L’incontro fra il Papa e l’Elefantino devoto
E finalmente in una tiepida domenica mattina di febbraio si sono incontrati. Un semplice parrocchiano un po’ speciale del Testaccio, il quartiere un tempo popolare e poi simbolo della Swinging Rome rutelliana, e il vescovo della città venuto in visita alla parrocchia di Santa Maria Liberatrice. La foto presa al volo dall’Ansa è bella e reticente, come tutte le foto rubate alla cronaca. Il corpaccione esuberante nel cappotto cammello del giornalista laico – anzi ex comunista – e oggi combattente contro l’aborto; e il corpo esile e diafano, bianco come la papalina e la zazzera del gran professore tedesco, il Papa teologo. Alla fine del lungo percorso attraverso il mondo della politica e quello delle idee, dalla noia per l’ideologia alla scoperta della teologia, Giuliano Ferrara è arrivato sotto casa, nella «sua» parrocchia, dove ha incontrato Benedetto XVI, gli ha baciato con rispetto la mano, è brillato un sorriso, si sono scambiati qualche rapida parola. La foto è reticente. Non per le parole che resteranno private, ma perché non dice nulla del lampo degli occhi, che senza dubbio ci dev’essere stato. E chi come me ha consuetudine con il mio direttore, sa che sono lampi eloquenti, spesso felicemente bambini.
Un lungo rapporto a distanza, quello tra il direttore del Foglio che da tempo ha preso il vezzo di definirsi «ateo devoto», mandando fuori di testa tutti quelli che non sanno se prenderlo sul serio, e in brodo di giuggiole gli amici che sanno che è divinamente serio, assolutamente ironico. E il «professor Ratzinger», come Ferrara lo chiama spesso. Anche se la dietrologia italiana immagina sempre rapporti sotterranei e chissà quali segreti d’Oltretevere, ieri era la prima volta che i due si trovavano vis à vis. Un lungo avvicinamento, e credo non spiacerebbe ai due se si rubassero a Goethe le sue «affinità elettive».
Quando Joseph Ratzinger si presentò sulla Gran Loggia di San Pietro, il pomeriggio del 19 aprile 2005, i testimoni oculari – io non c’ero, sto a Milano – raccontano di un gran balzo di Giuliano sulla poltrona, e del suo urlo liberatorio «Josephum», con cui faceva eco in tutta la redazione al nome latino appena pronunciato dal cardinale camerlengo. Il trionfo di una scommessa vinta, di un’anticipazione azzeccata. Quella mattina, il Foglio era uscito a tutta prima pagina con il titolo «La formidabile lezione del professor Ratzinger» e aveva sbattuto in faccia ai dubbiosi il testo integrale dell’omelia che Ratzinger aveva tenuto prima dell’inizio del Conclave. E che era già un programma di pontificato. Ma un orecchio più fine avrebbe forse avvertito che i gemiti della poltrona del direttore avevano un tono diverso da quelli provocati da Ferrara per un’altra notizia, anche quella pubblicata a tutta prima pagina con un giorno d’anticipo, la rielezione di Bush alla Casa Bianca. Quello era il legittimo orgoglio di una scommessa giornalistica stravinta. Invece il tripudio di quel pomeriggio d’aprile, quello che fece decidere in un istante, come capita sempre al Foglio, di uscire il giorno dopo con la testata modificata in «Il Soglio», con una squillante «S» rossa, era la gioia di un nuovo inizio: quasi l’intuizione di un «adesso cominciamo a divertirci», adesso avremo qualcosa di cui scrivere ogni giorno.
Ferrara ripete sempre che ad appassionarlo alle vicende della Chiesa fu la potenza meravigliosamente spavalda davanti alla modernità di Giovanni Paolo II. Ma già allora, in tempi non sospetti, fu il Prefetto della Fede ad attirare la sua attenzione. Nel 2000 il Foglio aveva già pubblicato con risalto la Dominus Jesus, la «dichiarazione circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa», contestata dai progressisti, con cui Joseph Ratzinger faceva punto e a capo di tutte le possibili confusioni sulle diverse religioni. Analoga attenzione aveva attirato nel 2004 la Lettera ai vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella chiesa e nel mondo, scritta sempre dal Custode della Fede. Altra clamorosa bomba messa sotto la mentalità corrente, che non a caso interessò maggiormente le femministe inquiete che tante anime belle della Chiesa chiacchierante, quella istituzione trasversale che tanto Papa Ratzinger quanto Ferrara detestano apertamente. Erano i primi segnali, che lasciavano a bocca aperta molti in redazione, di un interesse crescente. Ma segnali che venivano da lontano. Ferrara semplicemente si è accorto che la sapienza della Chiesa, Agostino e Tommaso, Wojtyla e Ratzinger, ha spesso molte più cose interessanti da comunicare all’uomo (post)moderno – sull’amore umano, sulla nascita e la morte, fino al «supremo scandalo del nostro tempo», l’aborto – di quanto non l’abbiano tonnellate di filosofia corrente e di scadente pensiero unico laico. E da allora il Foglio è stato un tripudio di iniziative che Ferrara ama definire «ratzingeriane», come anche gli Appunti per il dopo pubblicati la scorsa estate.
Vista da (abbastanza) vicino la fascinazione di Ferrara per Ratzinger («siamo il giornale del Papa», è battuta su cui in redazione si può scherzare, ma fino a un certo punto) è fatta sostanzialmente di due cose. L’interesse per un uso della ragione «illuminista», che si interroga su tutto e non rinuncia alla ricerca della Verità. L’altra è il sacrosanto amore per il linguaggio, la parola cristallina che chiama le cose con il loro nome, che scandaglia il vero e lo rende comprensibile anche ai laici. Di contro c’è l’odio per il fumo dell’ecclesialese, il linguaggio indigeribile che invece sembra essere il codice segreto del cattolicesimo contemporaneo. Quello «aperto al mondo», ma che al mondo non riesce a dire niente di interessante. E figurarsi a un uomo di mondo come Giuliano Ferrara.
Da qui il grande rilancio del discorso «illuminista» di Ratisbona, e la passione con cui il Foglio ha discusso le encicliche di Benedetto XVI: passione intellettuale per un uomo che ha qualcosa da dire, e sa splendidamente dirlo, sottolinea sempre Ferrara. Fino alla pubblicazione a tutta prima pagina del grande discorso negato alla Sapienza, sbattuto in faccia all’ignoranza di professori piccini e censori.
Da anni in tanti si interrogano sui rapporti tra Giuliano Ferrara e la Fede, tra il direttore del Foglio e il Papa. Su quel suo stare «sulla soglia» di Santa Romana Chiesa. Chi ha la possibilità di frequentare la faccenda un po’ più da vicino, potrebbe testimoniare davanti al Sant’Uffizio soltanto di quel che vede: una stupenda, inconsueta, avventura intellettuale e umana. Vissuta con amore e buonumore dal suo protagonista. Fino all’ultima partita, quella che Giuliano Ferrara ha intrapreso della lista per la moratoria contro l’aborto. Su questo, il Papa ha già detto quel che doveva dire: riprendendo, nel discorso al corpo diplomatico di inizio anno, il filo del parallelo ferrariano tra la moratoria della pena di morte e il necessario impegno a favore della vita.
Maurizio Crippa