Elezioni e “FACCIA A FACCIA” In TV

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Senza offesa per l’uno e per l’altro, la verità è che i due non avrebbero molto da dirsi. Per la maggior parte degli italiani , invece, il confronto tv tra Silvio Berlusconi e Walter Veltroni sarebbe utile per chiarire le idee all’elettorato.
I “faccia a faccia” televisivi negli Stati Uniti, raggiungono il livello più alto. Il giornalista-moderatore ha un ruolo attivo e un ampio margine di azione: è lui che decide gli argomenti che verranno affrontati e che formula le domande da sottoporre ai candidati. I quesiti possono essere anche molto precisi e non devono limitarsi ad affrontare per grandi temi i problemi del paese, come spesso accade nei “faccia a faccia” europei. A volte si tratta di vere e proprie domande “su misura” per ciascuno dei candidati, frutto di una lunga preparazione del giornalista prima del dibattito e di cui nessun’altro conosce il contenuto prima della diretta. Imparzialità e obiettività nella conduzione del confronto, non gli impediscono di sottoporre questioni spinose ai due avversari. Nel corso dell’ultimo “faccia a faccia”, per le presidenziali del 2004, il moderatore Bob Schieffer interpellò George W. Bush sul problema dei vaccini per l’influenza (che a causa di problemi sanitari e mancati accordi con la Francia e il Canada non erano in numero sufficiente per rispondere al fabbisogno della popolazione) e John Kerry su delicate questioni etiche, come l’aborto e la ricerca sulle cellule staminali. Tra i compiti del giornalista anche quello di decidere se concedere tempo aggiuntivo ai candidati per proseguire la discussione su un certo tema, dopo che il tempo a disposizione per le risposte era esaurito.
“Nei ‘faccia a faccia’ americani il giornalista riesce a fare veramente il suo lavoro – ci spiega Maria Luisa Rossi Hawkins, politologa e corrispondente Mediaset a New York – e fa emergere le differenze tra i programmi e i punti deboli dei due avversari. I ‘faccia a faccia’ europei, anche se si rifanno al modello americano, si limitano ad essere una vetrina per i candidati e anche per questo l’impatto dei dibattiti televisivi sull’elettorato è molto più forte negli Stati Uniti che nei paesi europei”.

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Nessuno spazio d’azione per il giornalista-moderatore italiano nel corso dei due dibattiti del 14 marzo e del 3 aprile 2006, tra Silvio Berlusconi e Romano Prodi: i primi in Italia condotti secondo vere e proprie regole “all’americana”, anche se due precedenti “faccia a faccia” si erano tenuti già nel 1994, tra Silvio Berlusconi e Achille Occhetto, e nel 1996 tra Berlusconi e Romano Prodi. Clemente J. Mimun nel primo appuntamento e Bruno Vespa nel secondo si sono limitati a garantire il rispetto delle regole e vigilare sui tempi, senza nessuna possibilità di fare domande.
Accanto al giornalista-moderatore c’erano però altri due giornalisti, scelti di comune accordo dagli stessi candidati: Marcello Sorgi de La Stampa e Roberto Napoletano de Il Messaggero. A loro il compito di porre le domande ai due leader politici, rigorosamente le stesse per entrambi.
“Nei primi ‘faccia a faccia’ del ’94 e del ’96 il giornalista aveva molta più libertà – dice Mentana – mentre l ‘eccesso di regole dell’ultimo dibattito ha prodotto un confronto in cui lo spirito giornalistico era ridotto al minimo”.
Duello tv: ”Ubriaco” ”Utile idiota”

I “faccia a faccia” televisivi negli Stati Uniti, raggiungono il livello più alto. Il giornalista-moderatore ha un ruolo attivo e un ampio margine di azione: è lui che decide gli argomenti che verranno affrontati e che formula le domande da sottoporre ai candidati. I quesiti possono essere anche molto precisi e non devono limitarsi ad affrontare per grandi temi i problemi del paese, come spesso accade nei “faccia a faccia” europei. A volte si tratta di vere e proprie domande “su misura” per ciascuno dei candidati, frutto di una lunga preparazione del giornalista prima del dibattito e di cui nessun’altro conosce il contenuto prima della diretta. Imparzialità e obiettività nella conduzione del confronto, non gli impediscono di sottoporre questioni spinose ai due avversari. Nel corso dell’ultimo “faccia a faccia”, per le presidenziali del 2004, il moderatore Bob Schieffer interpellò George W. Bush sul problema dei vaccini per l’influenza (che a causa di problemi sanitari e mancati accordi con la Francia e il Canada non erano in numero sufficiente per rispondere al fabbisogno della popolazione) e John Kerry su delicate questioni etiche, come l’aborto e la ricerca sulle cellule staminali. Tra i compiti del giornalista anche quello di decidere se concedere tempo aggiuntivo ai candidati per proseguire la discussione su un certo tema, dopo che il tempo a disposizione per le risposte era esaurito.
“Nei ‘faccia a faccia’ americani il giornalista riesce a fare veramente il suo lavoro – ci spiega Maria Luisa Rossi Hawkins, politologa e corrispondente Mediaset a New York – e fa emergere le differenze tra i programmi e i punti deboli dei due avversari. I ‘faccia a faccia’ europei, anche se si rifanno al modello americano, si limitano ad essere una vetrina per i candidati e anche per questo l’impatto dei dibattiti televisivi sull’elettorato è molto più forte negli Stati Uniti che nei paesi europei”.
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Test: questa immagine contiene sette facce. Voi quante ne vedete? (l’immagine è di Alex Grey)

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