Il Borgo Fantasma di Celleno (VT) – Capra tra i ruderi

Tra un lockdown e l’altro si è accentuato il fenomeno di fare brevi visite nei tanti borghi del Belpaese per sfuggire allo stress delle grandi città e per scoprire il patrimonio culturale che si cela anche nei centri con meno di 5.000 abitanti che nel territorio nazionale sono 5.509 (pari al 70% del numero totale dei comuni italiani). Nei borghi la vita è più sana, a contatto con la natura. Molti li hanno scelti anche per farli rivivere, grazie a progetti di ripopolazione come l’acquisto di una casa ad un euro.

Se avete visitato Civita di Bagnoregio, attratti dal fascino del borgo quasi disabitato, non dovete assolutamente perdere Celleno Borgo Fantasma, uno dei pochi agglomerati realmente disabitati.


Resterete incantati dal fascino del borgo abbandonato che sorge su uno sperone di tufo a circa 400 metri s.l.d.m. lungo la strada del vino della Teverina, nell’alta Tuscia Viterbese, a circa 15 km dalla famosa Civita di Bagnoregio a cui l’accomuna lo stesso inevitabile destino, determinato dalla morfologia del territorio.


Le mura raccontano una lunga storia che parte dagli etruschi e arriva a noi, dopo aver superato una pestilenza, numerose frane e, per ultimo, un devastante terremoto, che nel 1931 ne ha determinato l’abbandono.


L’abitato – o meglio quello che rimane – abbarbicato su una roccia tufacea, ricorda i nuclei fortificati sorti tra il X e l’XI secolo per opera dei Conti di Bagnoregio, che per qualche decennio mantennero il dominio su questo territorio, almeno fino a quando non arrivarono i viterbesi desiderosi di espandersi nella valle del Tevere.

In questo periodo, un gruppo di abitazioni erano concentrate sulla parte terminale dello sperone tufaceo, cinto da mura e protetto da rupi su tre lati e da un fortilizio con una grande torre posto a guardia dell’unica via d’accesso.

Qui si trovava concentrata la maggior parte della popolazione.

Nel visitare Celleno Antica – il nome sembrerebbe derivare da “cella” intesa come grotta, di cui il sottosuolo sarebbe ricco come ovunque nel viterbese – si è colpiti dalle calde sfumature tendenti all’ocra del materiale tufaceo usato nella costruzione delle case, ora per lo più diroccate.

Le stesse case formano il nucleo centrale del borgo, particolarmente suggestivo e spettrale, soprattutto quando è avvolto in nubi temporalesche.

La chiesa di San Rocco, nella piazzetta del borgo nato ai piedi del Castello di Celleno, fu edificata a protezione della popolazione cellenese dalle pestilenze e riveste una particolare importanza per la sua posizione extramoenia. Si caratterizza soprattutto per la bellezza del suo portale in peperino, per l’altare con crocefisso ligneo e per alcuni importanti lacerti di affreschi rinascimentali.

Lo spopolamento dell’antico borgo pericolante, divenne definitivo e totale nel 1951, a seguito di un’ordinanza dell’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi che obbligava i cellenesi a lasciare le proprie case per trasferirsi verso una località più sicura a 1,5 km dall’antico villaggio.

Non fu però così semplice sradicare chi qui aveva le sue radici: molti hanno continuato a tornarci, trasformando le case in stalle e baracche. Tanto che nel 1962, il continuo movimento, considerato pericoloso per l’incolumità della gente, convinse le autorità a prendere una decisione drastica: minare il paese nella parte contrapposta al Castello Orsini.

Da allora il Borgo di Celleno divenne progressivamente “fantasma”, disabitato, con le sterpaglie che si impossessarono delle strutture sopravvissute e senza alcuna attrattiva turistica. Da allora l’antico villaggio rimase abbandonato a se stesso per molto tempo.

Proprio nei settori non visitabili una serie di cunicoli mettono in comunicazione i vani tra loro. Questi cunicoli, di cui è difficile stabilire il numero e l’esatta posizione a causa delle varie demolizioni nel corso dei secoli, sono spesso inaccessibili. Molti sono nascosti dalla vegetazione cresciuta tra i muri crollati.

Fino a qualche anno fa non vi si poteva accedere ma ora, grazie ad alcuni interventi di conservazione che ne hanno addirittura determinato l’inserimento nel circuito dei “Luoghi del Cuore” del FAI, il Fondo Ambiente Italiano, è possibile percorrere la via del Ponte, varcare Porta Vecchia e, per incanto, trovarsi immersi in un passato che si percepisce ancora vivo e forte.

Passeggiate, assaporate, guardatevi intorno ed emozionatevi. Celleno va assaporato lentamente.

Solo negli ultimi tempi il borgo è stato scenario per le riprese di alcune scene del film “Luna Nera” in onda dal 2020 su Netflix in tutto il mondo ed anche il regista Paolo Sorrentino lo ha visitato negli scorsi mesi, in cerca di location cinematografiche suggestive.

Il castello Orsini, che fu restaurato e abitato dal pittore Enrico Castellani dal 1973 fino al 1° dicembre 2017, anno della sua morte, domina Piazza del Comune, in cui svetta l’antico campanile di San Donato (con il suo orologio) i ruderi della vecchia chiesa di San Carlo e la chiesa parrocchiale di San Donato che seppure priva di soffitto, conserva il portale gotico-romanico.

La fortezza originaria è stata edificata nel 1026 quando Corrado II il Salico concesse il territorio circostante alla famiglia Conti di Bagnoregio, che ne fece un avamposto strategico per il controllo della zona. Il Castello Orsini che vediamo oggi, frutto di rimaneggiamenti in epoche successive e in gran parte distrutto da vari terremoti, è la costruzione meglio conservata.

