Tre giorni su e giù per borghi e colline delle Langhe tra castelli e natura


Di recente sono stato in Piemonte –anche questa volta eravamo in sei (tre coppie di amici)– a visitare le colline e i borghi delle Langhe: sono luoghi incantevoli. Non c’ero mai stato e questo mi ha permesso di scoprire tutto con nuovi occhi, quelli di chi vuole vedere quante più cose possibili, scoprirne i dettagli e imparare qualcosa di nuovo. Questo è il post con le sensazioni e le informazioni del viaggio, suddiviso per motivi tecnici in due parti.

Le Langhe sono oggetto di letteratura e sfondo di moltissime storie: da Fenoglio a Pavese, il paesaggio passa dall’essere il freddo palcoscenico dove accadono le vicissitudini umane all’essere il coprotagonista, luogo di nostalgia e di sapore di infanzia.

Le colline morbide e la vegetazione aspra delle Langhe emergono sempre di più e divengono il territorio unicum che tutti conosciamo, oggetto di turismo e cultura, passione e attenzione. L’andar per Langa è difficile da descrivere a parole. Queste “colline” sono sensazioni, emozioni e sentimenti. Le distese di vigneti, i borghi medievali, i castelli arroccati donano un fascino del tutto particolare a questa terra, un luogo a metà tra presente e passato, tra storia e innovazione.

Le Langhe sono un territorio o sub-area geografica del basso Piemonte, situato tra le province di Cuneo e Asti costituito da un esteso sistema collinare, delimitato dal corso dei fiumi Tànaro, Belbo, Bòrmida di Millesimo e Bòrmida di Spigno e confinante con l’Astesana, il Monferrato (compreso il primo tratto della Bormida propriamente detta) e il Roero.

Segni particolari? Sono belle. Colline che si dipanano all’orizzonte come dolci seni di Madre Natura, un territorio che regala meravigliose suggestioni attraverso un patrimonio variegato e stimolante, proprio com’è l’universo femminile.

Scegliete ed esplorate la zona che più vi attira, l’elemento principale saranno sempre le colline.
La collina infatti è il tratto caratteristico delle Langhe, anche se assumono dei contorni diversi a seconda che si trovino sulla sponda destra o sinistra del fiume Tànaro.

Dalla sponda sinistra del Tànaro troveremo infatti il Roero, una paesaggio contraddistinto da suggestive rocche, con ripide pareti che aprono veri e propri squarci nel paesaggio. La sponda destra invece da inizio a colline lunghe, delle vere e proprie “creste di terra”. Gli agenti atmosferici nel corso dei millenni ne hanno eroso i fianchi, rendendole oggi dolci e morbide alla vista, creando un effetto unico, che ricorda il dolce susseguirsi delle onde del mare.

Un vero e proprio mare verde, punteggiato da filari ordinati dove spicca un altro l’elemento che ha reso celebri queste terre, il vino. Quello che contraddistingue una Langa dall’altra è soprattutto quello che vi viene prodotto. Possiamo ad esempio parlare della Langa del Barolo, un area piuttosto piccola e circoscritta dove chiaramente il vitigno nebbiolo fa da padrone, così come avremo la Langa del Barbaresco e quella del Dolcetto. Poi avremo la Langa dei formaggi (tume e robiole) e dei funghi, dove nascono gli ottimi porcini che rivaleggiano con l’altro grande protagonista del territorio, il tartufo.
Hanno come Capoluogo la città di Alba (CN).
Si suddividono in:
paesi delle Langhe a bassa quota: zona con quote genericamente inferiori ai 600 m; zona di vini e tartufo (rinomato il bianco di Alba).
paesi delle Langhe ad alta quota: zona con quote fino agli 896 m (Mombarcaro); dominano i boschi e la coltivazione della pregiata varietà di nocciole “tonda gentile delle Langhe“.
Langa Astigiana: zona nel sud della provincia di Asti, con un picco di 851 m nel comune di Seròle.

Le Langhe si trovano nella parte meridionale del Piemonte, a ridosso delle Alpi Marittime e dell’Appennino Ligure. Il nome, di origine celtica, significa “lingue di terra” e si riferisce alle colline allungate, spesso dai fianchi molto ripidi, disposte in modo da correre tra loro parallele a formare tante vallate profonde e strette.

Colline e vigneti che si alternano a castelli e borghi storici: questo è il paesaggio unico al mondo che si propone allo sguardo dei visitatori, tanto da essere stato inserito il 22 giugno 2014, durante la 38ª sessione del comitato UNESCO a Doha, assieme a Roero e Monferrato, nella lista dei beni del Patrimonio dell’Umanità.

Nel corso degli anni ’90 un rinnovato interesse per il mondo agreste ha portato alla ristrutturazione (spesso operata da cittadini non italiani) di cascine e castelli, riconvertiti in agriturismi, bed and breakfast e musei etnografici, nonché all’investimento in produzioni agricole d’eccellenza e all’interesse per il turismo. Tutto ciò ha tramutato le Langhe in una zona economicamente competitiva e benestante.

Le Langhe sono anzitutto un importante centro di viticoltura e vinificazione, dove spiccano numerose varietà di vino (in larga parte soggette a certificazioni DOC e DOCG), quali Barolo, Nebbiolo, Barbaresco, Dogliani, Dolcetto d’Alba, Barbera d’Alba, Pelaverga di Verduno.
Altrettanto celebre è il tartufo bianco di Alba, in onore del quale ogni anno vi si tiene una fiera internazionale.
Capillarmente diffusa è altresì la coltivazione della nocciola Tonda Gentile delle Langhe.
Numerosi sono anche i formaggi sottoposti a tutela DOP, primi fra tutti le Robiole di Roccaverano e di Murazzano.
La varietà sopra descritta ha favorito negli anni lo sviluppo del turismo enogastronomico.

Il profilo climatico è uno dei tre elementi che concorrono, insieme al suolo e alla mano dell’uomo, a determinare il risultato che possiamo apprezzare nel bicchiere.
L’areale langarolo è dominato da un clima temperato freddo subcontinentale con precise caratteristiche riscontrabili unicamente in questo territorio: l’effetto protettivo della catena alpina e dell’influenza di correnti miti e umide dal Mar Ligure infatti concorrono a determinare un contesto climatico unico in tutto il Piemonte.

