Viaggio tra cielo e spiritualità in India, Nepal e Tibet
Come molti viaggiatori ho visto più di quanto ricordi e ricordo più di quanto ho visto. Per quale motivo una vacanza proprio lì, in quei remoti postacci? Come mai quel tipo di viaggio? Sono alcune delle domande che spesso mi si rivolgono, da un paio d’anni circa, quando si decide una meta o si propone un certo tipo di viaggio. A quelle domande non ho risposte. Forse sono proprio quelle domande che spingono a farlo, che stuzzicano la curiosità e la voglia di mettersi alla prova. Proiettarsi in una dimensione ben diversa da quella che la quotidianità ci presenta, giorno per giorno. Ben lontana da quella dimensione del tempo passato ad aspettare la metro, o trascorso sui nostri tablet e smartphone con la testa chinata mentre il resto delle cose ci passa davanti. Sant’Agostino scriveva: “il mondo è un libro e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina” ed io voglio leggerlo, sfogliare le pagine e annotare appunti sulle pagine della mia vita e della mia esperienza, del mio modo di guardare il mondo e le cose. Il miglior modo per cominciare ad osservare con occhi sempre diversi luoghi e persone, per andare oltre i pregiudizi (cliccami qui).
Viaggiare significa predisporsi alla scoperta di qualcosa di nuovo, sconosciuto e ogni viaggiatore vive esperienze soggettive molto diverse. L’India è senza dubbio uno dei paesi più interessanti del mondo; tutto ciò che le fantasie più stravaganti hanno potuto raccontare di terribile e curioso, là trovano tuttora, il loro corrispondente reale. Intanto perché l’India è il settimo paese per estensione geografica al mondo, grande dieci volte l’Italia e abitato da un miliardo e 175 milioni di persone. Un continente a sé stante, che racchiude enormi possibilità e contraddizioni: dalle metropoli brulicanti di vita e di persone diverse per lingua, costumi, religione, agli immensi spazi naturali, fino ai tesori d’arte ineguagliabili.
Questo breve ma intenso viaggio ci porta a scoprire le vestigia del glorioso passato dell’India che ha caratterizzato tutto il secondo millennio, testimonianza di una straordinaria fioritura artistica e culturale. Tra il 600 e il 700 gli imperatori Moghul costruirono palazzi sontuosi e mausolei imponenti, castelli e fortezze, creando il profilo urbanistico delle città di Jaipur, Delhi, Agra e dintorni. Oggi l’India è terra di tante contraddizioni: l’economia migliora tangibilmente in molti comparti e zone geografiche, con tassi di sviluppo paragonabili solo alla Cina, ancora più grande e più spietata. Un viaggio da fare con cuore e bagaglio leggero, con tanta voglia di conoscere l’India della moltitudine, della congestione, dello strepito, della polvere e della policroma, complessa sua umanità dove si ergono capolavori di bellezza architettonica come il Taj Mahal ad Agra, apoteosi di bianco splendore, la rosea città abbandonata di Fatepur Sikri, il Palazzo dei Venti di Jaipur, e la maestosa fortezza di Amber che raggiungeremo a dorso di elefante.
L’impatto con la realtà dell’India è stato scioccante sia per quanto riguarda il traffico caotico (cliccare qui) sia per quanto riguarda la situazione delle strade e delle condizioni di vita degli abitanti. Si è viaggiato con un pulmino con nove posti e con un bagagliaio utile per le nostre otto valigie.
L’induismo non ha un fondatore o un profeta come le altre religioni. L’induismo è un modo di vivere o meglio ancora una filosofia di vita. Il fulcro del pensiero induista è basato sul concetto di “karma” e “dharma“. Il Karma indica il susseguirsi delle azioni in vita che, se saranno buone, incarnazione dopo incarnazione condurranno al congiungimento con l’Essere Supremo. Il Dharma indica il dovere, la virtù; le leggi che regolano la società, le caste, i rapporti di ogni individuo con gli altri.
La religione induista possiede un’iconografia religiosa molto vasta, rappresentata da una serie di dei adorati dai fedeli. Gli dei, i cui nomi si incontrano più frequentemente visitando i templi e le sculture religiose, sono:
Trimurti: è l’insieme di Brahma il creatore, Vishnu il preservatore e Shiva il distruttore. Sono i tre aspetti dell’Essere Supremo.
Brahma (il creatore della Trimurti): è rappresentato seduto sul loto. Possiede quattro teste e quattro braccia e tiene i simboli del culto. Il suo veicolo (animale preferito) è il cigno.
