La Basilica di S. Elia e il Santuario di Maria SS.ma “Ad Rupes” – Castel Sant’Elia – Viterbo – Lazio


Viaggiando per il sud dell’Alto Lazio, lo scorso 15 ottobre siamo andati al Pontificio Santuario Maria SS.ma “Ad Rupes.  Si, è vero, non si tratta di una nuova località tutta da scoprire ma “solo” di una piccola chiesa posta in alto sulla Valle Suppentonia, a metà strada tra Nepi e Civita Castellana…ma non per questo la magia è di meno, anzi…si tratta di un posto veramente meraviglioso.

La basilica di Sant’Elia a Castel Sant’Elia sorge al centro della valle Suppentonia che sin dai primi secoli dell’era cristiana si distinse come centro anacoreta e quindi benedettino.
Il tempio è in puro stile romanico, con presenze di elementi di origine lombarda.


Una tradizione millenaria vuole che la chiesa sorga nel luogo dove l’imperatore Nerone fece innalzare un Tempio a Diana Cacciatrice. La prima notizia relativa alla Basilica ci perviene dai “Dialoghi di Gregorio Magno”, anche se scarse sono le notizie tratte dai documenti, si può ipotizzare, dai numerosi ritrovamenti, che il periodo di massimo splendore della Basilica si ebbe intorno al sec. IX. Durante il IV e V secolo compare il fenomeno della vita eremitica in abitazioni rupestri.


Intorno al 520 il franco sant’Anastasio di Suppentonia, notaio della curia romana, vi fondò un monastero (se ne ha una prima notizia in un papiro del 557 conservato nell’Archivio vescovile di Ravenna.
Innocenzo III annovera la Basilica nel 1211 tra le proprietà di S. Paolo fuori le mura. Nel 1258 Alessandro IV con una bolla ne decreta il passaggio ai Canonici di S. Pietro in Sassia, i quali, successivamente, aggiunsero la torre campanaria. Nel 1540 Paolo III donava la Basilica al nipote Pier Luigi Farnese, i Canonici ebbero in permuta la tenuta di S. Marinella. Durante il periodo Farnesiano (1540/1649) furono apportate numerose riparazioni tra le quali da ricordare la ricostruzione della parete laterale di sinistra del 1607, conseguente alla caduta di un masso staccatosi dalla parete tufacea della rupe.


Nel 1740, dopo l’apertura della nuova chiesa parrocchiale di S. Antonio Abate e al passaggio della Basilica alla Regia Camera Apostolica, inizia un periodo di decadenza. La situazione di abbandono e di fatiscenza si protrasse fino al 1855 quando crollò il campanile. Sotto il pontificato di Pio IX e per l’interessamento della stessa popolazione l’accademia di archeologia cristiana incaricò l’arch. V. Vespignani del progetto di restauro, che si concluse con la realizzazione del cimitero nell’area dell’ex monastero.

Alla fine del 1960 venne restaurata l’intera superficie, successivamente venne completamente rifatta la copertura della chiesa e realizzato l’attuale pavimento in acciottolata delimitato da reperti archeologici romani. Nel 1994 si restaurarono le superfici scultoree dei portali della facciata.

La facciata della Basilica risale al XII secolo e segue la forma delle facciate affiancate da ali laterali. Presenta nella parte superiore la decorazione delle arcatelle pensili ed ospita tre portali: il destro, in corrispondenza della lunetta, presenta una decorazione pittorica, quello sinistro e il portale centrale sono stati realizzati con frammenti di marmo, forse appartenenti alla primitiva Basilica. In alto lateralmente al portone centrale emergono dalla facciata le due Teste di Arieti simbolo del verbo cristiano: quella di sinistra assiste alla negatività delle scene sottostanti, mentre quella di destra è appagata dalla visione benefica.
Alla destra della facciata sorgeva la torre campanaria, edificata nel 1260 dai canonici di Santo Spirito in Sassia che avevano ricevuto la concessione del monastero da papa Alessandro IV due anni prima. Andò distrutta nel 1855.

L’interno è costituito da tre navate e da un transetto il tutto contenuto in un rettangolo sghembo. Le colonne che delimitano la navata centrale provengono quasi certamente dallo spoglio di ville e monumenti romani. La navata maggiore presenta sette archi per lato, sorretti da sei colonne con differenti capitelli corinzi e da due semi colonne terminali. Al transetto, che risulta sopraelevato di tre gradini, si accede attraverso tre arcate che lo separano dalle tre navate.


L’altare maggiore è sormontato da un elegante ciborio decorato da una croce cosmatesca e sorretto da quattro pregevoli colonne. Per quanto riguarda la decorazione pittorica della Basilica nella parete destra del transetto sono rappresentate delle scene tratte dall’apocalisse di S. Giovanni oltre alla morte e ai funerali dell’abate Anastasio e di altri monaci. Nella parete sinistra del transetto è rappresentata una Madonna del 1448 di pregevole scuola pittorica.


Sotto il braccio destro del transetto si estende la Cripta con i suoi due ambienti: un primo coperto da una volta a botte collegato alla navata destra da una scala rettilinea contenente la tomba di San Nonnoso; il secondo ambiente, comunicante con il primo, risulta più ampio e si sviluppa sotto la parte centrale del transetto e dell’abside, in quest’ultimo è posta la tomba di San Anastasio.

Il Pontificio Santuario Maria SS.ma “Ad Rupes di Castel Sant’Elia, incastonato in un paesaggio mozzafiato, è luogo di amena contemplazione che favorisce la comunione con l’infinito. Sembra di ritrovarsi di colpo in un luogo lontano, fuori dal mondo, dove sparisce la paura, l’isolamento, la solitudine, l’ansia: si trova la comunione tra cielo e terra e allora si fa festa, perché si è ritrovata la vita.