La presenza di valli e colline a quote altimetriche diverse, così come le differenti esposizioni e ventosità, creano un’incredibile varietà di microclimi diversi. Di conseguenza si generano condizioni estremamente particolari che consentono all’uva di declinarsi in varie espressioni.

La zona del Dogliani è quella a clima più fresco, essendo maggiormente vicina alle Alpi, e connotata da strette e alte dorsali collinari rivolte verso la fredda pianura cuneese.
La zona del Barolo ha temperature intermedie, essendo posizionata in una particolare area protetta dai venti ma influenzata sia dalle correnti alpine che dalle risalite di aria calda e umida dalla valle del Tanaro. Le tre dorsali collinari che compongono la zona determinano una eterogeneità di paesaggi e, di conseguenza, microclimi.
La zona del Barbaresco è tendenzialmente più omogenea, con temperature più miti e precipitazioni meno abbondanti. Il paesaggio connotato da strette vallate genera una ventosità maggiore rispetto alle due zone precedenti.

 

Nelle Langhe il cibo è un culto. Proprio grazie ai suoi prodotti tipici tutta la zona è diventata meta di turismo enogastronomico. Descrivere in poche righe la vastità e la bontà che offre oggi la cucina langarola è riduttivo ma ci proviamo.

Partiamo dagli antipasti, forse uno dei punti di eccellenza della gastronomia di Langa, per quantità e qualità, per ricchezza di sapori e semplicità degli ingredienti. Ottimi i taglieri di salumi nostrani e affettati che vanno dal salame casalingo, alla pancetta, alla coppa, per arrivare al delizioso crudo di Cuneo.

Imperdibile la battuta di fassona, la carne cruda Piemontese, battuta al coltello o proposta in sottile fettine di carpaccio, che durante la stagione autunnale può essere accompagnata dalla classica grattata di tartufo, possibilmente Bianco e d’Alba.

Buonissimi anche i flan con la fonduta o i tomini con l’immancabile salsina verde.

Tra i primi c’è l’imbarazzo della scelta. I tajarin, tagliolini di pasta fresca all’uovo che vengono esaltati da sughi a base di funghi o carne, gli agnolotti del plin con burro e salvia, di taglia piccolissima e ripieni di carne brasata, cosi chiamati per via del tipico “pizzicotto” necessario per chiuderli.

Troviamo poi le crespelle ai funghi porcini e i classici risotti, spesso impreziositi perché cotti o fatti sfumare insieme al Nebbiolo, al Barolo, o al formaggio di Castelmagno.

E per finire gli ineguagliabili dolci, come la torta di nocciola, la panna cotta, il superbo Bonèt, il budino della nonna, a base di uova e amaretti.

Immancabili poi su ogni tavola il cestino di vimini con al suo interno croccanti fette di pane nostrano e sua maestà il grissino, specialità torinese.

Il tutto impreziosito da calici dagli ottimi vini di Langa, dal dolcetto, alla barbera, dal nebbiolo a sua maestà, il barolo. L’elenco è ancora lungo e non voglio togliervi il gusto della scoperta. Un pasto nelle Langhe lo si ricorda sempre con piacere, per la genuinità degli ingredienti, l’amore per la tradizione e la cura in ogni dettaglio.

1° giorno, lunedì 15 aprile 2024: Roma ore 7:50, partenza in treno per Torino arrivo ore 12:40 – Alba (31 mila ab. – 172 m s.l.m. – 6°-19°) – Diano d’Alba (3.570 ab. – 496 m s.l.m. – 6°-19°)

Noleggiare un’auto a Torino-Porta Nuova è il modo migliore per muoversi in Piemonte.

Proprio prima di fare rifornimento, la spiacevole sorpresa…il portello del tappo serbatoio non si apre. Dalla rete apprendiamo come fare: con il veicolo sbloccato, per aprire lo sportellino del bocchettone di rifornimento, premere in corrispondenza del centro del bordo posteriore dello sportellino stesso e rilasciare.

Il modo più veloce e semplice per raggiungere le Langhe è andarci in auto ma una volta in loco la parola d’ordine è rallentare. Sì, rallentare perché le Langhe devono essere assaporate lentamente. La frenesia bisogna lasciarla a casa.

Dopotutto se si vuole sorseggiare un buon bicchiere di vino, non lo si può bere di fretta.

Prendi le strade secondarie e poco battute che collegano i piccoli centri abitati. Perditi tra i dolci pendii delle colline e se impiegherai qualche minuto in più per andare da un posto all’altro probabilmente scoprirai anche qualcosa di nuovo.

Dopo circa un’ora e un quarto giungiamo a destinazione verso il nostro alloggio, il Cortile Suites, situato non lontano da Diano d’Alba.

Un bellissimo agriturismo circondato da bellissimi vigneti che offre ai suoi ospiti quattro splendidi appartamenti con vista sulle Langhe, davvero molto carino con quattro camere spaziose e arredate artisticamente.

Un luogo unico e meraviglioso. Ogni mattina, al risveglio, potrete godere di una vista unica sul Monviso, sui vigneti e sui castelli del Barolo.

La nostra prima tappa è Alba. Alba è una piccola città di origini romane, conta poco più di 30.000 abitanti ma nonostante le dimensioni ridotte è la città simbolo delle Langhe, patria della gastronomia piemontese. Sulla lunga e vivacissima via Vittorio Emanuele si susseguono graziosi negozi e importanti palazzi storici.

Qui tutti i sabati, si svolge il mercato settimanale con centinaia di bancarelle. Percorrendola in tutta la sua lunghezza raggiungerete Piazza Risorgimento, anche nota come Piazza Duomo, dal momento che c’è il Duomo. Sulla piazza trovate l’ufficio del turismo, che ho letteralmente saccheggiato in previsione di prossime visite in zona.

Alba è soprattutto famosa per il Tartufo. Ogni anno si tiene la fiera dedicata al celebre il tartufo bianco di Alba della durata di un mese. L’evento raduna tutti gli anni gli estimatori più importanti d’Italia e non solo, ed ha permesso ad Alba di diventare la Capitale Mondiale del Tartufo. Gli stand che prendono parte a questa importante manifestazione sono più o meno un centinaio, il cortile della Maddalena nel centro storico si trasforma in una sorta di salotto dove ammirare, annusare e acquistare i tartufi senza tralasciare tutti gli altri prodotti di qualità di queste zone, quali: salumi, vino, miele e formaggio.