Vishnu (il preservatore della Trimurti): i suoi simboli sono la conchiglia e il loto. Il suo veicolo è Garuda, mezzo uomo e mezzo aquila; il Garuda ha un becco adunco col quale afferra ed uccide i serpenti, di cui è feroce nemico. Caratteristica di Vishnu sono le sue 10 incarnazioni fra cui il pesce, il cinghiale, la tartaruga, l’uomo leone ed il bramino nano.
Shiva (il distruttore della Trimurti): può assumere anche altri aspetti. Veste una pelle di tigre con capelli lunghi raccolti sul capo. Il suo simbolo è il “lingam“, il fallo stilizzato, mentre il suo veicolo è il toro “Nandi“.
Kali (detta anche “la nera” o la dea del terrore): rappresenta la personalità distruttiva di Shiva. E’ di color nero con una collana di teschi attorno al collo mentre mani e lingua sono color rosso sangue. Veniva adorata dalla setta dei “thugs” gli strangolatori che in passato infestavano le regioni centro orientali dell’India.
Parvati: è la dolce sposa di Shiva in grado di trasformarlo, da dio distruttore, in dio pacifico.
Ganesh: è figlio di Shiva e Parvati ed è rappresentato piccolo e panciuto e con la testa di elefante. Alla nascita la testa era umana, ma venne decapitato da Shiva in un attacco di furore. La madre Parvati allora obbligò il marito a resuscitarlo e Shiva gli mise addosso la testa del primo essere vivente che incontrò: un elefante (cliccare qui).
Anche il viaggiatore che già la conosce subisce ugualmente il fascino dell’India per le misteriose costumanze delle sue caste, delle sue razze, delle sue credenze religiose, per la sua storia millenaria, per la sua natura ricchissima.
La decisione di andare in Tibet invece è stata influenzata oltre che da uno storico desiderio, anche dalla curiosità di conoscere un paese che fino a cento anni fa era vietato agli stranieri, l’ultimo al mondo in cui sia arrivata la nostra cultura e tecnologia; dove la natura è più selvaggia, la luce del sole più intensa, l’aria più limpida e frizzante, i colori più vivaci, lo spazio più ampio, gli uomini più buoni.
Il Tibet, ai confini con il cielo, tra natura e spiritualità, è uno delle mete che suscitano profonde emozioni al solo nominarle. Un viaggio in Tibet, sul “Tetto del mondo”, dove si respira ancora la spiritualità dei luoghi, il misticismo dei monasteri, la religiosità dei tibetani, è un’esperienza umana e culturale da provare e vivere almeno una volta, nonostante le difficoltà. Tibet terra di bellezza e d’orrido, di cielo libero su deserti sassosi, di cime scintillanti nel sole e di spiazzi sui quali celebrare i “funerali celesti” tagliando a pezzi i cadaveri e dandoli in pasto agli avvoltoi.
La strada che percorriamo è chiamata “strada dell’amicizia” ed è l’unica che collega il Nepal con il Tibet. La catena Himalayana separa queste due terre conservando culture e paesaggi molto diversi tra loro.
Il Nepal dove predomina il colore verde, dove l’acqua scorre tra risaie e cascate e il caldo porta le persone fuori casa e nei templi pieni di ghirlande di fiori.
Il Tibet, dove il colore che prevale è quella della terra e della roccia, dei nevai, dell’aria frizzante e dei laghi color turchese e dove le persone vivono la religione in modo raccolto nei monasteri illuminati da candele di burro. L’Everest sarà un momento particolare del viaggio, e sarà innegabile l’emozione di esserci avvicinati così tanto con i nostri piedi. Un viaggio che andrà vissuto con calma per acclimatarci e godere al massimo dei paesaggi, degli incontri e tutte le situazioni uniche che avremo modo di vivere in maniera…. indimenticabile!
Arrivando in aereo, il “paese sopra le nuvole” appariva come un susseguirsi di catene montuose innevate che si estendevano a perdita d’occhio, una dopo l’altra, come onde increspate di un mare in tempesta, che raggiungevano con le loro vette la nostra quota di volo. L’aeroporto di Lhasa si trovava a un’ora di macchina dalla capitale perché a nessuno era permesso di guardare dall’alto il Potala, palazzo sacro dell’Oceano di Saggezza, il Dalai Lama; sarebbe stato considerato un gesto offensivo e oltraggioso.
