I geyser della Caldara di Manziana, un luogo suggestivo


Paesaggi lunari che rievocano l’Islanda. Eppure siamo a neanche un’ora di macchina da Roma, nel cuore del Parco Naturale Regionale di Bracciano e Martignano. Il Monumento Naturale di Caldara di Manziana è facilmente raggiungibile in auto da Manziana. A circa 5 chilometri dal centro cittadino si giunge a via della Caldara: basta girare a sinistra e proseguire per circa 500 metri lungo una strada sterrata che porta ad un piccolo parcheggio, dove è possibile lasciare l’auto. In treno con la Ferrovia Roma-Capranica-Viterbo, facendo una facile escursione a piedi attraverso i sentieri del bosco Macchia Grande, che dista dalla stazione di Manziana-Canale Monterano circa 7 chilometri.

Il Lazio è una regione dalla straordinaria biodiversità e dai tantissimi tesori naturalistici nascosti.  In questo mese di dicembre andiamo alla scoperta di un luogo molto singolare, quasi surreale nella sua veste geologica, e curiosamente ancora poco conosciuto anche tra gli stessi laziali: il Monumento Naturale Caldara di Manziana, istituito con L.R. n° 64 del 1988, con una estensione di circa 90 ettari e una quota di 260 metri di altitudine.

La Caldara di Manziana era già nota agli Etruschi e ai Romani, come dimostra il ritrovamento di parte del tracciato dell’antica strada consolare Clodia, nei pressi del bosco e sembra che in queste acque biancastre e nei fanghi sulfurei le legioni romane andavano a lavarsi, in un bagno purificatore, di ritorno dalle guerre.


Gli effluvi solfurei dovettero suggerire agli Etruschi l’immagine di un paesaggio infernale, tanto che qui ritenevano abitasse il dio degli inferi da cui deriva il toponimo Manziana.

Il territorio di Manziana e di Canale Monterano era consacrato dagli Etruschi al dio dell’oltretomba Manth (in latino Mantus): da questo prendeva il nome la Silva Mantiana, grande area boscosa che dominava le colline a occidente del Lago di Bracciano, di cui il vicino Bosco Macchia Grande è l’unico settore che ancora si conserva.

L’associazione tra il bosco e il dio degli Inferi Manth derivò probabilmente dall’aspetto tetro e impenetrabile della foresta e dalla presenza diffusa di polle di acqua sulfurea, anticamente considerate una emanazione del mondo sotterraneo.


Il paesaggio è quasi lunare e l’odore di zolfo permea tutta l’area fino a dare alla testa mentre, dal basso, piccole bollicine accerchiano i nostri piedi che avanzano alla scoperta della solfatara.

Sebbene la fase eruttiva del Vulcano Sabatino sia ampiamente terminata, infatti, il calore sotto la crosta terrestre produce ancora dell’energia che determina, in superficie, l’insorgere di piccole bolle di acqua sulfurea che sembrano ricordare tanti piccoli geyser in miniatura che ‘borbottano’. L’emissione di anidrite solforosa, anidrite carbonica e altri gas, dunque, fa gorgogliare l’acqua mineralizzata che si mantiene ad una temperatura di oltre 23 gradi centigradi.


Il nome “caldara” (Callara o Bollore), deriva probabilmente dal gergo popolare che assimila l’area della sorgente ad un pentolone d’acqua che ribolle: un enorme calderone di 400 metri di diametro!


Ma camminando nel centro della depressione si ha una strana sensazione: il terreno diviene morbido e risuona come se fosse vuoto. Sotto i nostri piedi non c’è roccia dura, ma un accumulo di sostanze organiche, soprattutto vegetali: la “torbiera”.

Questa si forma in ambienti ricchi d’acqua, dove in seguito ad una serie di processi chimici la sostanza vegetale sepolta si trasforma in torba.


Insomma, un luogo magico che sembra un set cinematografico. Infatti, molte scene di film avventurosi sono state girate proprio qui.

Da visitare con delle scarpe adatte e impermeabili, il Monumento Naturale di Caldara di Manziana è un ambiente acquitrinoso caratterizzato, dal punto di vista vegetazionale, dalla presenza di praterie umide di una graminacea rarissima che conferisce all’ambiente un impatto ancora più suggestivo: l’agrostis canina, i “capellini delle torbiere”; una specie erbacea protetta, capace di resistere in ambienti acidi e con alta concentrazione di anidride carbonica e anidride solforosa e la presenza di tantissime felci che hanno colonizzato la parte periferica della caldara.


La vegetazione, nei pressi della solfatara, è resa ancora più particolare, inoltre, anche dalla presenza di un insolito boschetto di betulle bianche, molto sui generis visto che ci si trova nel cuore di una regione del Centro Italia, a poca distanza dal mare. Si tratta, infatti, di una pianta normalmente diffusa nel Nord Europa e ad alte quote.


Come mai allora qui e non in nessun’altra parte del Lazio? Molto probabilmente si tratta di una pianta sopravvissuta all’ultima era glaciale, grazie alla sua migliore capacità di sopportare, rispetto ad altri alberi, le emissioni gassose. Oltre alle betulle, nel bosco troviamo anche castagneti, diversi tipi di querce (soprattutto cerri) e un ricco sottobosco con ginestre.


Così come la flora, anche la fauna è molto variegata e spazia dai tassi alle volpi, dai cinghiali agli uccelli fino ad anfibi, rettili e coloratissime farfalle. La presenza di maggior rilievo, però, è costituita dal coleottero Lophyridia littoralis, un insetto che raramente si trova in aree interne rispetto al litorale marino.

Sebbene dei cartelli avvisino che respirare l’aria della solfatara potrebbe essere nocivo per la salute, una passeggiata per scoprire e fotografare questi piccoli gayser non implica alcun rischio.

Si tratta di un ambiente straordinario, pertanto si raccomanda di rispettare il territorio. Come? Evitando di raccogliere fiori, danneggiare piante o lasciare rifiuti.

Una buona norma di comportamento da adottare è anche quella di evitare di urlare, in modo da non disturbare gli animali, oltre a seguire bene i sentieri per non perdersi.

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