La cattedrale di San Lorenzo è il principale luogo di culto cattolico di Alba e sorge nel centro storico di Alba, in piazza Risorgimento.

L’imponente edificio in stile gotico è caratterizzato da mattoncini rossi del paramento murario. Prospetta sulla piazza con l’alta facciata a salienti, suddivisa in tre sezioni da pilastri a pianta quadrata in corrispondenza delle tre navate interne. Nella parte inferiore, la facciata presenta il pronao, con arcate a sesto acuto. Mentre nelle due sezioni laterali si aprono due monofore gotiche gemelle, in quella centrale vi è l’ampio rosone circolare, del 1870.

La facciata è decorata da quattro bassorilievi raffiguranti i simboli dei quattro evangelisti (1878): da sinistra, nell’ordine tradizionale, l’angelo di Matteo, il leone di Marco, il bue di Luca e l’aquila di Giovanni, di Carlo Dusio; è interessante notare che le iniziali dei quattro simboli evangelici compongono in questa sequenza proprio il nome ALBA. Al disotto del rosone, invece, vi è una statua di San Lorenzo Martire (1878) dello scultore milanese Luigi Cocchio.

Alla sinistra dell’abside, vi è l’alta torre campanaria, risalente al XIII secolo e modificata nel 1477. In essa si aprono quattro ordini di finestre: dal basso, un ordine di monofore, due ordini bifore e un ordine di quadrifore (soltanto le due aperture centrali, però, sono aperte). La copertura è tramite una cuspide in mattoni a pianta ottagonale.

L’interno della chiesa è scandito in tre alte navate di quattro campate ciascuna, con profondo transetto in corrispondenza della quarta campata. Le navate, coperte con volte a crociera dipinte a cielo stellato (1870) da Carlo Costa, sono suddivise da arcate a sesto acuto poggianti su pilastri polistili bicromatici.

Ai lati dell’altare maggiore dell’abside, vi è il coro ligneo (1512) di Bernardino da Fossano che il vescovo Andrea Novelli gli aveva commissionato per rinnovare i decori interni del duomo. Il coro è un’opera di ebanisteria costituito da trentacinque scanni intarsiati, disposti a semicerchio su due file.

Al centro è presente lo stallo episcopale, sormontato dal baldacchino e fiancheggiato da vari stalli minori (17 per parte). Sui baldacchini e sui dossali di alcuni stalli minori scorre un motivo decorativo che rappresenta l’immagine di un castello. L’elegante voluta, che separa i sedili l’uno dall’altro, ha, invece, dei motivi vegetali che si sviluppano a partire dal posa braccio.
Nelle raffigurazioni si notano strumenti musicali, libri rilegati, oggetti di culto, il calice rovesciato, i simboli della Passione, coppe ricolme di frutta, paesi arroccati su colline.

La chiesa di S. Domenico, ubicata all’incrocio tra le attuali vie Calissano ed Accademia, è attestata ad iniziare dal 1292, con l’atto della donazione di Pietro de Braida per l’edificazione della sede cultuale dei Domenicani.

Di particolare interesse il portale della chiesa di San Domenico che presenta una notevole strombatura ottenuta dalla successione di colonnine in conci di arenaria e laterizio. Un arco ad ogiva sopra di esso delimita lo spazio della lunetta che porta la raffigurazione della Beata Vergine con il Bambino al cui fianco si trovano Santa Caterina da Siena, da un lato, e San Domenico dall’altro. La chiesa – sebbene sia ancora consacrata e vi venga, sporadicamente, celebrata messa – è spesso sede di mostre e concerti.

 

Lasciamo Alba e ci spostiamo verso Diano d’Alba.
Il territorio è ricco di vigneti di pregio ed è incluso nell’itinerario enogastronomico e turistico Strada del Barolo e dei Grandi Vini di Langa.
Diano d’Alba è Comune capofila dell’iniziativa di promozione territoriale “Langa del sole”.

Il Belvedere di Diano d’Alba è un luogo che incanta e rimane impresso nella memoria. Situato in una posizione privilegiata, offre una vista panoramica mozzafiato sulle colline delle Langhe, un vero spettacolo della natura che si estende a perdita d’occhio.

La bellezza del paesaggio è amplificata dalla presenza di vigneti ordinati che si snodano lungo le dolci colline, creando un mosaico di colori che cambiano con le stagioni.

Panorama meraviglioso sulle Langhe ed i castelli della provincia di Cuneo, fino ad arrivare alle Alpi dominate dal Monviso.

Visitare il Belvedere è un’esperienza sensoriale completa: il profumo dell’uva matura, il suono del vento che accarezza le foglie e la vista di un mare di vigne coltivate sono elementi che si combinano in un’armonia perfetta. È il luogo ideale per riflettere, rilassarsi e scattare fotografie indimenticabili.

La storia del borgo di Diano d’Alba, che si intreccia con quella del Belvedere, aggiunge un ulteriore strato di fascino. Sapere che si sta camminando in un luogo con radici così antiche e ricche di storie rende la visita ancora più suggestiva.

Il Belvedere di Diano d’Alba non è solo un punto di osservazione, ma una finestra aperta sulla storia, la cultura e la bellezza naturale del Piemonte.

Nell’area dell’attuale belvedere esisteva un castello di origine medievale, che fu fatto abbattere da Vittorio Amedeo I di Savoia dopo il Trattato di Cherasco del 1631.

La chiesa di San Giovanni Battista è la parrocchiale di Diano d’Alba. La facciata della chiesa, che volge a mezzogiorno, è in mattoni a faccia vista ed è anticipata da un ampio pronao voltato a vela e suddiviso da lesene in arenaria in cinque parti: le tre centrali, coronate da un frontone triangolare, si aprono attraverso arcate a tutto sesto sormontate da piccole finestre rettangolari incorniciate, mentre le due più esterne sono illuminate da finestroni architravati; il registro superiore, coronato da un’alta statua nel mezzo, è invece tripartito da quattro lesene e presenta delle specchiature.

Annesso alla parrocchiale è il campanile neobarocco, ornato da specchiature mistilinee e lesene angolari e caratterizzato da ampie monofore a tutto sesto all’altezza della cella; in sommità quattro pinnacoletti si ergono attorno al tamburo a base ottagonale, su cui si eleva la copertura sovrastata da una croce.