Il Buddhismo è una delle religioni più antiche e più diffuse al mondo. Originato dagli insegnamenti di Siddhārtha Gautama noto anche con l’appellativo Śākyamuni (l’asceta o il saggio della famiglia Śākya, nato a Lumbini, 566 a.C. – morto a Kuśināgara, 486 a.C.), comunemente si compendia nelle dottrine fondate sulle Quattro nobili verità. Con il termine Buddismo si indica più in generale l’insieme di tradizioni, sistemi di pensiero, pratiche e tecniche spirituali, individuali e devozionali, nate dalle differenti interpretazioni di queste dottrine, che si sono evolute in modo anche molto eterogeneo e diversificato. Śākyamuni viene di norma rappresentato seduto, con le gambe strettamente incrociate, la mano sinistra in grembo che sostiene un vaso per le elemosine, mentre ha la mano destra distesa in basso e tocca la terra, chiamata a testimoniare l’avvenuta Illuminazione.
Poi ci sono cinque Buddha Supremi (Vairocana, Akshobhya, Amitabha, Amoghasiddhi e Ratnasambhava) che presiedono alla cinque grandi ere della storia cosmica (kalpa).
La dottrina dei cinque Buddha entra in combinazione con quella dei tre Corpi dando tutta una serie di combinazioni che a prima vista possono sembrare peregrine, ma che in realtà sono molto utili per costruire una mappa, un rozzo mandala, che serve poi per situare parecchi personaggi nel complesso pantheon buddista, e per riconoscerli iconograficamente. Supremo è il Dharma-kaya, il “corpo della Legge”, nel quale i Buddha sussistono in pura astrazione e meditazione.
Se poi combiniamo i cinque Buddha Supremi (e le cinque Epoche del Mondo, Kalpa) con i tre Corpi, abbiamo la sopra esposta sistemazione (alcuni personaggi sono di scarso rilievo e s’incontrano di rado, altri, in corsivo, sono invece molto comuni).
Dalai Lama: “Maestro Oceano”, sottinteso “di Saggezza”. Il titolo mongolo di Dalai venne dato per la prima volta nel 1578 da Altan Khan all’abate superiore dei Gelug-pa, che in quel momento era Sonam Gyatso; successivamente fu esteso in modo retroattivo ai due suoi predecessori. Fino ad oggi si sono avuti 14 Dalai Lama.
Ho avuto modo di intervistare dei Guru sull’esigenza religiosa del buddismo tibetano: sono i tibetani, infatti quelli che hanno le idee più chiare su cosa succede agli uomini subito dopo la fine della vita terrena. Il progresso materiale da solo non è fonte di conforto durevole; anzi si direbbe che quanti più progressi si fanno nella vita materiale, tanto più si deve vivere con un timore continuo.
Le conquiste materiali ci stimolano sempre a desiderare altre conquiste materiali, quindi la soddisfazione che possono procurarci è effimera; se invece è nella mente che si raggiunge un certo grado di felicità, ecco che le pene di ordine materiale ci sembreranno facili da sopportare. Il piacere procurato dalla mente è il solo vero ed eterno piacere. Senza una risposta dell’anima, nessun stimolo esterno riuscirebbe a suscitare in noi né piacere né dolore. Tali stimoli interiori sono il prodotto, il sedimento, lasciato nella nostra mente dalle azioni passate anche nelle vite precedenti. I buddisti quindi credono che ogni essere vivente sia soggetto alla rinascita, e che attraverso una serie di esistenze si sforzi di raggiungere la perfezione dello stato di Buddha; lo stato supremo chiamato Mahaparinirvana, che è la suprema Illuminazione, totale, illimitata, scevra da contaminazioni morali e intellettuali. Credono che tale completa ascesa possa compiersi anche nel corso di una sola vita, sebbene ciò sia estremamente raro.
Credono che prima della fine del kalpa, ossia dell’era presente, debbano ancora venire al mondo un migliaio di Buddha. Ciascuna di queste incarnazioni supreme predicherà la sua dottrina e opererà eternamente per la salvezza di tutte le creature viventi. Ma questo stato superiore, questa rinuncia al mondo, non è accessibile a chiunque in quanto esige sacrifici enormi. Praticare la religione vuol dire distogliere la mente da tutte le forme della vita mondana, vivere la religione nella propria mente.
La bandiera tibetana è proibita in Cina: chi la possiede e la mostra rischia pene detentive molto severe in base all’accusa di “separatismo”.