È stato edificato attorno al cunicolo di 144 scalini, scavati a mano nel tufo dall’eremita Fra Giuseppe Andrea Rodio (1745-1818) alla fine del Settecento. Lo scavo della scalinata è costato 14 anni (dal 1782 al 1796) di duro lavoro manuale e, attraverso questa discesa si può raggiungere la grotta della Madonna, dove si venera l’immagine della Vergine, pregevole opera pittorica del XVI secolo.

La tela rappresenta una particolarità dell’iconografia cattolica. Infatti appartiene alle rare opere che rappresentano la madre adorante verso il figlio, che dorme sulle sue gambe.

 

Uscendo dalla Scala del Rodio si rimane colpiti dalla bellezza della Valle Suppentonia che è di carattere vulcanico e si snoda da Nepi (a destra) per diversi chilometri verso Civita Castellana. È larga 700 metri e profonda 200 metri. In fondo scorrono le acque del “Fosso della Massa” che, dietro il Monte Soratte (691 m.), sbocca nel Tevere.

In un ambiente adiacente alla grotta si conserva una raccolta di paramenti sacri del XII-XVI secolo tra cui un prezioso cofanetto in legno e lamina di metallo del Duecento.


La chiesa, scavata nel tufo (anch’essa a mano), ha la dignità di basilica minore. Attraverso un viottolo campestre (la “strada dei Santi”) si raggiunge il fondovalle, dove si trova la basilica di Sant’Elia di cui sopra.

 

Il Santuario è stato, per secoli meta di pellegrinaggio e visite papali, come quelle di Pio X (1912), Paolo VI (1964), Giovanni XXIII (1924 quando non era ancora Papa) e Giovanni Paolo II (1988).

L’accesso al Santuario avviene tramite un lungo viale alberato. Al termine di questo: la Basilica di San Giuseppe, l’accesso al Belvedere e la Scalinata di Fra Rodio.

A destra c’è un parco che si affaccia a picco sulla valle Suppentonia. Da qui la forra prosegue: vediamo il borgo di Castel Sant’Elia e, all’orizzonte, la cupola della Chiesa di San Tolomeo a Nepi.
Il Santuario risale ai primi secoli del cristianesimo quando con l’arrivo dei Figli di San Benedetto, nel VI secolo, nasce nella Valle il culto della Madonna. Con molta probabilità la Valle accolse i primi anacoreti che introdussero nell’Occidente la vita monastica. Molti di loro abbracciarono poi la regola di San Benedetto vivendo in alcune grotte scavate lungo la rupe (ancora esistenti).

S. Gregorio Magno scrisse: “L’abate S. Anastasio, notaio di S. Romana Chiesa, aveva preso l’abito di monaco. Ritiratosi in detto luogo, vi menò per molti anni una vita santa e fu diligente custode e superiore del Cenobio” (Dialoghi I, 7). “Questi santi uomini frequentavano con assiduità la Grotta (l’attuale Santuario) nella quale dominava una dolcissima Immagine della Vergine” (S. Pio X, Motu Proprio, 15.8.1912).

Nel 520 i monaci Benedettini costruirono sulle rovine del tempio dedicato a Diana il Cenobio e a loro subentrarono i Canonici di S. Spirito in Sassia di Roma per un breve tempo. Nei cinque secoli di abbandono che seguirono, la venerazione alla Madonna rimase viva tra le popolazioni locali.

Dal 1892 il Santuario venne affidato ai Frati Minori della Provincia di S. Croce in Sassonia. Con il loro instancabile lavoro guidato da Mons. Bernardo Doebbing (1855-1916) il Santuario si sviluppò assumendo l’aspetto odierno.

Nell’anno 1912 tutto il complesso del Santuario passò in possesso della Santa Sede e il Santuario fu elevato a titolo di Pontificio e di Basilica Minore. Nel gennaio 1982 subentrò all’Ordine dei Francescani una nuova Comunità religiosa: la Congregazione di S. Michele Arcangelo (Padri Micaeliti), fondata dal Beato P. Bronislao Markiewicz (1842- 1912), la quale è l’attuale custode del Santuario.

 


La risalita dal Belvedere

Alla sinistra della Scalina di Fra Rodio, c’è la strada alternativa per risalire dalla Grotta o meglio dalla Casa del Custode. Lungo la via si trovano piccoli orti, giardini e grotte.

Questo percorso -di circa 250 metri- è più lungo ma altrettanto affascinante, sale a gomito lungo il crinale, accompagnato dal panorama della profonda forra.

La strada è chiamata “Via Panoramica” (la Strada di S.S. Giovanni Paolo II) perché mostra ai visitatori tutta la bellezza della Valle Suppentonia.

Da qui il Monte Soratte si vede chiaro e nitido all’orizzonte.

 


La Basilica di San Giuseppe

Il numero sempre crescente di pellegrini fece sì che lo spazio limitato della Grotta Santa non fosse più sufficiente e si sentì la necessità di costruire una chiesa più ampia che consentisse un migliore svolgimento delle funzioni liturgiche.

Fu costruita così, tra il 1908 e il 1910, la Basilica di San Giuseppe, in stile gotico a navata unica.

La chiesa è la prima costruzione che si incontra alla fine del viale alberato.

L’edificio, in stile gotico a navata unica, è stato progettato dall’ingegnere Carlo Waldis.

Sul portone c’è un bassorilievo di San Giuseppe con Gesù Bambino. Ai lati due grandi statue: San Francesco D’Assisi e Sant’Antonio da Padova.

Il campanile del 1912 possiede tre campane, accordate alle note di “si, la, sol”, come quelle della Basilica di San Pietro a Roma. Le campane portano i nomi dei Santi: Bernardo, Francesco e Antonio.

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