L’interno dell’edificio si compone di un’unica navata, suddivisa in tre campate chiuse superiormente da volte a vela e scandita da lesene corinzie binate d’ordine gigante, che delimitano le arcate delle cappelle voltate a botte.

Al termine dell’aula si apre il presbiterio, coperto da una volta a vela decorata con affreschi, sviluppato su una pianta quadrata e chiuso dall’abside, il cui catino è caratterizzato da costoloni e unghioni.

Posizionata fuori dai tragitti comuni ma sicuramente da cercare, andiamo ad ammirare la Panchina Gigante Rosso Rubino Dolcetto di Diano d’Alba di Chris Bangle.

Il Big Bench Community Project nasce nel 2009 proprio qui nelle Langhe, con l’obiettivo di unire la creatività del designer americano con le eccellenze piemontesi, promuovendo così il turismo ed il patrimonio del territorio.

Le Big Bench (panchine fuori scala) sono posizionate in luoghi panoramici e di particolare bellezza paesaggistica.

Si parcheggia lungo la strada, ci sono dei punti preposti , la panchina è in una proprietà privata, infatti si viene circondati da tre cagnolini che abbaiano ma non fanno nulla. Si sale lungo una breve salita sterrata ed ecco la Big Bench n. 65.

Posta sulla sommità di una collina con una splendida vista.

Si raggiunge con una breve passeggiata in salita lungo un sentiero tra le viti.

Un vero luogo di pace e relax. Bello il paesaggio sulle vigne e Diano d’Alba.

Arriva finalmente il momento tanto attesa della giornata…la cena!

Dopo diversi tentativi siamo riusciti finalmente ad ottenere un tavolo per lunedì in questo famoso e sempre pieno ristorante: Trattoria nelle vigne.
Locale molto luminoso e le suggestive ed ampie vetrate permettono di ammirare le colline.


Il menù fisso, con una selezione di 5 antipasti, un primo, un secondo e un dolce, ci ha permesso di assaporare una varietà di sapori autentici e deliziosi. Ogni piatto era preparato con maestria (uno per tutti ravioli al plin). La lista dei vini locale ha completato perfettamente l’esperienza culinaria, offrendo una vasta scelta di eccellenti vini regionali.

2° giorno, martedì 16 aprile 2024: Cortile Suites – Grinzane Cavour (1.980 ab. – 195 m s.l.m. – 6°-19°) – Verduno (565 ab. – 381 m s.l.m. – 6°-19°) – Pollenzo (793 ab. – 290 m s.l.m. – 6°-20°) – La Morra (2.694 ab. – 513 m s.l.m. – 6°-19°) – Serralunga d’Alba (507 ab. – 414 m s.l.m. – 6°-20°)

Ci siamo svegliati presto e abbiamo ammirato ancora il bel paesaggio, abbiamo fatto una colazione abbondante in compagnia dei proprietari del b&b, ancora un po’ di chiacchere e siamo partiti direzione Grinzane Cavour.

Il paese, adagiato ai piedi del castello, è un insieme di case ottocentesche con la piccola chiesa parrocchiale dedicata a Maria Vergine del Carmine che si trova all’inizio della salita per raggiungere il Castello, molto semplice esternamente, una bella sorpresa all’interno.

Venne eretta nella prima metà del XVII secolo e ampliata alla fine del 1800. Presenta facciata in cotto, articolata su tre ordini, scandita da quattro lesene, decorata con lunetta e sormontata da timpano, tutta in stile neoclassico; di fianco il Campanile, con cella campanaria in mattoni a vista, inglobato tra la Chiesa e la canonica.

All’interno navata unica con soffitto a botte, con cupola, affrescato e tre Altari: due laterali, dedicati a Santa Lucia e San Bovo e l’Altare maggiore posto nell’Abside semicircolare davanti al coro ligneo.

Il nome del paese è legato allo statista piemontese Camillo Benso conte di Cavour che in questo castello soggiornò per 17 anni, anche se soltanto saltuariamente, e fu sindaco del paese fino al 1849.

Proprietario di molti fondi agricoli (possedeva numerose cascine attorno al castello), il conte Camillo sperimentò nuove tecnologie in cantina per cui, insieme alla marchesa Vitturnia Colbert Falletti che all’epoca dimorava nel castello di Barolo, dirimpetto a Grinzane, può essere considerato uno dei padri del vino Barolo.

La sua felice posizione tra le colline, che regala uno splendido panorama sui vigneti circostanti, abbinata all’interesse enogastronomico che suscita, fanno di questo borgo una meta in crescente sviluppo turistico.

Il paese è dominato dall’imponente castello medievale, sede dell’enoteca regionale e già centro della tenuta agricola di proprietà della famiglia Cavour.

Il castello fa parte del “paesaggio vitivinicolo del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato“, dal 2014 patrimonio dell’umanità UNESCO.

 

Ripartiamo, e abbiamo l’imbarazzo della scelta, ogni borgo è una bella scoperta, ognuno con il proprio castello panoramico: visitiamo Verduno.

Nella zona ci sono diversi belvedere, e Verduno, paesino delizioso, merita di essere apprezzato per la vista impagabile che offre.

Spiazzo ben tenuto aperto al pubblico con panchine dove riposarsi all’ombra degli alberi.

Sul lato esterno c’è un balcone semicircolare dove si ammira il panorama delle Langhe con l’indicazione dei vari paesi che si possono vedere.

Lasciamo Verduno e ci dirigiamo verso il paese più antico del Piemonte: Pollenzo.
Pollentia, città omonima a quella che verrà fondata più tardi in Spagna, è menzionata già da Plinio il Vecchio. Secondo alcuni fonti, la sua fondazione risale al 170 a.C., rendendola una delle colonie più antiche della regione.

Durante i primi secoli la città era identificata come oppidum, ovvero centro fortificato per resistere alle invasioni di altri popoli.

La sua posizione fu sempre centrale nei secoli, basti pensare che nel 402 d.C. la città fu il teatro, per l’appunto, della Battaglia di Pollenzo contro i Visigoti. Col passare del tempo la città si spopolò e gli abitanti si trasferirono gradualmente a Bra, che ancora oggi è il capoluogo a cui la frazione fa capo.

La storia di Pollenzo si intreccia ancora una volta alla storia del Piemonte nella seconda metà dell’800, quando Carlo Alberto di Savoia diede nuovo lustro alla cittadina.

