Napule è
È giovedì 3 gennaio 2019. È la prima gita dell’anno con destinazione Napoli (962.260 abitanti; 8.205 ab./km² e 17 m s.l.m.) terzo comune in Italia per popolazione. Napoli può essere “doce comme nu babà” oppure “na carta sporca” come recita la famosa canzone di Pino Daniele, dipende da come la si osserva. Questo è il post con le sensazioni del viaggio, suddiviso per motivi tecnici in due parti.
Dal piazzale Garibaldi, stazione, abbiamo preso Corso Umberto I e all’altezza di piazza Nicola Amore abbiamo imboccato via Duomo dove, nella chiesa di San Severo al Pendino, ci siamo gustati una prima mostra di presepi artistici napoletani.
Siamo andati a visitare la splendida Cattedrale di Santa Maria Assunta, il Duomo cittadino dedicato a San Gennaro, in cui si trova la cappella del Tesoro di san Gennaro con le reliquie del patrono della città e le ampolle con il suo sangue.
Il Duomo risale al XIII secolo ma fu oggetto di aggiunte fino al XX secolo. Ha una splendida facciata neogotica ricostruita alla fine dell’Ottocento, e un interno a croce latina a tre navate e 10 cappelle laterali (5 per lato).
La Cappella di San Gennaro è quella che colpisce di più. Tutti noi abbiamo nella mente le immagini delle celebrazioni in onore del miracolo che trasforma la reliquia solida in sangue liquido.
Ciò avviene in genere tre volte l’anno: il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre, e in tali occasioni il sangue di San Gennaro viene esposto per la venerazione dei fedeli. Nella cappella si trova anche il busto angioino.
Tra le opere pittoriche e monumentali presenti nel Duomo c’è una cosa che ci ha poi particolarmente colpiti. Nella terza cappella della navata di sinistra si trova la Basilica di Santa Restituita, la più antica basilica di Napoli di origine paleocristiana. Una basilica nella basilica. Fantastica!
Tra le strade principali della città, vi sono di certo quelle che caratterizzano l’area dei decumani di Napoli: Spaccanapoli (decumano inferiore), via dei Tribunali (decumano maggiore), via dell’Anticaglia (decumano superiore), via San Gregorio Armeno, celebre turisticamente per le botteghe artigiane di presepi.
Dal Duomo siamo scesi sulla via omonima e abbiamo imboccato sulla destra via dei Tribunali, il Decumano Maggiore, una delle strade più importanti del centro storico peraltro patrimonio dell’Umanità Unesco.
Via dei Tribunali, che prende il nome dal fatto che il viceré don Pedro de Toledo trasferì i cinque tribunali nel vicino Castel Capuano, è una strada molto folcloristica, piena di vicoletti, di pescherie, di negozietti di frutta e verdura, di oggetti di artigianato e tanto tanto cibo: ovunque pizza, pizzelle, pasta cresciuta, cuoppi misti, cuoppi di pesce .
Lungo la via ci siamo fermati a visitare la chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, o più semplicemente del Purgatorio ad Arco nota al popolo partenopeo come la chiesa “de’ ’e cape ’e morte” o delle “capuzzelle”, luogo di culto delle “aneme pezzentelle” (anime povere).
Varcandone la soglia comincia un vero e proprio viaggio nella cultura napoletana tra arte, fede, vita, morte.
Dalla piccola e bellissima chiesa del ‘600, che custodisce i preziosi marmi e il Teschio alato di Dionisio Lazzari, insieme a capolavori di Massimo Stanzione, Luca Giordano e Andrea Vaccaro, si scende nell’antico e grandioso ipogeo che ospita ancora oggi l’affascinante culto rivolto a resti umani anonimi che diventano speciali intermediari per invocazioni, preghiere, richieste di intercessioni. Un piccolo museo allestito negli spazi dell’elegante sagrestia completa l’itinerario.
Più avanti a sinistra in Vico del Fico al Purgatorio e poco prima della pizzeria Sorbillo si possono trovare questo busto della maschera campana di Pulcinella in rame e un arco con vista sul vicolo con enormi corni rossi appesi.
L’opera in bronzo, alta un metro e venti e posata su di un basamento in pietra, venne donata dall’artista Lello Esposito ed inaugurata nel 2012. Da allora Pulcinella è sempre “in posa” per qualche foto con i turisti.
Leggenda popolare narra che toccargli il naso porti fortuna e da come è lucido lo pensano in molti.
Sempre su via dei Tribunali al numero 32 ci siamo messi in fila da Gino e Totò Sorbillo, una della più famose e storiche (dal 1935) pizzerie di Napoli.