La complessa bandiera introdotta nel 1912 dal XIII Dalai Lama, che sventolò sul paese sino al 1959 – e continua a sventolare in esilio – è densa di simboli. I due leoni di montagna (kilin) rappresentano i poteri temporale e spirituale; essi reggono la ruota dello yin e yang, vale a dire il principio infinito di causa ed effetto. Più in alto, fiammeggianti, i tre gioielli supremi del buddhismo, il Buddha, il Dharma (la legge) e il sangha (i monaci, custodi della legge). Il tutto è inscritto in un triangolo bianco, che ricorda una montagna innevata, cioè lo stesso Tibet. Il sole sorgente è simbolo di gioia: esso diffonde sei raggi rossi in un cielo blu scuro, che rappresentano le sei stirpi originarie del popolo tibetano (Se, Mu, Dong, Tong, Dru e Ra). Il bordo dorato su tre lati del drappo simboleggia il diffondersi dell’insegnamento del Buddha, che è come l’oro puro.
Buona visione e Namasté (mi inchino a te)!
Viaggio tra cielo e spiritualità in India, Nepal e Tibet
Questa volta eravamo in sei (tre coppie di amici) anche se fino all’ultimo momento abbiamo rischiato di rimanere in quattro …. La Cina proibisce la visita del Tibet ai viaggiatori indipendenti, quindi anche noi ci siamo dovuti rivolgere ad un’agenzia di viaggio.
Questo è il diario del viaggio fatto dal 28 marzo al 17 aprile 2014, suddiviso per motivi tecnici in otto parti. Note tese a dare informazioni e a comunicare sensazioni ed evocazioni! Chi vuole vedere tutte le immagini scattate durante le giornate del viaggio, sempre stando sul sito http://www.gastonemariotti.com clicchi su Foto e poi sull’apposita galleria, oppure cliccare qui.
1° giorno, venerdì 28 marzo 2014: Roma – Istanbul – Delhi (India)
Partenza da Roma-Fiumicino con volo di linea intercontinentale per Delhi. Pasti, film e pernottamento a bordo.
Volo TURKISH AIRLINES – TK 1866 da Roma-Fiumicino alle 14:35 a Istanbul (Turchia) alle 18:05. Volo TURKISH AIRLINES – TK 716 da Istanbul (Turchia) alle 19:55 a Delhi (India) alle 05:55
2° giorno, sabato 29 marzo: Delhi (13 milioni di ab. – 239 m s.l.m. – 18°-32°)
Arrivo in volo all’unico aeroporto di Delhi, l’Aeroporto Internazionale Indira Gandhi che si trova ad una decina di chilometri a sud-ovest e a circa quaranta minuti di auto dal centro della città. Disbrigo delle formalità doganali. Incontro in aeroporto con l’assistente, trasferimento con veicolo privato e sistemazione verso le ore 11:00 presso l’hotel Royal Plaza. Antiche statue romane, lampadari di cristallo Swarovski e dipinti europei decorano questo albergo a 4 stelle di Connaught Place a Nuova Delhi. All’arrivo in hotel, si viene accolti dal tradizionale benvenuto indiano “aarti-tikka” con donne indiane nel loro tradizionale sari, ghirlande di fiori e succhi di frutta analcolici.
Benvenuti a Delhi, una città monumentale con un vibrante mix di vecchi e nuovi bazar brulicanti , maestosi viali britannici, potenti palazzi e fortezze, templi e tombe. Situata sulle rive del fiume Yamuna, nel nord dell’India, è una delle più antiche città continuamente abitate del mondo ed un importante punto di riferimento per la cultura, la politica, e il commercio dell’India.
La nostra avventura inizia nella vecchia Delhi, la capitale Mughal stabilita da Shah Jahan nel 1638.
Alla Jama Masjid (cliccare qui), una delle più grandi moschee in India, con un cortile che può contenere ben 25 mila fedeli. Fu costruita nel 1644 e fu l’ultima di una serie di opere architettoniche commissionate dallo scià Jahan, l’imperatore moghul che fece edificare anche il Taj Mahal e il Forte Rosso. La moschea, riccamente decorata, ha tre grandi portoni d’ingresso, quattro torri e due minareti alti 40 metri in arenaria rossa e marmo bianco. I visitatori con le braccia e le gambe scoperte possono noleggiare abiti adatti lunghi fino ai piedi presso l’ingresso settentrionale.
