Vacanze settembrine in Salento
Scopriamo che tanti, anzi troppi, hanno avuto la stessa nostra idea e la Puglia è stata letteralmente presa d’assalto. Allora, in men che non si dica, confezioniamo un itinerario per una vacanza a metà settembre, quando le folle di turisti dovrebbero diminuire sensibilmente. E ci godiamo il Salento, come sempre unendo le visite culturali e naturalistiche a imperdibili esperienze enogastronomiche. Questo è il post con le sensazioni e le informazioni del viaggio, suddiviso per motivi tecnici in due parti.
Il Salento è da sempre meta gettonatissima dai vacanzieri. Il “Tacco d’Italia” offre paesaggi mozzafiato, storia, cultura, buon cibo e cordiale ospitalità. Una terra bellissima, lambita dalle acque del Mar Ionio e del Mare Adriatico, che nasconde al suo interno vere e proprie meraviglie.
Tra queste, le località di Porto Cesareo, Torre Lapillo e Punta Prosciutto sono degli autentici angoli di paradiso, dislocati lungo 20 km di costa sul versante ionico della penisola salentina.
Porto Cesareo – comune italiano di 5.930 abitanti della provincia di Lecce in Puglia – dista 26,9 km dal capoluogo provinciale ed è sede dell’Area naturale marina protetta Porto Cesareo e della Riserva Naturale Orientata Regionale Palude del Conte e Duna Costiera.
Il territorio comunale, situato nella parte nord-occidentale della pianura salentina, si estende su una superficie di 34,66 km² e confina a nord con i comuni tarantini di Manduria e Avetrana, a est e a sud con il comune di Nardò, a ovest con il mare Ionio.
Molti gli isolotti tra questi rivestono particolare importanza l’Isola Grande (o Isola dei Conigli) ricoperta da pini d’Aleppo e di acacie, e l’Isola della Malva. I fondali, particolarmente ricchi, ospitano nelle zone sabbiose la cosiddetta prateria sommersa di Posidonia oceanica, che garantisce ossigeno, rifugio e nutrimento a numerosi organismi marini, e nelle aree rocciose il coralligeno multicolore. La fauna marina è costituita da crostacei, molluschi, pesci e tartarughe. Lo straordinario interesse biologico del posidonieto ha contribuito all’istituzione dell’Area naturale marina protetta di Porto Cesareo nel 1997.
Distante solo un chilometro dal porto, è facilmente raggiungibile grazie a piccole imbarcazioni messe a disposizione da pescatori o privati, ma il breve tratto può essere coperto anche a nuoto, dal momento che il basso fondale permette di fermarsi e rifiatare più volte. Lo spettacolo che si rivela alla vista, poi, ripaga ampiamente della fatica: una vegetazione tipica della macchia mediterranea e una pineta di cipressi e pini d’Aleppo ne ricoprono la superficie.
L’Isola Grande è sicuramente uno dei gioielli più preziosi dell’Area Marina Protetta di Porto Cesareo, che ospita anche alcuni esemplari di tartarughe Caretta caretta.
Ai tempi dei romani si chiamava Portus Sasinae (periodo di cui sono stati ritrovati dei reperti tra cui sette colonne monolitiche di marmo cipollino immerse nel mare), quando era un importante scalo portuale per il commercio dei prodotti agricoli delle ricche zone interne. In realtà il luogo era già abitato in epoca preistorica (villaggio in località “Scalo di Furnu“) e successivamente nell’Età del Bronzo da marinai di provenienza greca.
Cadde nell’abbandono a causa delle scorrerie dei pirati e dell’impaludamento della zona fino all’arrivo, intorno all’anno Mille, di alcuni monaci basiliani che vi costruirono un’abbazia che utilizzarono sino al XV secolo, periodo in cui la località passò di proprietà dagli Orsini del Balzo, principi di Taranto, agli Acquaviva, duchi di Nardò, e si sviluppò come porto per il commercio, soprattutto di olio e grano, con la Sicilia e in seguito anche con le Repubbliche marinare.
Fu anche in quel periodo che iniziò la costruzione, a difesa dai nemici provenienti dal mare, dell’importante “Torre Cesarea” e di tutte le altre torri costiere di cui è ancora ricca la fascia costiera ionica salentina. Dopo un nuovo periodo di decadenza, intorno al XVIII secolo tornò a ripopolarsi ma solo stagionalmente e non stanzialmente grazie all’attività di una tonnara che attirò varie famiglie di pescatori, soprattutto tarantine.
Nel 1975, grazie alla volontà dei residenti che chiedevano da tempo l’autonomia dal comune di Nardò, Porto Cesareo divenne a sua volta comune a tutti gli effetti. Oggi quest’ultimo è ormai una rinomata località di bagni grazie ai suoi 20 km di spiaggia dorata e scogliera bassa con acqua molto limpida fronteggiati da un arcipelago di isolotti ricchi di vegetazione e di fauna che conta specie molto rare.