Oggi qui ha sede anche l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, attirando studenti da tutta Italia.

Tra le cose da non perdere a Pollenzo: dal parcheggio principale sito in Piazza Edoardo Mosca ci immettiamo in Via Amedeo di Savoia, percorrendola fino alla Piazza Vittorio Emanuele II, il fulcro della nostra visita.

Qui la prospettiva cambia totalmente e ci ritrova catapultati in un’atmosfera d’altri tempi dove il rosso del mattone è il protagonista indiscusso.

Tutte le strutture principali, in stile neogotico si affacciano sulla Piazza, come se dovessero proteggersi da ciò che si estende all’esterno.

Posta alla nostra sinistra, l’antica Pieve di San Vittore è una delle prime strutture che spicca quando raggiungiamo la Piazza. La Chiesa è un esempio di architettura neogotica con interni di pregio, luogo perfetto per iniziare la visita al borgo.

Risale al V secolo ma viene totalmente demolita nel 1846 a seguito della trasformazione del borgo voluta da Carlo Alberto di Savoia.

È realizzata in mattoni rossi in stile neogotico e presenta una pianta a tre navate con volte a crociera.
Sulla facciata frontale si trova il portale e sopra di esso una loggia con archi trilobati; a completare il tutto una serie di statue che spiccano tra le guglie e le altre decorazioni, mentre a sinistra e sulla parte posteriore si innalza il Campanile a base quadrata.
Gli interni sono anch’essi scenografici come l’esterno.

Le volte sono a crociera con copertura in coppo piemontese mentre i pavimenti del presbiterio sono originali in marmo e quelli delle navate di inizio ‘900.

I banchi e i confessionali sono di ebano intarsiato mentre tra i dipinti si trova la rappresentazione del martirio di San Vittore, opera di Bellosio.

Il coro ligneo che si può ammirare proviene dall’Abbazia di Staffarda su volere del Re Carlo Alberto.
La visita continua alla volta del Castello di Pollenzo, antica residenza sabauda che venne ristrutturata nel 1800 secondo il gusto neogotico. Ha gli interni riccamente decorati e ornati. Il Castello di Pollenzo è stato proprietà dei discendenti di Casa Savoia prima di essere venduto, nel 1972, ad una famiglia di industriali, restando pertanto privato e attualmente non aperto al pubblico.

Per concludere, poi, c’è l’Agenzia di Pollenzo, ovvero un’antica azienda agricola. Oggi sede dell’università, ospita anche la Banca del Vino. Qui, è possibile degustare una selezione dei migliori vini italiani e internazionali, conservati nelle antiche cantine.

Cantine di vino c’è ne sono a bizzeffe ma un’idea così geniale e soprattutto iniziata dal generale ed enologo italiano Paolo Francesco Staglieno è una cosa che mi ha lasciato a bocca aperta.

Nella Banca del Vino vi è all’inizio una piccola esposizione di prodotti tipici del Piemonte (nocciole, salse, paste, ecc…) e poi varie esposizioni di bottiglie del vino.

All’inizio siamo entrati senza chiedere ma poi con l’aiuto di una gentilissima Signorina abbiamo ricominciato da capo il giro nelle lunghissime cantine dove viene conservato il vino di produttori del Piemonte e di tutta Italia.

Il giro nelle cantine con un calice a testa in mano e una tessera con credito inserito… Abbiamo letto tutte le cartine indicanti le origini del vino, i tipi di bottiglie, le frasi di Staglieno del 1837.

Situati in vari punti delle cantine vi erano dei distributori di vino che con la carta prepagata potevamo scegliere di assaggiare. In base al tipo di vino e valore il costo del calice variava (da 2 euro a 6 euro).

Come ulteriore notizia, sopra le scatole contenenti le bottiglie di vino c’erano dei barattoli contenenti il terreno del vitigno e la storia dei coltivatori. L’idea è semplice e magnifica: un produttore consegna alla Banca del Vino 48 bottiglie del suo vino, 12 bottiglie vengono esposte, 12 bottiglie vengono vendute e 24 bottiglie rimarranno per sempre nelle cantine per poter essere viste e curate come si fa con i gioielli.

Ci sono anche dei bellissimi resti romanici visibili attraverso la pavimentazione in vetro.
I vitigni più importanti
Il Nebbiolo è il più antico vitigno autoctono a bacca nera del Piemonte, uno tra i più nobili e preziosi d’Italia. Il suo nome deriva da “nebbia”, perché matura ad autunno inoltrato: ha tralci lunghi, con legno color cannella piuttosto carico e germoglia precocemente. Ha bisogno di cure attente e laboriose, per questo motivo la sua coltivazione ha vissuto periodi di splendore e di offuscamento, ma non è mai stata abbandonata dai viticoltori locali, consapevoli del pregio altissimo dei vini che se ne ricavano. Produce grappoli ricchissimi di zuccheri i quali danno, secondo le zone, Barolo, Barbaresco, Nebbiolo d’Alba e Roero. I vini ricavati sono forti e potenti, molto ricchi di alcol che spesso esprimono al meglio le loro caratteristiche in seguito a un lento invecchiamento.
Il Dolcetto, presenta foglie piccole con le nervature sfumate in rosso vicino all’attaccatura del picciolo. Il grappolo è di maturazione precoce e viene consumato anche come uva da tavola.
Il Barbera è un vitigno molto diffuso. Presenta un grappolo compatto e i suoi acini assumono, a volte, forme irregolari e lievemente ellissoidi.
Il Rossese bianco è un vitigno autoctono risalente al XVII sec. il cui nome si presume derivi dall’area di massima espansione dell’epoca, ovvero Monterosso, località delle Cinque Terre.
La Nascetta è l’unico vitigno a bacca bianca autoctono delle Langhe.
Ci sono due DOC: Langhe DOC Nascetta e, per la sottozona, Langhe DOC Nascetta di Novello. Grazie alle sue caratteristiche è destinata a diventare il grande bianco di Langa.
Il Verduno Pelaverga è una delle più piccole D.O.C. d’Italia con caratteristici sentori fruttati e dalle intense note speziate che gli conferiscono un’ottima bevibilità.

