Viaggio tra cielo e spiritualità in India, Nepal e Tibet

12° giorno, martedì 8 aprile: Lhasa (420 mila ab. – 3.660 m s.l.m. – 1°-8°)

Visita al Monastero di Deprung (cliccare qui e qui): si trova una decina di chilometri fuori della città ai piedi del monte Ganpoi Uze, viene soprannominato Mucchio di riso per l’essere costituito da un insieme caotico di costruzioni di colore bianco ed è il più grande monastero di tutto il Tibet, occupando un’area di ben 250 mila metri quadrati.

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Fu fondato nel 1416 e, nel periodo di suo massimo splendore, ospitava più di 10.000 monaci dell’ordine Gelug-pa (berretti gialli), governava su 700 monasteri sussidiari e possedeva vaste proprietà.

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Molti monaci furono costretti poi a fuggire, i pochi rimasti vennero uccisi durante i bombardamenti cinesi, oppure sono stati imprigionati per reati di opinione. Il luogo rimane importante anche oggi in quanto vi è conservata la migliore collezione di statue e oggetti sacri antichi del Tibet.

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A seguire visita al monastero di Sera della chiesa Gelug-pa, fondato nel 1419 da Jamchen Chojey, il quale ha una struttura imponente, pittoresca nel suo disordine architettonico e splendida in argento ed oro.

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Questo monastero è famoso tra i tibetani in quanto luogo di dibattito sulla dottrina buddista e perché qui i monaci riproducevano i testi sacri. Il nome di “Sera” (che in tibetano significa rosa selvatica) fu dato al monastero in quanto, al momento della sua costruzione, la collina su cui giace era coperta da una distesa di rose in fiore.

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Si è potuto assistere ai famosi dibattiti filosofici in cui i monaci dissertando sulla dottrina del Buddha: sembrano danzare, in una totale partecipazione di corpo, voce e mente (cliccare qui, qui e qui).

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Infine visita a Norbu Linka, il “Parco dei Gioielli”. A circa quattro chilometri dal centro di Lhasa si trova il Norbu Linka. Fatto costruire nel diciottesimo secolo da Jampal Gyatso, l’ottavo Dalai Lama (1758-1804), su di un area ricoperta da un piccolo bosco, questo insieme di palazzi e cappelle fungeva da residenza estiva dei sovrani spirituali e temporali del Tibet che in primavera erano soliti lasciare il Potala per trasferirsi al Norbu Linka seguiti da una imponente processione. Tutta Lhasa si riversava sulle strade lungo le quali si snodava il sacro corteo che era meta ambita per devoti e pellegrini, alcuni dei quali provenienti anche dalle più remote regioni del Tibet, che affrontavano disagi di ogni genere pur di essere presenti almeno una volta nella vita alla suggestiva manifestazione. I palazzi principali del complesso del Norbu Linka sono quelli fatti costruire dall’ottavo, tredicesimo e quattordicesimo Dalai Lama e proprio la residenza di quest’ultimo (Tagtu Migyur Podrang) è oggi stata trasformata in un museo, meta obbligata nei programmi di ogni agenzia turistica che si rispetti.

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Pernottamento nell’Hotel Bhramaputra. Siamo stati qui 3 notti; l’hotel è molto accogliente, ci hanno dato la sciarpa bianca (kata) di benvenuto e improvvisata una danza tibetana all’arrivo. L’intero hotel è pieno di manufatti e tesori antichi raccolti dal proprietario.

13° giorno, mercoledì 9 aprile: Lhasa – Gyantse (60 mila ab. – 4.000 m s.l.m. – -1°-5°)

Lhasa – Gyantse: 263 chilometri per circa 06 ore.

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Dopo colazione partenza, con il solito pulmino, per Gyantse; sulla strada ci si fermerà a vedere il lago Yamdrok (dei Pascoli Soprani), uno dei più famosi laghi sacri del Tibet insieme a quelli di Nam Tso, Basum Tso e Lhamo Lhatso, e la casa delle “divinità adirate“. Il paesaggio di acqua blu turchese del lago con il riflesso della circostanti montagne innevate è impressionante (cliccare qui).

