Campo di Giove: borgo completamente immerso nella natura


Campo di Giove (788 ab. – 1.064 m s.l.m.) è un comune italiano della bassa provincia dell’Aquila, al confine con la provincia di Chieti, in Abruzzo. Fa parte della Comunità montana Peligna e del Parco Nazionale della Majella. Situato ai piedi del versante sud-occidentale della Majella, è un’importante località di villeggiatura estiva ed invernale. Questo è il post con le sensazioni e le informazioni del viaggio, suddiviso per motivi tecnici in due parti.


La Majella ha un posto speciale nel mio cuore. È stato qui che da giovane ragazzo quindicenne, per la prima volta in vita mia, ho conosciuto davvero la neve, i cervi e i lamponi selvatici. Una vera scoperta!


C’era un tempo in cui le ferrovie a intervalli regolari, e nei punti nevralgici più pericolosi, avevano un casello ferroviario, dove una famiglia ed il casellante viveva in cambio della pulizia del tratto di sua competenza ed il mantenimento in buono stato della linea ferroviaria.

Questo casello ferroviario abbandonato è solo uno dei tanti in giro. E proprio in un casello come questo a Campo di Giove ho passato sette giorni che però ricorderò per tutta la vita.


La mia prima esperienza trascorsa in campeggio con i compagni del catechismo è stata bellissima e molto emozionante…mi sentivo parte di una grande famiglia anche se naturalmente con alcune persone ho legato di più e con altre meno. La cosa che mi è piaciuta di più sono state le camminate, lunghe e piacevoli. Il mio ricordo più bello è stata l’ascesa verso la vetta del Monte Amaro, perché è stata la prima vera e propria lunga camminata che abbia fatto.

L’11-12 e 13 luglio, da giovane ultrasessantenne sono tornato assieme a mia moglie a Campo di Giove anche se questa volta abbiamo soggiornato presso La Pretèra, un bed and breakfast che offre camere grandi con bagno privato in un contesto di totale pace.


Ancora oggi percorrere i sentieri della Majella – facilmente individuabili e preventivamente studiabili attraverso il sito del parco – significa assaporare quell’aria di montagna salubre e solitaria che permette di ritrovare quella tranquillità d’animo e quella solitudine tanto cari a Pietro da Morrone (Celestino V) che fece della Majella il suo rifugio spirituale.
Quando si pensa alla natura in Abruzzo si pensa sempre all’omonimo e bellissimo Parco Nazionale, il più antico fra i parchi nazionali con quello valdostano del Gran Paradiso. Ma in questa piccola e verdissima regione c’è un altro bellissimo Parco, di estensione ancora maggiore, e non meno meritevole di esser visitato e scelto come meta di meravigliose vacanze: il Parco della Majella che racchiude l’enorme massiccio montuoso (che arriva quasi a 3000 metri s.l.m.) e tutte le valli circostanti.
Vi troverete boschi di faggio secolare abitati da cervi e caprioli, pianori a pascolo e pareti rocciose, regno dei camosci, e poi eremi monastici, stazioni termali d’eccellenza (Caramanico Terme), riserve faunistiche dove ammirare anche gli orsi bruni che pur in pochi esemplari vivono nel Parco (Palena), e ancora magnifici canyon e gole rocciose, grotte carsiche (le Grotte del Cavallone), e poi chilometri e chilometri di sentieri ben segnalati e di diversa difficoltà.


La mattina dell’11 luglio, a 159 chilometri da Roma e a circa mezz’ora da Campo di Giove ci fermiamo a visitare l’Eremo di Sant’Onofrio al Morrone.
In quest’ eremo, scelto dal futuro Papa Celestino V come luogo per la meditazione, si respira ancora “aria di santità”. Costruito sulle rocciose pendici del Morrone, domina la sottostante Valle Peligna e offre uno spettacolare panorama.


Incastonato nella roccia, si può raggiungere con una camminata a piedi che, benché in salita, è a mio parere di facile percorrenza. In circa venti minuti si giunge al romitorio. Meglio andarci quando c’è il custode che permette di visitare la struttura all’interno.


Arrivati in cima il panorama ed il silenzio aiutano a raccogliersi in meditazione e cercare di capire quel modo di vivere giornate dai tempi dilatati, a debita distanza dalla frenesia del quotidiano, immaginando il modo in cui gli antichi eremiti trascorrevano le loro ore scandite dalla preghiera e dal lavoro.


Paragonato a un nido d’aquila che domina la valle, l’eremo celestiniano sembra davvero gareggiare, per audacia costruttiva, con i rapaci che popolano le pareti del Morrone.

All’interno si trovano l’oratorio con affreschi del ‘200 e le cellette usate da Pietro del Morrone (Papa Celestino V) e da uno dei suoi più fedeli giovani discepoli: il Beato Roberto da Salle.


Una volta ridiscesi si può raggiungere in 5 minuti seguendo un sentiero che si snoda all’ombra di pini e cipressi il sito archeologico del Santuario di Ercole Curino, il cui Sacello è decorato da pitture e da mosaici policromi di tipo ellenistico.


Tornati al nostro B&B, dopo esserci rinfrescati abbiamo fatto una passeggiata a piedi nel centro di Monte di Giove alla scoperta di vicoli e vicoletti, tutti ben curati e puliti, piazze e piazzette, minuscoli giardini curati dalle famiglie del posto, antiche costruzioni in pietra ed un grazioso laghetto immerso in una verde oasi dove ci siamo fermati a prendere un gelato.

Per la cena abbiamo scelto, tra i tanti locali consigliati dalla signora del B&B, il ristorante “La Scarpetta di Venere” che abbiamo scoperto essere aderente alla “Alleanza Slow Food dei Cuochi”. Questa Alleanza è una rete internazionale di cuochi che si impegnano a valorizzare i prodotti dei Presìdi, dell’Arca del Gusto e delle piccole produzioni locali “buone, pulite e giuste” come quelle delle Comunità del Cibo di Terra Madre, salvaguardando la biodiversità agroalimentare a rischio di estinzione e dando visibilità e giusto valore ai produttori da cui si riforniscono. Tant’è che abbiamo mangiato dei cibi preparati con materie prime non solo genuine ma quasi scomparse dalle coltivazioni attuali e fatte riemergere dal passato grazie al lavoro di queste persone come le tagliatelle fatte con la farina di “solina” una varietà di frumento conservata in molte zone ad agricoltura marginale della regione Abruzzo, un grano autoctono, che trova nei territori pescaresi ed aquilani la sua collocazione ottimale; gli “orapi”, spinaci selvatici raccolti in alta montagna, nei dintorni degli stazzi delle pecore; insalata con il Peperoncino Dolce di Altino; crostata con piccoli fichi dolcissimi anch’essi autoctoni. Insomma una delizia per il palato. Tanto che la sera successiva siamo ritornati!

Itinerari del giorno 12 luglio

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