A seguire andiamo a La Morra. La Morra no, non quella cinese, bensì quella piemontese: scopriamo tutti i suoi segreti.
Situato a 513 metri di altezza, questo piccolo paese -il più alto delle Langhe- domina un irto colle ricoperto dagli eccezionali vitigni di Nebbiolo, dalle cui uve nasce il pregiatissimo Barolo; anche detto l’”Oro Rosso”, questo vino in pochi anni ha reso una zona agricola povera in uno dei luoghi più desiderati dagli amanti del vino.

Ma ai più golosi chiedo di immaginare di abbinare il vino alle prelibate ricette tipiche, tra cui le eccezionali carni di fassona piemontese o alcuni dolci della zona a base di nocciole trilobate, come ad esempio i Lamorresi, praline di cioccolato che all’interno racchiudono un impasto di nocciole e Barolo. Ma attenzione a riconoscere un vero Barolo.
Ecco le caratteristiche fondamentali che deve avere:
• deve essere invecchiato almeno 38 mesi, di cui 18 in botti di legno;
• il colore deve essere rosso granato con un fondo aranciato;
• al gusto deve presentare note fruttate e floreali di vaniglia e viola;
• il sapore deve risultare asciutto, vellutato e pieno.

Il paese ha mantenuto il suo impianto medievale, costituito da un insieme di viuzze e vicoletti ciottolati, che lo rendono veramente una località pittoresca e ricca di fascino. Ad ogni angolo si scorgono scorci molto suggestivi, che rimandano ad un tempo passato non intaccato dalla modernità. A pochi passi dalla piazza principale, si incontra l’edificio più interessante a livello architettonico: la Parrocchiale di San Martino. L’imponente edificio barocco, dalle linee semplici e delicate, fu costruito alla fine del ‘600 su disegno di Michelangelo Garove, famoso architetto che lavorò al servizio dei Savoia. All’interno, pregevole è la pala dell’altare maggiore rappresentante la Madonna con Bambino ed i santi Martino e Crispino (Giancarlo Aliberti, 1715).

La Morra, nella zona di produzione tipica del vino Barolo, è situato a 13 chilometri da Alba e comprende le frazioni Annunziata, Berri, Rivalta e Santa Maria.

Sulla piazza centrale del paese si affacciano la barocca chiesa di San Martino e la Confraternita di San Rocco; in un angolo un piccolo giardino triangolare cresce sulla terra dell’antico cimitero, di fronte il Municipio e l’antica casa del corpo di guardia.

A due passi, nella Cantina Comunale, si possono degustare e acquistare i vini di La Morra. Più in alto, in piazza Castello, è possibile godere di uno dei punti di vista più spettacolari su tutte le Langhe.

Infatti, si può ammirare dal Belvedere lo splendido panorama delle Langhe e della Valle Tanaro con i suoi eccezionali colori, e se si è fortunati anche le Alpi innevate.

Sempre nella stessa piazza si può visitare la Torre Campanaria settecentesca, simbolo del paese e ottimo punto per godere ancora meglio del panorama langarolo.

Poco fuori La Morra, precisamente a Borgata Fontanazza, per gli amanti dell’arte contemporanea è d’obbligo una visita alla Cappella del Barolo, cappelletta di campagna sita tra i vigneti del Barolo, che, per volere della famiglia Ceretto nel 1999, venne reinterpretata in chiave contemporanea dagli artisti David Tremlett e Sol LeWitt, facendola diventare una delle attrazioni più apprezzate dai turisti.

Bella, colorata, si può arrivare da due strade diverse, noi abbiamo optato per quella che scendeva da La Morra, per arrivarci in macchina solo nei giorni feriali, nel week end solo a piedi (a causa di un cantiere proprio davanti alla cappella).

Precedentemente nota come Cappella di Santissima Madonna delle Grazie e chiamata anche Cappella delle Brunate, in realtà non è stata mai consacrata ed è chiusa al pubblico, è possibile vedere l’interno dalla finestrella.

Prima di lasciare definitivamente la Morra ci dirigiamo verso un punto panoramico d’eccellenza, il colle Monfalleto, su cui svetta maestoso un Cedro del Libano vecchio quasi 160 anni.

Il contesto naturale in cui è inserito è, come dicono gli inglesi “breathtaking” ovvero “da togliere il fiato”: un belvedere con vista sui vitigni di nebbiolo e sui paesi di Langhe e Roero.

La storia del Cedro inizia nel 1856 quando due giovani, Costanzo Falletti di Rodello ed Eulalia Della Chiesa di Cervignasco (avi della famiglia Cordero di Montezemolo che oggi gestisce l’azienda), piantarono l’albero in ricordo delle loro nozze suggellando così due amori: quello reciproco degli sposi e quello della loro famiglia per queste terre.

Trattandosi di una pianta molto longeva, il Cedro appare dopo più di un secolo e mezzo ancora robusto ed in salute. Da qualche tempo, la breve strada sterrata che conduce alla sommità del colle è stata sbarrata ed il Cedro protetto da una bassa rete che ne impedisce l’accesso diretto.

Nonostante queste restrizioni, vale la pena farvi una tappa per ammirarne la maestosità e l’imponenza.

Nel pomeriggio decidiamo di visitare una cantina davvero particolare, facile capire perché una volta che vedrete qualche foto…sto parlando della cantina “Astemia Pentita” di Barolo. Una cantina pop voluta dall’imprenditrice Sandra Vezza.

La cantina è in mezzo ai vigneti, la scala che conduce alla cantina ti fa sentire parte del territorio e vista dall’esterno pare essere costituita da due casse di vino sovrapposte.

Una volta entrati noterete che i soffitti della cantina creano nel visitatore l’illusione di essere realmente all’interno di una cassa di vino.

Di seguito abbiamo fatto sosta in un altro piccolo borgo: Serralunga d’Alba.
Centro delle Langhe albesi, situato su un colle nell’alta valle del torrente Talloria. In posizione dominante è l’elegante castello Falletti di Barolo, uno dei maggiori esempi di architettura castellana piemontese di collina.

Il castello, con la sua bellissima sagoma protesa verso l’alto, domina il borgo di Serralunga che si allarga i suoi piedi, con una ragnatela di stradine disposte a raggiera.

Il luogo è molto antico ed ha quasi mille anni di vita, quando all’inizio del secondo millennio su questo colle venne costruita la torre quadrata, a difesa e a simbolo di possesso.

Verso la metà del XIV secolo sorse il castello odierno, restaurato nel 1950 per volere del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi.