La diatriba su quale sia la pizzeria storica migliore della città divide i napoletani in due fazioni: quelli che preferiscono Sorbillo e quelli che invece dicono sia migliore l’Antica Pizzeria da Michele Via Cesare Sersale 1/3.
Dicono che per evitare la lunga fila ci si debba comunque andare tra le 11:30 e le 12. Noi ci siamo andati verso le 12:45 e non siamo riusciti ad entrarci; abbiamo atteso pochi minuti, trascorsi simpaticamente ascoltando un signore che si si esibiva cantando al microfono dal balcone di casa sua in via Atri, all’angolo con Gino Sorbillo, canzoni napoletane.
Il signore di cui sopra è un certo Tonino Borrelli detto “Topolino” che ha ripensato l’antica posteggia napoletana. La serenata infatti non si fa sotto al balcone ma proprio dal balcone di casa.
Quindi per non fare torto a nessuno siamo andati in pizzeria da Attanasio e ci siamo mangiati pizze con i famosi pomodorini “piennoli del Vesuvio” sia gialli che rossi, tiè (ma da qui a distruggerla con una bomba ce ne passa! Cliccare qui). Consiglio solo di prendere un tavolo lontano dal freddo della porta.
Siamo scesi quindi per via Nilo per andare a visitare la Basilica Santuario del Gesù Vecchio che si trova in fondo a via Giovanni Paladino, 38. Nel 1958 è stata elevata alla dignità di basilica minore.
Nel cuore della vecchia Napoli, in una strada non troppo “importante “ troviamo la Basilica del Gesù Vecchio (o dell’Immacolata di Don Placido) con la sua facciata barocca, che, chiusa da altri edifici, stenta ad apparire al visitatore nella sua esuberanza e con il suo grande portale con timpano spezzato e sovrastato da una grande finestra rettangolare.
L’interno della chiesa, con una struttura architettonica a croce latina, ha un’unica navata e quattro cappelle per lato, tutte ricche di opere d’arte dei maggiori artisti dell’ epoca come i pittori Battistello Caracciolo, Francesco Solimena, Domenico Morelli, Francesco de Mura e Cesare Fracanzano nonché grandi scultori come Ghetti e Fanzago.
Stupenda la cupola affrescata nel tardo Ottocento da Onofrio Buccino. Alle spalle dell’ imponente altare maggiore, notevole è il baldacchino rococò con una doppia rampa laterale, caratterizzata da un corteo di angeli in stucco, che conduce alla grande macchina absidale, al cui centro vi è la venerata statua in legno e terracotta dell’Immacolata scolpita da Nicola Ingaldi; ma proprio su questa fantastica statua intendo soffermarmi, infatti questa Chiesa è famosa anche per la Grande festa liturgica e di popolo che si verifica nel “sabato privilegiato“.
Questa tradizione è sorta con il sacerdote della Chiesa don Placido Baccher, che, per la sua vita esemplare, ha rappresentato una vera e propria istituzione: infatti la Chiesa era frequentata da aristocratici, popolani, borghesi, commercianti e spesso anche Re Ferdinando II si recava con la Regina e con la corte nella basilica del Gesù Vecchio; le sue omelie erano straordinarie ed in molti lo consideravano quasi un santo.
Don Placido aveva una notevole riconoscenza e venerazione verso l’Immacolata per averlo liberato dal carcere e da una condanna a morte al tempo della rivoluzione napoletana del 1799 , e sempre più si diffondeva le grazie che riusciva ad ottenere dalla sua Madonnina.
Così il 30 dicembre del 1826 don Placido vide concretizzato il suo sogno di far incoronare solennemente dal Cardinale la statua dell’Immacolata, con una celebrazione solenne, che vide coinvolta tutta la Napoli cattolica. Nel giorno seguente l’Immacolata gli apparve e disse: ”Beati… particolarmente tutti quei sacerdoti che celebreranno al mio altare e beati i fedeli che vi faranno la Comunione nel sabato seguente la mia incoronazione”.
Da allora la cristianità napoletana viene a venerare la Madonna Immacolata di Don Placido, soprattutto nel “sabato privilegiato” che è individuato nel primo sabato dopo il 30 dicembre di ogni anno (ecco perché stavano sontuosamente addobbando l’altare quando siamo passati: due giorni dopo sarebbe stato il sabato privilegiato!).
Al ritorno, lungo la via abbiamo potuto ammirare la statua del Nilo e la chiesa monumentale di Sant’Angelo a Nilo con al suo interno i sepolcri di diversi esponenti della famiglia Brancaccio, tra cui il monumentale sepolcro del cardinale Rainaldo Brancaccio, scolpito da Donatello e Michelozzo.
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