piccole cappelle che si aprono ai lati della sala centrale si fondono con il rumore dei passi della folla e con le esclamazioni stupite dei pellegrini di fronte a tanta abbondanza di immagini sacre (cliccami qui).

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La particolarissima religiosità del mondo tibetano si esprime nel tempio del Jokang in tutta la sua poliedrica contraddittorietà. Il bisogno di sovrannaturale, così caratteristico di queste parti del mondo, si mescola alla sofisticata eleganza dei concetti della filosofia buddhista. La fede semplice di una quotidianità che non può e non vuole rinunciare alla dimensione spirituale si incontra e integra con le gestualità rituali così cariche di significati e valenze psicologiche.

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Esso è circondato dalla famosa Barkhor Street, una via che, secondo la leggenda, fu creata dal calpestio di migliaia di fedeli in processione verso il tempio. L’atmosfera medievale e la grande folla, gli artisti di strada, le antiche case dei nobili feudali, le bancarelle che vendono di tutto, dalle bandierine per le preghiere ai teschi di yak tempestati di pietre preziose, e i fedeli che battono la fronte contro il terreno a ogni passo, sono una miscela esotica cui pochi visitatori sanno resistere.

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Dopo di allora, passeggiata per il vivace Barkhor Street (cliccare qui).

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Pernottamento in hotel Bhramaputra.

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4 Comments so far

  1. Ayah on 11 Luglio, 2014

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  3. Jessica on 26 Febbraio, 2015

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