Vacanze settembrine in Salento

Otranto (5.769 abitanti; 75 ab. /km² e 15 m s.l.m.) è un comune della provincia di Lecce situato sulla costa adriatica della penisola salentina, è il comune più orientale d’Italia: il capo omonimo, chiamato anche Punta Palascìa, a sud del centro abitato, è il punto geografico più a est della penisola italiana.

Dapprima centro greco-messapico e romano, poi bizantino e più tardi aragonese, si sviluppa attorno all’imponente castello e alla cattedrale normanna. Sede arcivescovile e rilevante centro turistico, ha dato il suo nome al Canale d’Otranto, che separa l’Italia dall’Albania, e alla Terra d’Otranto, antica circoscrizione del Regno di Napoli. Nel 2010 il borgo antico è stato riconosciuto come Patrimonio Culturale dell’UNESCO.

La Cattedrale intitolata a Santa Maria Annunziata fu edificata sotto la dominazione normanna e ultimata nel XII secolo. Sorge sui resti di un villaggio messapico, di una domus romana e di un tempio paleocristiano, ed è stata consacrata il 1º agosto 1088 durante il papato di Urbano II.

Fortemente rimaneggiata in seguito alle devastazioni turche del 1480, conserva all’interno un capolavoro dell’arte musiva medievale.

Realizzato tra il 1163 e il 1165 e firmato dal monaco Pantaleone, il mosaico, che si estende lungo le tre navate, il transetto e l’abside, presenta un maestoso Albero della Vita con temi tratti dall’Antico Testamento, dai vangeli apocrifi, dai cicli cavallereschi e dal bestiario medievale.

Nella cattedrale sono inoltre conservate le reliquie dei Santi martiri di Otranto e nell’omonima Cappella è possibile vedere i teschi e le ossa deposte in sette grandi armadi.

I santi Antonio Primaldo e compagni martiri, conosciuti anche semplicemente come Martiri di Otranto, sono gli 813 abitanti della città salentina di Otranto uccisi il 14 agosto 1480 dai Turchi guidati da Gedik Ahmet Pascià, per aver rifiutato la conversione all’Islam dopo la caduta della loro città. Sono stati canonizzati il 12 maggio 2013 da Papa Francesco; erano stati dichiarati beati il 14 dicembre 1771 da papa Clemente XIV.


Il 28 luglio 1480 una flotta turca del sultano dell’Impero ottomano Maometto II proveniente da Valona, forte di 90 galee, 40 galeotte e altre navi, per un totale di circa 150 imbarcazioni e 18.000 soldati, si presentò sotto le mura di Otranto.

La città resistette strenuamente agli attacchi, ma la sua popolazione di soli 2.000 abitanti non poté opporsi a lungo ai bombardamenti. Infatti il 29 luglio la guarnigione e tutti gli abitanti abbandonarono il borgo nelle mani dei Turchi, ritirandosi nella cittadella mentre questi ultimi cominciavano le loro razzie anche nei casali vicini.

I superstiti e il clero si erano rifugiati nella cattedrale a pregare con l’arcivescovo Stefano Pendinelli. Gedik Ahmet Pascià ordinò loro di rinnegare la fede cristiana, ma ricevendone un netto rifiuto, irruppe con i suoi uomini nella cattedrale e li catturò. Furono quindi tutti uccisi, mentre la chiesa, in segno di spregio, fu ridotta a stalla per i cavalli.

Particolarmente barbara fu l’uccisione dell’anziano arcivescovo Stefano Pendinelli, il quale incitò i superstiti a rivolgersi a Dio in punto di morte. Fu infatti sciabolato e fatto a pezzi con le scimitarre, mentre il suo capo mozzato fu infilzato su una picca e portato per le vie della città.

Il comandante della guarnigione Francesco Largo venne invece segato vivo.

A capo degli Otrantini – che il 12 agosto si erano opposti alla conversione all’Islam – era anche il vecchio sarto Antonio Pezzulla, detto Il Primaldo.

Il 14 agosto Gedik Ahmet Pascià fece legare i superstiti e li fece trascinare sul vicino colle della Minerva, dove ne fece decapitare almeno 800, costringendo i parenti ad assistere alle esecuzioni. Il primo a essere decapitato fu Antonio Primaldo. La tradizione tramanda che il suo corpo, dopo la decapitazione, restò ritto in piedi, a dispetto degli sforzi dei carnefici per abbatterlo, sin quando l’ultimo degli Otrantini non fu martirizzato.

Durante quel massacro le cronache raccontano che un turco, tal Berlabei, si convertì nel vedere il modo in cui gli otrantini morivano per la loro fede e subì anche lui il martirio, impalato dai suoi stessi compagni d’arme.

Da visitare sicuramente anche la sottostate cripta che, con la sua selva di colonne dai capitelli di vario stile, vuole essere una miniatura della Moschea di Cordova.

Vogliamo visitare la Cava di bauxite poco fuori l’abitato di Otranto prima che sia troppo buio: facciamo appena in tempo, è sicuramente un posto da vedere, molto singolare per via del contrasto dei colori, il rosso della bauxite, il verde della vegetazione, il cielo ancora limpido, il bacino dell’acqua che sembra quasi uno specchio metallico in cui si riflette l’ambiente circostante. A me è piaciuta molto.