Il paese è circondato da celebri vigneti a nebbiolo da Barolo, mentre nelle sue cantine si affina il “re dei vini” per la gioia dei grandi intenditori di tutto il mondo.

Dopo siamo passati accanto alla tenuta di Fontanafredda con una storia che risale al tempo dei Savoia e del Re.

Infatti dalla originaria proprietà di Giacomo Roggeri a Serralunga d’Alba, la tenuta, una superficie di circa 54 ettari, venne iscritta nel patrimonio privato di Vittorio Emanuele II, Re di Sardegna nel 1858.

Il sovrano, innamoratosi perdutamente di Rosa Vercellana, detta “la Bela Rusin”, popolana e figlia di un tamburo maggiore di sua maestà, gliene fece dono e la insignì l’anno successivo del titolo di Contessa di Mirafiore e Fontanafredda.

La storia di Fontanafredda inizia allora, ma l’attività commerciale comincia solo vent’anni dopo, nel 1878, grazie alla passione e alla lungimiranza di Emanuele Guerrieri Conte di Mirafiore, figlio del re e della Bela Rusin, nobile figura di imprenditore che si dedica al vino con un approccio assolutamente moderno.

Successivamente siamo riusciti a prenotare un tour degustazione presso una delle cantine più famose di Castiglione Falletto, la Cantina Terre del Barolo, nata nel 1958 tra le vigne che danno origine ad uno dei vini più blasonati del mondo, il Barolo.

Una casa dei contadini, perché tali sono rimasti i trecento soci che compongono quella famiglia; ogni socio vive la terra, la coltiva e la nutre, ogni casata con la sua cultura, la sua storia e le sue abitudini.

Costo 15 euro. Davvero tutto organizzato molto bene, il giro in cantina con l’enologa che ci appassiona con il suo entusiasmo nel raccontarci i vini, vitigni, zone vocate, le peculiarità di queste splendide terre, l’albero dell’amore.

Poi ci propone una degustazione di tre ottimi vini della propria cantina; un dolcetto e due barolo (2013 e 2014 superiore) accompagnati da grissini.

Subito dopo allegri e spensierati siamo ritornati al nostro agriturismo, per la cena abbiamo prenotato, dopo aver letto molte recensioni entusiasmanti, all’Osteria il Cortile adiacente al Cortile Suites.

Un agriturismo tra le colline vitate è lo scenario ideale per assaporare l’autentica cucina di Langa. Il territorio circostante ispira i piatti e fornisce le materie prime più fresche e genuine; la carta dei vini esaustiva con il costo commisurato (dai 18€ in su) e il servizio premuroso realizzano la quadratura del cerchio.

Menù degustazione da 6 portate a 35 euro. Primi come i Ravioli al plin al sugo dei tre arrosti o i Tajarin al ragù di salsiccia di Bra, Guancia o bocconcini di fassona al Barolo con le patate, Coniglio in umido con peperoni, Arrosto di Maiale al Latte. Dolci fatti in casa, come una deliziosa torta di nocciole. Per partire, un mix di antipasti come vuole tradizione: battuta di vitello al coltello con scaglie di grana, flan di zucca con bagna cauda leggera e Vitello Tonnato.

3° giorno, mercoledì 17 aprile 2024: Cortile Suites – Pian del Re (2.020 m s.l.m.) e la sorgente del Po – Saluzzo (17.575 ab. – 395 m s.l.m. – 7°-19°) – Barolo (621 ab. – 213 m s.l.m. – 7°-19°)

È molto emozionante trovarsi a Pian del Re (a Crissolo in provincia di Cuneo, sulle pendici del Monviso) dove si trova la sorgente da cui nasce il Dio Po, il fiume più lungo d’Italia, infatti, sgorga da una roccia che, convenzionalmente, viene considerata la sorgente del Po, con tanto di cartello a segnalarla.

Pian del Re località famosa in particolare per la sorgente del Po è, però, anche una meta ideale per chi vuole fare trekking lungo i sentieri che portano ad ammirare il Monviso, oppure, semplicemente, rilassarsi ai rifugi o fare un pic-nic.

La bellezza di questo luogo, circondato dalle montagne, con il gorgoglio delle acque e i fischi delle marmotte in sottofondo, è unica e, per questo, vale la pena inserirlo tra le cose da vedere in Piemonte. Quindi… abbiamo pensato di pianificare questa gita.

Iniziamo subito col dire che il Pian del Re è una meta in montagna in Piemonte raggiungibile in auto ma situata in quota. Questo pianoro si trova, infatti, a 2020 metri sul livello del mare che, in particolare quando fanno capolino quelle nubi tanto comuni da queste parti, si sentono tutti. Questo significa che il primo consiglio per una gita è quello di vestirsi in modo adeguato (portandosi una felpa e indossando scarpe chiuse) anche nel bel mezzo dell’estate.

Precisato questo cosa c’è da fare al Pian del Re? In verità le alternative sono tante e adatte a tutti: c’è chi ci arriva solo per prendere un po’ di fresco e chi per abbronzarsi, ci son quelli che vogliono andare a bere l’acqua del Po e quelli che, invece, puntano a un sostanzioso pasto ai rifugi, infine ci sono coloro che desiderano rilassarsi con una passeggiata semplice in mezzo alla natura.


Da Pian della Regina salita fino a Pian del Re

Il Pian della Regina (o Pian Melzé) è il primo pianoro che si incontra provenendo da Crissolo: situato a 1780 metri di quota e collegato al Pian del Re da un bel sentiero.

Pian Melzé (in occitano melzé significa larice) è ormai più noto come Pian della Regina: quando nel XVI secolo fu dato il nome al Pian del Re, venne contestualmente coniato il toponimo Pian della Regina per non far torto alla regina consorte Claudia di Valois-Orléans.

La maggior parte degli escursionisti che percorre il sentiero da Pian della Regina a Pian del Re lo fa partendo da valle. In questo caso il percorso dura circa 1 ora ed è in salita costante ma mai eccessivamente faticoso e con alcuni nevai e rigoli d’acqua sul percorso.

Da Pian della Regina, nei pressi dell’ampio piazzale utilizzato come posteggio, si imbocca la strada sterrata che scende in direzione sud-ovest a fianco di alcune case.
In fondo alla breve discesa si trascura la diramazione di sinistra che contorna da valle la borgata (diretta al Ponte Riondino e Crissolo), e ci si tiene sulla strada sterrata che, pianeggiante, volge a destra (ovest).