Dal 1997 il Comune è sede di una delle 20 aree marine protette d’Italia per la presenza di una ricchissima e diversificata comunità marina di elevato valore biologico; con i suoi 16.654 ettari è la terza per estensione in Italia.
L’area si estende fino a 7 miglia dalla costa, tra Punta Prosciutto a nord e Torre dell’Inserraglio a sud. Nel 2006 fu istituita anche la riserva naturale regionale “Palude del Conte e Duna Costiera” di circa 900 ettari, un’area caratterizzata da una vasta depressione retro-dunale con ricca e diversificata vegetazione igrofila e alofila. Importanti sono anche la Stazione di Biologia Marina e il Museo Talassografico che contiene una raccolta malacologica, un erbario e rare specie ittiche.
L’Amerigo Vespucci, un gioiello di 101 metri con tre alberi e 24 vele, la nave scuola della Marina militare italiana, considerata una delle più belle imbarcazioni del mondo, è stata notata proprio la mattina del nostro arrivo dal litorale di Porto Cesareo.
Al meteo estivo della giornata, si è aggiunta l’emozione di quella insolita “presenza”.
Dopo pranzo ci infiliamo il costume e andiamo al mare in direzione nord a Torre Lapillo, dopo un’oretta sdraiati sulla sabbia andiamo a visitare la cinquecentesca Torre Lapillo, con € 2 a persona si può salire e visitare l’interno della torre, dove si trova una scalinata molto stretta e suggestiva che porta al sotterraneo, per poi risalire fino alla terrazza dove si può ammirare il mare infinito che bagna le coste ioniche.
Torre Lapillo deve il suo nome alla torre omonima, nota anche con il nome di Torre di San Tommaso.
Le torri di avvistamento rappresentano senza dubbio una delle tipologie di costruzioni caratteristiche del territorio leccese, strategicamente appetibile a molti e quindi bisognoso di strutture difensive.
Questa è una delle più grandi del suo genere, con i suoi 17 m d’altezza; restaurata recentemente, è accessibile al suo interno grazie ad una scalinata.
Frazione del comune di Porto Cesareo, il territorio di Torre Lapillo si estende da questo fino a Punta Prosciutto e si caratterizza per una lunga lingua di finissima e bianchissima spiaggia, bagnata dalle limpide acque dello Ionio. I suoi stupendi colori le garantiscono un fascino esotico, a ricordare da vicino suggestive mete caraibiche.
La località offre strutture ricettive di alta qualità. Inoltre, alterna lidi attrezzati a zone di spiaggia libera, venendo incontro alle esigenze di tutti.
È quasi notte e prima di prendere la macchina e cambiare zona decidiamo di fare un apericena alla Pescheria. Entrati in questa pescheria ci si illuminano gli occhi, ci sono molte varietà di pesci sul bancone e si può scegliere quale si vuole mangiare per farselo cucinare al momento alla griglia o al cartoccio ma noi optiamo per la frittura appena vediamo uscire davanti i nostri occhi la prima frittura fumante della giornata, ci facciamo due vassoietti pieni di fritto di qualsiasi tipo, gamberoni, granchi, polpette, cozze, merluzzi, argentini, alici, moscardini, polipi, gamberi in pastella, e altro che neanche mi ricordo…era veramente fantastica, una delle migliori e varie che abbia mai mangiato ed era anche leggera, buonissima!
Nei giorni seguenti abbiamo potuto godere della compagnia dei nostri cari figli che avevano preso casa proprio a Torre Lapillo. Così tra nuotate e gite culturali, deliziose cene e passeggiate serali, abbiamo passato dei giorni di vacanza veramente pieni di gioia e di affetto che non accadeva da quando i ragazzi erano piccoli.
Una serata l’abbiamo passata anche in compagnia dei consuoceri mangiando paccheri con granchio e gamberetti che risulteranno i migliori di tutta la vacanza, e per secondo una spigola alla griglia. Vi consiglio vivamente questo posto se passate per Porto Cesareo.
Ma Porto Cesareo non è solo natura, è anche il suo caratteristico borgo, in cui muoversi tra vecchie case di pescatori, botteghe artigiane, negozietti e pescherie storiche.
Il fascino selvaggio di Punta Prosciutto
Nella punta nord della penisola salentina si apre un’altra parentesi di meraviglia. Non ancora preda del turismo di massa, Punta Prosciutto regala dune di sabbia che possono raggiungere anche gli 8 metri di altezza, boschi tipici della macchia mediterranea, bassissimi fondali e una bianca distesa di sabbia. Se a tutto questo si aggiunge l’incredibile colore del mare, dalle diverse gradazioni di blu e dalle sfumature caraibiche, il quadro è da considerarsi completo.