La cava di bauxite, oggi dismessa, si trova vicino a Otranto, nella zona del faro di Punta Palascia. Il paesaggio è spettacolare: tra le rocce color rosso acceso sorge un laghetto verde smeraldo, il cui contrasto con il rosso delle pareti rocciose e il con paesaggio circostante, con il verde brillante della vegetazione e il blu del cielo, rende questo luogo magico.


Alla zona è legata anche una leggenda, la favola tragica di Asmodeide, promessa sposa di Teofante. La fanciulla, dai capelli rossi come il fuoco e dalla pelle bianca, nascondeva un segreto. Una volta tramontato il sole, quando era ora di dormire, accadeva qualcosa di terribile: Asmodeide aveva il dono di sognare il futuro, ma lei che ricordava ben poco di quello che le appariva quando chiudeva gli occhi aveva il terrore di assistere ad oscuri presagi, a sventure che non avrebbe potuto in alcun modo evitare.

Il giorno del suo quindicesimo compleanno, dopo aver programmato il matrimonio che desiderava tanto con il suo fidanzato si recò nel suo luogo preferito, poco fuori le mura di Otranto. È lì che incontrò il Destino. Il Fato, vestito da vecchio pastore, le disse che non avrebbe potuto sposare Teofante altrimenti l’avrebbe pagata cara. E le disse anche quello che avrebbe perso: la prima notte di nozze il solaio sarebbe crollato sul suo sposo disteso sul letto che sarebbe morto senza accorgersi di nulla.

La giovane si ribellò. E decise di coronare il suo sogno. Una volta a letto, appena sentì scricchiolare le travi del tetto, Asmodeide spinse il marito fuori dal letto nel tentativo di salvarlo. Il tetto crollò proprio come il Fato aveva previsto. Teofante era vivo, ma si precipitò per assicurarsi che la moglie stesse bene, inciampò sulle macerie e cadde su una trave che gli trapassò il cuore.

Asmodeide, carica di rabbia e dolore, si recò alla cava dove l’attendeva il Destino. Il vecchio l’accusò di aver usato il suo dono per modificare il futuro e che sarebbe stata comunque sua, ma lei gli urlò che non l’avrebbe mai avuta e si gettò nel pozzo. Pochi istanti dopo dal buco iniziò a zampillare dell’acqua. È così che nella conca si formò un lago. Alimentato ancora oggi da Asmodeide.

Ci siamo imbattuti in una coppia di sposi etero – a cui vanno i nostri auguri – che avendo scelto il posto come set per le foto matrimoniali, in barba alla sicurezza posavano sopra una piccola lingua di terra davanti al laghetto.

Accesso a Porto Badisco: ben segnalato dalla strada litoranea, circa 10 km a sud di Otranto; parcheggio in vari punti lungo la deviazione. La spiaggetta di Porto Badisco, caratterizzata dalla presenza di una sorgente, è piccola e caratterizzata da sabbia “solida”; attenzione alle rocce, molto taglienti come in vari punti della costa adriatica del Salento.

Porto Badisco è una delle baie naturali tra le più suggestive in Italia, sembra quasi una cartolina: lo scenario è quello di un piccolo fiordo e la leggenda narra che vi sia approdato Enea. Conserva in realtà testimonianze di graffiti preistorici nella Grotta dei Cervi che però non è visitabile.

Fichi d’India e macchie di mirto profumato sono ovunque intorno a voi. Lo scenario è di un piccolo fiordo che la leggenda narra aver favorito l’approdo di Enea e dei suoi compagni nell’epico viaggio in Italia. Invece la preistoria è testimoniata dalle pitture nella grotta dei Cervi. Finite le citazioni, inizia il relax sulle rocce della cala, dove abbandonare corpo e pensieri, con il rumore del mare in sottofondo.

E’ una splendida giornata di sole e il nostro itinerario ci porterà oggi a sud di Otranto fino a Santa Maria di Leuca (1.263 abitanti; 102 m s.l.m.), adagiata sul promontorio più meridionale del Salento, da cui si assiste all’incontro del Mar Adriatico e del Mar Ionio.

Parcheggiamo l’auto comodamente e siamo già sull’ampio piazzale della chiesa di Santa Maria de Finibus Terrae, appunto per la sua posizione nell’estremo lembo d’Italia.

Il sito dove ora sorge la basilica era occupato da un tempio pagano dedicato a Minerva, come testimonia il ritrovamento di un’ara, conservata all’interno della chiesa.

La tradizione narra poi dello sbarco in zona dell’apostolo Pietro, in ricordo del quale è ancora presente sul piazzale antistante la croce pietrina, e della conversione al cristianesimo della popolazione locale, che portò al cambiamento di culto del tempio.

Ai margini del piazzale si erge poi il famoso Faro, che con i suoi quarantotto metri di altezza è il secondo faro più alto in Europa, dopo quello di Genova.

Si può accedere alla sua lanterna mediante 254 scalini e una volta in cima, nei giorni di cielo terso, si possono vedere l’isola di Corfù e le montagne che segnano il confine tra Grecia ed Albania.

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