Un tuffo nel passato davanti alla targa Poste e Telegrafo e, incamminandosi nel dedalo di vicoletti, strada facendo si possono ammirare opere d’arte in ferro battuto.

Utensili e attrezzi da lavoro, tutti rigorosamente originali, affiancano l’incanto delle fedeli riproduzioni dei luoghi in cui si consumava la vita nel borgo: il forno del paese, l’osteria, il fienile.

Luoghi che hanno il potere di riportare il visitatore al tempo in cui Celleno era animato, laborioso e vivo.

Proseguendo e lasciandosi il nucleo alle spalle, s’intraprende un sentiero, l’antica via Maggiore, delimitato da una staccionata, dal quale è possibile godere di una vista spettacolare sulla suggestiva Valle dei Calanchi – denominata la “valle delle ciliegie” per la produzione di un tipo di ciliegia inserita poi, nell’elenco nazionale dei Prodotti agroalimentari tradizionali del Ministero delle Politiche agricole e forestali – fino a scorgere il monte Soratte, nei giorni più tersi.


Solo poche capre razzolano tra i ruderi alla ricerca di cibo, acqua e ombra: loro non se ne vogliono proprio andare.

Particolarmente nota è, infatti, la Festa delle ciliegie di Celleno che si tiene ogni anno, con il caratteristico “sputo del nocciolo”: vince chi espelle a maggiore distanza il nocciolo.

Il vento che s’insinua tra le fragili mura ulula e non è difficile credere alla storia secondo la quale questo borgo sarebbe avvolto nel mistero che caratterizza i luoghi di cui si narrano eventi paranormali. Forse è vero che il fantasma di Giovanni Gatti (della nobile famiglia viterbese), feudatario che fu fatto decapitare da Papa Alessandro VI (Borgia) per non aver voluto restituire il castello, vi si agiti ancora, con lamenti che di notte risuonano nel silenzio del Borgo Fantasma di Celleno.


Probabilmente modificata nel XV secolo, la piazza del Comune ha visto il succedersi di epoche e civiltà, di vita quotidiana e fatti eclatanti come la terribile fine di Giovanni Gatti avvenuta il 27 maggio 1496. Erano anni in cui le lotte tra famiglie nobili erano furibonde. Giovanni, erede di una potente famiglia viterbese decimata dalla guerra tra fazioni, lasciata la città, si rifugiò nel castello di Celleno.

Raggiunto dall’ordine di Papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia) di restituire il feudo alla chiesa, decise di rifiutarsi. Il Papa, impietoso, inviò l’abate di Alviano che lo fece torturare e costringere a rivelare il nascondiglio dell’ingente tesoro della sua famiglia (la torre mastio). Poi lo fece uccidere su questa piazza, insieme ai suoi figli maschi.

Nella stessa piazza si trovano il campanile dell’ex parrocchia a pianta quadrangolare, costruito con materiale tufaceo, e la Chiesa di San Carlo (XVII secolo), della quale restano solo le mura e un portale in basaltina.

All’interno è stata allestita una curiosa esposizione a cura di Mario Valentini “Le macchine parlanti“.

Mostra permanente d’incantesimi meccanici per un’esperienza sensoriale e culturale unica”, ben integrata con l’ambiente circostante. Le storie che racconta sono singolari, come quella dell’etichetta discografica His Master’s Voice (La Voce del Padrone).

Il celebre marchio rappresenta un Jack Russell Terrier intento ad ascoltare i suoni provenienti dalla tromba di un grammofono (in realtà era un fonografo, così come è stato riprodotto nel dipinto originale).

Uscendo dalla mostra e proseguendo per le strette vie ci si imbatte nei componenti della compagnia “Il Circo Verde” intenti a produrre “Il Borgo va in Scena“: come trasformare uno spettacolo dal vivo in tempi di Covid19, ovvero come creare uno spettacolo dal vivo in un Borgo Fantasma!

 

Il Borgo Fantasma di Celleno ( VT)

Oltre ad una passeggiata piacevole per le vie di Celleno, dal borgo del viterbese partono interessanti itinerari che lo collegano ai paesi limitrofi, come ad esempio il “Sentiero dei Castelli delle Fiabe
percorso-spettacolo dal Borgo Fantasma di Celleno a Sant’Angelo di Roccalvecce, il paese delle fiabe.

Perché è chiamato così? Lo capirete entrando in paese.

Cosa vedere a Sant’Angelo di Roccalvecce.


Da Alice nel Paese delle Meraviglie, con tanto di Cappellaio Matto, Bianconiglio, Regina di Cuori e Stregatto ad Hansel e Gretel; dalla Bella addormentata nel Bosco ad Alì Babà e i Quaranta ladroni.

E ancora Pinocchio, Biancaneve, La Bella e la Bestia e tanti altri.

Sant’Angelo di Roccalvecce, dalla fine del 2016 è stato arricchito da murales fantastici, che fanno sognare i più piccoli e tornare bambini anche i più grandi.


Ad oggi il borgo nel viterbese è unico, suggestivo, una favola da vivere come protagonisti e non come semplici spettatori.


Il primo murale realizzato è stato quello di Alice nella piazza principale.

Il suo orologio segna le 11 e 27 minuti per ricordare il giorno in cui è stato inaugurato: il 27 novembre 2017.

Da quel preciso istante, Sant’Angelo di Roccalvecce, ha seguito il “coniglio bianco”, un evento apparentemente banale che l’ha catapultata nel “suo” Paese delle Meraviglie.


Un murale, come tanti. Che qui ha dato inizio a una fantastica avventura e, soprattutto, alla rinascita del borgo, destinato alla morte, poi risvegliato dal bacio del principe che restituisce una nuova vita.

 

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