Appartenente al Parco Naturale Regionale di Palude del Conte, questa rinomata località si caratterizza per una natura ancora prevalentemente selvaggia, che contribuisce a darle un aspetto unico e suggestivo. Non ci sono, infatti, stabilimenti attrezzati, ma solo chilometri di spiaggia libera e incontaminata dove poter trascorrere momenti di relax godendo di un panorama tra i più apprezzati di tutto lo stivale.
Porto Selvaggio si trova nel comune di Nardò, in provincia di Lecce.
È tra le spiagge più belle d’Italia. Dopo alcuni giorni trascorsi nella zona di Porto Cesareo, ci spostiamo poco più a sud per trascorrere una mezza giornata nella meravigliosa insenatura di Porto Selvaggio.
La spiaggia si raggiunge dopo una facile camminata di una ventina di minuti nella pineta. Per il ritorno c’è comunque il servizio di navetta a pagamento.
Capitale del Barocco per definizione, Lecce (93.799 abitanti; 389 ab. /km² e 49 m s.l.m.) reca vestigia di varie epoche. Le antiche origini messapiche e i resti archeologici della dominazione romana la inseriscono tra le città d’arte d’Italia.
Lecce si distingue per la ricchezza e l’esuberanza del barocco tipicamente seicentesco delle chiese e dei palazzi del centro, costruiti nella locale pietra leccese, calcare molto adatto alla lavorazione con lo scalpello.
Lo sviluppo architettonico e l’arricchimento decorativo delle facciate fu particolarmente curato durante il Regno di Napoli e caratterizza la città in modo talmente originale da dar luogo alla definizione di barocco leccese.
La cattedrale metropolitana di Santa Maria Assunta è il principale luogo di culto cattolico di Lecce, chiesa madre dell’arcidiocesi metropolitana omonima. Si trova in piazza del Duomo, nel centro storico della città. Fu costruita nel 1114 dal vescovo Formoso con l’appoggio economico di Goffredo II, che costruì anche il campanile-torre di vedetta. Nel 1230 si verificò il crollo del tetto e l’edificio venne ricostruito da mons. Roberto Volturio con impianto basilicale a tre navate, transetto non sporgente, campanile affiancato al lato settentrionale della facciata e cripta.
La fine dell’epidemia di peste del 1656, attribuita all’intervento miracoloso di san Oronzo, ed il successivo incremento demografico della popolazione portarono alla scelta di ricostruire una chiesa più grande. I lavori iniziarono nel 1658 su progetto dell’architetto Giuseppe Zimbalo e terminarono nel 1670.
La cappella di san Oronzo, finanziata dal comune di Lecce, fu terminata nel 1674 mentre il campanile, separato dalla cattedrale a chiudere una porta dell’antica piazza, iniziato nel 1661, fu completato nel 1682. Gli interventi posteriori non modificarono mai l’impianto originale limitandosi al rinnovo decorativo di alcune cappelle.
La basilica di Santa Croce è una chiesa del centro storico di Lecce, in via Umberto I. Insieme all’attiguo ex convento dei Celestini costituisce la più elevata manifestazione del barocco leccese.
La facciata è composta da sei colonne a fusto liscio che sostengono la trabeazione e suddividono la struttura in cinque aree. Il portale maggiore, costruito nel 1606, presenta coppie di colonne corinzie ed espone le insegne di Filippo III di Spagna, di Maria d’Enghien e di Gualtieri VI di Brienne. Sulle porte laterali sono esposti gli stemmi della Congregazione dei Celestini. La trabeazione è sormontata da una successione di telamoni raffiguranti figure grottesche o animali fantastici e allegorici che sorreggono la balaustra, ornata di tredici putti abbracciati ai simboli del potere temporale (la corona) e spirituale (la tiara).
Il secondo ordine della facciata è dominato dal grande rosone centrale di ispirazione romanica. Profilato da foglie di alloro e bacche presenta tre ordini a bassorilievo. Il rosone è ben evidenziato da due colonne corinzie, che separano la zona centrale da quelle laterali in cui sono delle nicchie con le statue di san Benedetto e Papa Celestino V. Guardando il rosone, alla sua sinistra (esattamente alle ore nove), si nota l’autoritratto di Antonio Zimbalo. Agli estremi, a chiudere il profilo del secondo ordine, si ergono due grandi statue femminili, simboleggianti la Fede e la Fortezza. Il timpano, col trionfo della Croce al centro, chiude superiormente la facciata.
Seguendo il programma iconografico tipico della spiritualità benedettina (a cui i Celestini appartenevano) e agostiniana, la facciata, così come riportato dal cartiglio dedicatorio posto sul portale maggiore, raffigura il trionfo del Vessillo della Croce, con allusione, quindi all’esaltazione del sacro legno, la cui reliquia è conservata all’altare del transetto sinistro. Il complesso sistema figurativo dei telamoni che racchiude in sé tutte le culture e le provenienze umane (è raffigurata la Lupa capitolina, il dragone dei papa Borghese, soldati aragonesi e turchi) sottolinea la cattolicità della Chiesa e la potenza redentrice del Cristo su tutta l’umanità.
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