Alla Chandni Chowk, la via principale della vecchia Delhi e allo stesso tempo uno dei bazar più antichi e più frequentati dai mille colori, strade anguste e un caos raramente sotto controllo, dove abbiamo fatto un giro a dir poco variopinto e frenetico sul risciò (cliccare qui, qui e qui).
Al Raj Ghat, il mausoleo dedicato al Mahatma Gandhi, una lastra in marmo dove troviamo incise le ultime parole pronunciate da Gandhi, “Hey Ram“, ossia “Oh, Dio!” . Qui i resti di Gandhi furono cremati il giorno dopo la sua morte, il 31 Gennaio del 1948, sulla riva ovest del fiume Yamuna all’aria aperta, in un giardino tranquillo, con una fiamma accesa perennemente in memoria del Mahatma.
Ultima tappa del giorno è la visita al grande tempio Sikh Gurdwara Bangla Sahib, il più vasto della città. Per entrare è necessario adottare un abbigliamento rispettoso, coprire la testa e togliersi scarpe e calzini (cliccare qui, qui e qui).
Le sue cupole dorate sono molto belle; l’atmosfera è di cordiale serenità e tutto intorno contribuisce a rilassarvi. Sembra di vivere in una diversa dimensione; vi è un grande fervore religioso: preghiere, prosternazioni e offerte sono fatte secondo i riti Sikh dai numerosi fedeli che si affollano davanti al Granth Sahib, il Libro Santo.
Veramente da apprezzare anche il senso di condivisione e volontariato tra i fedeli che, tutti assieme, mangiano nella sala comune a base di cibi preparati da altri fedeli in una enorme cucina che si può visitare. Questa cucina della comunità è istituita con lo scopo di provvedere al cibo a tutti i devoti, pellegrini, visitatori e ospiti. È simbolo di eguaglianza, fraternità e cameratismo. È qui che, sia l’alto che il basso, il ricco e il povero, il colto e l’ignorante, re e straccioni, condividono tutti lo stesso cibo seduti insieme lungo la stessa tavola. Questa cucina è mantenuta con un contributo comune versato da tutti i Sikh.
L’istituto del Langar (cucina comune), è uno dei mezzi più efficaci per creare uguaglianza sociale in tutto il genere umano. La personalità caratteristica di un sikh è rappresentato da cinque simboli che deve portare sempre con sé e che tutti iniziano con la lettera K: i Kesh, ovvero i capelli e barba mai tagliati, neppure ritoccati o spuntati; il Kangha, un pettine piccolino che si può mettere fra i capelli per mantenerli ordinati; il Kara, un braccialetto d’acciaio; il Kachera, boxer un po’ più larghi del normale; il Kirpan, piccolo pugnale.
Pernottamento in hotel Royal Plaza.
3° giorno, domenica 30 marzo: Delhi – Agra (1 milione e 260 mila ab. – 170 m s.l.m. – 18°-35°)
Colazione. Visita alla Tomba di Humayun: l’edificio in arenaria rossa e marmi bianchi è una vera attrattiva di Delhi ed è situato in mezzo ad un immenso giardino molto curato (cliccare qui e qui). Capolavoro della prima architettura Moghul, fu fatta costruire dalla prima moglie persiana dell’imperatore moghul Humayun intorno al secolo XVI.
Nella tarda mattinata trasferimento in direzione Agra (203 chilometri per circa 4 ore), all’arrivo check-in in hotel Grand Imperial e visita al Forte di Agra, il lavoro di Akbar il Grande, che lo costruì nel corso di otto anni (1565-1573).
Il Forte di Agra è un patrimonio mondiale dell’umanità dell’UNESCO ed è conosciuto anche come Fort Rouge e Forte rosso di Agra. Si trova a circa due chilometri e mezzo a nord-ovest dall’altro famosissimo monumento della città, il Taj Mahal.
La fortezza deve il suo nome al materiale utilizzato per la costruzione: l’arenaria rossa, menzionata per la prima volta nel 1080 e il primo sultano che si trasferì da Delhi alla volta della fortezza fu Sikandar Lodi (1487-1517).
In seguito Akbar il Grande (1542-1605) voleva rendere Agra la capitale dell’impero moghul ma arrivò nella fortezza solo poco prima della sua morte. Shah Giahan, il cui regnò durò dal 1628 al 1658 effettuò molti lavori all’interno erigendo palazzi e moschee di marmo bianco intarsiato con pietre preziose (cliccare qui, qui, qui, qui e qui).
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