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Inizio dell’attraversamento della catena himalayana da Lhasa a Kathmandu, in Nepal, per la Friendship Highway, la Strada dell’Amicizia, lunga 865 chilometri, considerata uno degli itinerari più straordinari del mondo, con passi che superano i 5.000 metri.

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Nel corso del viaggio, si percorre la valle dello Yarlung con bei panorami; incontriamo piccoli villaggi, campi coltivati, superiamo tre passi contrassegnati dalle tipiche bandiere di preghiera: il Kamba-La (4794 m) con vista incantevole sul citato lago Yamdrok, uno dei quattro laghi sacri del Tibet, dove scendiamo per le foto di rito e la Carla sale in groppa ad uno yak (cliccare qui);

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poi il Karo-La (5039m), che lambisce l’imponente ghiacciaio del Noziw Kang Sa (7223 m), che quasi sfiora la strada asfaltata (cliccare qui),

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e infine il Simi-La (4352 m), prima di arrivare a Gyantse, tra le città meno contaminate dall’invasione cinese e un tempo centro di controllo delle carovane dirette in Bhutan e Sikkim. Quando arriviamo il tempo è minaccioso.

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Cittadina posta a 4.000 m di altitudine, Gyantse deve il suo fascino al fatto di essere la città più genuinamente tibetana del Paese, grazie ad uno scarso insediamento cinese. Situata in una posizione strategica sulla via commerciale per India, Sikkim e Bhutan, era uno dei centri commerciali più importanti e centro del dominio inglese in Tibet nel primissimo novecento, Gyantse è dominata da un forte che gli stessi inglesi consideravano tra le roccaforti più difficili da espugnare in Asia centrale.

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Terza città del Tibet, fondata nel XIV secolo, posta nella regione di Tsang cui capitale è Shigatse, avvolta dal fascino tibetano, è una meta ambita dai turisti che vogliono visitare questa parte della Cina così ancora attaccata alla sua storia e alle antiche tradizioni.

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Si respira un’atmosfera di incredibile serenità, dove il quotidiano viene svolto con estrema tranquillità.

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Fu visitata diverse volte dal tibetologo Giuseppe Tucci, che nel 1937 vi fu accompagnato dal fotografo Fosco Maraini, nel 1939 dal Capitano degli Alpini Felice Boffa Ballaran, e nel 1948 dal fotografo Pietro Francesco Mele e dal medico della Marina militare Regolo Moise.

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All’arrivo check-in in hotel Gyantse Hotel e pernottamento. Eccoci in un altro albergo in stile cinese… Grandi spazi nella hall e nella sala ristorante e camere modeste.

14° giorno, giovedì 10 aprile: Gyantse – Shigatse (92 mila ab. – 3.837 m s.l.m. – 2°-9°)

Gyantse – Shigatse: 90 chilometri in circa 2 ore.

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Dopo una buona prima colazione visitiamo il maggiore punto d’interesse della città che è il Monastero Palkhor Chode, risalente al 1418, con lo splendido Chorten Kumbum, la stupa di stile nepalese costruito nel 1440, con 108 cappelle e 10.000 statue, il più alto del mondo (33 metri), risalente al 1427. Articolato su nove livelli, il Kumbum va visitato percorrendo i vari piani in senso orario e scoprendo i passaggi ai piani superiori all’interno delle cappelle: i pellegrini lo percorrono in meditazione, proseguendo verso la cima sovrastata dagli occhi del Buddha. L’intero complesso è cinto da mura sino alla sommità della collina sulla quale domina lo Dzong (cliccare qui).

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Il ruolo di questo Monastero è unico nel buddismo tibetano in quanto ne rappresenta contemporaneamente tutte e tre le chiese: Gelug-pa, Sakya-pa e Shalu-pa. Un tempo ospitava un migliaio di monaci e comprendeva, all’interno delle mura che ancora lo circondano, un’intera cittadina.