Si prosegue nell’ampio pianoro di Pian della Regina e si supera, sempre sulla sinistra, un’ulteriore diramazione sterrata (ponte sul Fiume Po) per il Monte Granè e il Lago Chiaretto.


Attraversamento ruscello…capita l’imprevisto, piedi in acqua fredda…ma tutto si asciuga prima di arrivare alla meta.

La strada, più piccola e malagevole, inizia a salire gradatamente e passa a fianco di una chiesetta e della adiacente Casa Alpina Pian della Regina. Poco oltre la pista sterrata termina: si guada il torrente che scende dal Cumbal del Rio e si continua su un comodo sentiero che si tiene a mezzacosta. Giunti ad un bivio all’imbocco della piana pascoliva di Pian Fiorenza, si prende il ramo di destra, più diretto e meno tortuoso.

La salita si fa ora più decisa: il sentiero prima traversa sulle estreme propaggini meridionali del Truc Battaglie poi s’innalza con due ampi tornanti. Superato un breve tratto in frana, si riprende il traverso in diagonale e si riceve da sinistra il sentiero, trascurato in precedenza, proveniente da Pian Fiorenza.

Con le ultime svolte si rimonta il pendio inerbito a fianco di due cascatelle, si lascia a sinistra il sentiero per la vicinissima Cappella della Beata Vergine delle Nevi, in posizione dominante sul vallone appena risalito, e si sbuca infine sulla strada asfaltata all’imbocco di Pian del Re.

Pian del Re assunse questa denominazione dopo che, nella guerra di successione spagnola del 1700-1714, il Re di Francia vi sostò. Fonti più datate, riportano che il nome toponimo tragga origine dal fatto che qui, all’epoca di Francesco I di Francia, sorsero gli accampamenti dell’esercito francese impegnato nell’invasione del ducato di Savoia. Questa fonte concorda peraltro con quanto sopra riportato in merito al toponimo di Pian della Regina.

Come molti pianori alpini, anche Pian del Re deve la sua formazione all’azione di modellamento dei ghiacciai. La conca prima scavata e poi abbandonata dai ghiacci è stata inizialmente invasa dalle acque di scioglimento a formare un bacino lacustre. In seguito, l’apporto di detriti e sedimenti ha progressivamente interrato il bacino dando luogo all’attuale “torbiera”, ecosistema assai ricco di specie vegetali tipiche delle zone umide.

Sull’ampio pianoro si trovano un rifugio-albergo ed alcuni edifici ex militari.

Ridiscesi da Pian del Re a Pian della Regina e ripresa la macchina ci siamo diretti verso l’attraente cittadina di Saluzzo.
«V’è un sol Monviso sulla terra, un solo gruppo di monti come quello, un solo Pian che s’agguagli di Saluzzo al piano.»
(Silvio Pellico).

Saluzzo abbraccia un vasto territorio, dando l’ingresso alla Valle Po in provincia di Cuneo, la valle che porta al Monviso e alle sorgenti del fiume Po.


Dal punto di vista storico e culturale, Saluzzo rappresenta un tipico esempio di architettura medievale piemontese conservando, stretta nel circuito delle antiche mura, le caratteristiche di diverse epoche.

Capitale per ben quattro secoli di un marchesato indipendente, le numerose testimonianze del suo nobile e ricco passato ne confermano il ruolo di città d’arte.

Oltre che ad alcuni nobili marchesi, Saluzzo ha dato il natale a molte personalità, tra le quali lo scrittore Silvio Pellico e il tipografo Giovanni Battista Bodoni, e in tempi più recenti, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, ucciso dalla mafia nel 1982.


La cattedrale di Saluzzo, altresì nota come Duomo, dedicato a Maria Vergine Assunta, si distingue per le sue forme tardo-gotiche; costruito fuori dalle mura appena oltre Porta Santa Maria tra il 1491 ed il 1501, fu sede vescovile a partire dal 1511.


Chiesa di San Bernardo: chiesa nata tra il 1310 ed il 1320 come semplice cappella entro la prima cerchia di mura della città, che divenne parrocchiale nel 1554.

La Chiesa detta “della Croce Nera” venne edificata nel 1761 sul sito dell’antico oratorio della Compagnia di Misericordia, istituita a Saluzzo nel 1583 con formale legittimazione papale. L’origine del nome (Croce, Crociata Nera o dei Battuti Neri) deriva dal fatto che gli adepti della Confraternita della Misericordia, comunemente vestiti con un abito di tela nera e cappuccio, durante le processioni erano soliti esercitare la pratica della “disciplina”, cioè una forma di autoflagellazione pubblica con accompagnamento di laudi.


La chiesa è dedicata a San Giovanni Battista Decollato, dal momento che i confratelli erano dediti all’assistenza dei carcerati e dei condannati a morte.

La facciata è in cotto, con doppio ordine di colonne; ai lati delle volute sono poste le statue della Vergine, a sinistra, e di San Giovanni Nepomuceno a destra, mentre in alto un agnello accovacciato in terracotta simboleggia il sacrificio. Insieme al sagrato sopraelevato la facciata costituisce una quinta architettonica di suggestivo effetto.

Ci spostiamo poi a Barolo, uno dei borghi più suggestivi e meglio conservati di tutte le Langhe. Il nome non ha bisogno certo di presentazioni.

Prima di arrivare nel borgo si percorre una strada circondata dalle vigne e da cantine famose in tutto il mondo.

Passeggiamo fra le sue strette vie per giungere al Castello, che ospita il WiMU (Museo del vino) ma che decidiamo di non visitare durante questa giornata.

Accanto al Castello c’è il curioso museo dei cavatappi, vale la pena una visita. Ma Barolo è famoso soprattutto per il vino che qui (ma non solo) viene prodotto.

Tra il silenzio dei filari e l’esuberanza dei castelli, si scollina tra quei borghi che videro la nascita del vino più blasonato d’Italia, il Barolo, da sempre soprannominato “Il Re dei Vini e il Vino dei Re”, e oggi ricercato da esperti e appassionati di tutto il mondo.

Si chiuderà in bellezza, e bontà, con un momento gastronomico esclusivo sempre all’Osteria il Cortile adiacente al Cortile Suites.

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