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Delle numerose costruzioni (di cui si ha testimonianza dalle fotografie precedenti all’occupazione cinese) sono sopravvissute due lamaserie, il Kumbum e due templi, all’interno dei quali si possono ammirare le statue laccate di 84 santi in posizione yogica e una superba collezione di 15 mandala murali.

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I rimanenti edifici sono stati rasi al suolo; perfino le macerie sono state portate via, non resta che la nuda roccia.

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Il Kumbum, detto anche la stupa “delle centomila immagini”, conserva il più grande insieme di sculture e dipinti antichi del Tibet. Ha nove livelli con 108 cappelle, numero magico tibetano, dove si possono ammirare i dipinti murali, le statue di Buddha e vari protettori come Vajrabhairava, il “Vincitore della Morte”, l’aspetto terrificante è rivolto contro il male; il dio ha nove facce (la centrale taurina) e trentaquattro braccia, nelle due mani principali tiene una daga e un cranio-coppa colmo di visceri; ha diadema di crani e collane di teste umane recise; altre collane sono d’ossa umane e serpi; il pene eretto è ingioiellato.

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Successivamente si prosegue per Shigatse. Tappa tranquilla tra campi coltivati e scene di vita rurale: lungo la strada incontriamo contadini intenti ad arare i campi con gli yak.

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Shigatse, oltre a essere stata un’importante città del Tibet storico, oggi è la seconda città per popolazione della Regione Autonoma del Tibet ed è la capitale della provincia tibetana di Tsang.

La città sorge alla confluenza del Yarlung Tsangpo (Yar-lung Gtsang-po) (noto in occidente come Brahmaputra) e del Nyangchu (Nyang-chu). Shigatse è sempre stata il centro politico, religioso ed economico del Tibet meridionale ed è tradizionalmente dal XVII secolo la sede del Panchen Lama (Grande Saggio), il secondo capo del Buddismo tibetano; anche per i Panchen Lama vale la regola della successione per reincarnazione. Finora ci sono stati sette Panchen Lama. La città ha subito storicamente una forte influenza cinese, chiaramente visibile dallo stile dei suoi edifici, ma grazie al fatto che il Panchen Lama non fosse fuggito in India con il Dalai Lama, può contare su di un monastero che ha resistito ottimamente preservato fino ai giorni nostri, anche durante gli anni della Rivoluzione Culturale.

E’ la città monastica più attiva e popolosa del Tibet in quanto ospita al suo interno la comunità più numerosa di monaci del Paese (oltre 900) e conserva gelosamente il suo patrimonio religioso. Il suo nome in tibetano significa “Montagna delle Felicità Eterna” e conserva tutt’oggi notevoli opere d’arte, tra cui un’imponente statua del Buddha alta 27 metri.

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Nel pomeriggio visitiamo il monastero di Tashilumpo, del 1447, fondato da Gedum Truppa, il primo Dalai Lama (1391-1475). Dal XVII secolo è sede del Panchen Lama. Dopo l’ingresso, si visitano una serie di padiglioni dal tetto dorato. Il quinto, Kelsang Lakhang, include la sala assembleare, con il trono del Panchen Lama.

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Con l’intento di tornare al suo originale significato magico-religioso: non genocidio e razzismo, ma salute e fortuna.

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Merita una nota la bella cappella del Buddha del Futuro Maitreya, che ospita una statua buddista di bronzo, alta 27 metri e pesante 275 kg, fatta di oro e grandi quantità di materiale prezioso, quali perle, coralli, ambre. Il cortile di questo tempio è fiancheggiato da un chiostro a due livelli ornato con pitture murali. Il circuito di pellegrinaggio di tre chilometri attorno al Tashilumpo, chiamato Kora, segue in senso orario le mura del complesso. A Shigatsè c’è una fabbrica di tappeti tibetani.

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Nel 1628 i missionari gesuiti portoghesi João Cabral e Estêvão Cacella furono cordialmente accolti a Shigatse dal re dello Ü-Tsang e vi stabilirono una missione.

Alla sera cena e pernottamento in hotel Manasoravar.

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4 Comments so far

  1. Ayah on 11 Luglio, 2014

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  3. Jessica on 26 Febbraio, 2015

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