La giustizia penale internazionale

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La Corte Penale Internazionale (in inglese: International Criminal Court – ICC) è un tribunale per crimini internazionali che ha sede all’Aia. La competenza del Tribunale è limitata ai crimini più seri che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme, come il genocidio, i crimini contro l’umanità i crimini di guerra (cosiddetti crimina iuris gentium) e il crimine di aggressione (art. 5, par. 1). La Corte ha una competenza complementare a quella dei singoli Stati, dunque può intervenire solo se e solo quando gli Stati non vogliono o non possono agire per punire crimini internazionali.
Lo Statuto di Roma del Tribunale Penale Internazionale è stato stipulato il 17 luglio del 1998 e definisce in dettaglio la giurisdizione ed il funzionamento dell’ente.  Bambini soldato documento (versione breve) portato alla Corte Penale Internazionale

Il 17 luglio 2008, quindi, è stato celebrato il decimo anniversario dell’adozione dello Statuto della Corte penale internazionale su genocidio, aggressione, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, conosciuto anche come «Statuto di Roma», e l’Italia continua a non avere adottato le norme di attuazione interna dello stesso;
lo Statuto di Roma è uno dei testi più avanzati nell’ambito della giustizia penale internazionale,  poiché incorpora tutte le garanzie del giusto processo, dei diritti fondamentali delle vittime e degli accusati, di umanizzazione delle pene, escludendo peraltro l’applicabilità della pena di morte; lo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale è entrato in vigore il 1^ luglio 2002, dopo avere raggiunto le 60 ratifiche necessarie: ad oggi sono 106 i paesi che lo hanno ratificato e la Corte ha già dato inizio a incriminazioni e processi relativi ai casi della Repubblica democratica del Congo, del nord dell’Uganda, del Darfur in Sudan e della Repubblica Centro Africana; il primo Procuratore generale della Corte è dal 16 giugno 2003 Luis Moreno-Ocampo. L’Italia è stato il 4o paese a firmare lo Statuto della Corte il 18 luglio 1998 e un anno dopo il Parlamento ha approvato la legge di autorizzazione alla ratifica, contenente anche l’ordine di esecuzione, attraverso una legge delega al Governo per adottare prontamente le norme di attuazione; nel corso degli ultimi 9 anni, ben quattro Commissioni ministeriali sono state istituite con lo scopo di adeguare la legislazione interna allo Statuto di Roma: Commissione Pranzetti (1998, Ministero degli affari esteri, che ha completato il lavoro nel 2001), Commissione La Greca-Lattanzi (1999, Ministero della giustizia, che ha completato il lavoro elaborando un disegno di legge-delega a fine 2001), Commissione Conforti (2002, Ministero della giustizia, che ha concluso i propri lavori nel 2003 con due progetti di legge mai resi pubblici), Commissione Scandurra (2002, Ministero della difesa, che ha concluso i propri lavori con un altro progetto di legge-delega, approvato dal Senato il 18 novembre 2004 (Atto Senato n. 2493 della XIV Legislatura) e che attualmente è depositato, ma non ancora esaminato, alla Camera (Atto Camera n. 5433); oltre alle quattro Commissioni ministeriali, sono state prese diverse iniziative parlamentari per l’adeguamento della legislazione interna allo Statuto di Roma (Atto Camera n. 2724, onorevole Kessler e altri, XIV legislatura; Atto Senato n. 1638, senatore Iovene e altri; Atto Senato n. 893, senatore Pianetta, XV Legislatura; Atto Senato n. 1089, senatore Martone e altri; Atti camera n. 1439, onorevole Melchiorre, n. 1695, onorevole Gozi, n. 1782, onorevole Di Pietro XVI Legislatura); se l’Italia non procedesse in tempi brevi all’adeguamento legislativo interno, ciò significherebbe che in caso di presenza sul nostro territorio di una persona indagata per crimini gravissimi, qualora la Corte ne chiedesse l’arresto, il giudice italiano non avrebbe alcuno strumento normativo per riconoscere ed eseguire il mandato d’arresto. L’Italia potrebbe quindi, tra l’altro, divenire meta privilegiata di sospetti “criminali di guerra”; sviluppi recenti nel campo della giustizia internazionale potrebbero mettere a serio rischio la credibilità dell’Italia a livello internazionale in quanto l’Italia si troverebbe a non poter sostenere le attività della Corte penale internazionale, istituita a Roma grazie in particolare alle iniziative intraprese dai Governi italiani nel corso degli anni ’90. Il 31 marzo 2005 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato con 11 voti favorevoli e quattro astensioni una risoluzione che demandava la questione delle atrocità commesse nel Darfur alla Corte penale internazionale (CPI); si tratta di un’iniziativa fortemente voluta dai membri permanenti Francia e Gran Bretagna anche a nome dell’Unione europea e per la prima volta il Consiglio di Sicurezza, tra i cui membri permanenti ve ne sono tre (Russia, Cina e Stati Uniti) che non hanno ratificato lo Statuto di Roma della CPI, ha applicato l’articolo che prevede che il supremo organo dell’Onu possa deferire alla Corte l’esame di crimini commessi nel territorio di un Paese che non ne ha preventivamente accettato la giurisdizione, riconoscendo così alla giustizia penale internazionale esercitata dalla Corte un effettivo ruolo sovranazionale, complementare ai poteri del Consiglio di Sicurezza in materia di scurezza internazionale;
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il 14 luglio 2008, il Procuratore capo della Corte penale internazionale, Luis Moreno-Ocampo, ha chiesto alla camera preliminare competente della Corte di confermare l’incriminazione formale contro il Presidente sudanese Omar al-Bashir per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio in riferimento alla campagna di violenza, stupri e deportazioni ai danni della popolazione del Darfur; il 4 marzo 2009 la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di cattura per il presidente del Sudan, Omar Hassan el-Bashir, con l’accusa di crimini di guerra e contro l’umanità; il Presidente sudanese, salito al potere nel 1989 con un colpo di stato, è stato sempre al centro di pesanti accuse per il suo coinvolgimento diretto nell’ azione delle milizie note con il nome di “Janjawid” contro l’inerme popolazione civile del Darfur; il Governo sudanese ha affermato che el-Bashir non verrà mai consegnato alla Corte penale internazionale e, anzi, ha reagito con l’immediata espulsione di alcune organizzazioni non governative accusate di fungere da copertura per imprecisate attività di spionaggio in favore di Paesi occidentali; in favore di el-Bashir si sono schierati in modo compatto i 22 Stati membri della Lega araba, mentre il Governo della Cina ha annunciato di voler portare la questione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite perché l’iniziativa della Corte penale internazionale sia bloccata.
Il presidente sudanese Omar al-Bashir, dopo aver visitato Eritrea ed Egitto e’ arrivato in questi giorni nella “amica” Libia, sfidando il mandato d’arresto per crimini di guerra in Darfur spiccato nei suoi confronti lo scorso 4 marzo dalla Corte penale internazionale. In attesa di una delibera di sostegno alla richiesta della CPI da parte del Consiglio di Sicurezza, solo quei paesi che hanno adeguati i propri ordinamenti possono collaborare fattivamente con la Corte.
L’Africa muore di fame

Tra i commenti a favore dell’operato della Corte riporto qui l’articolo di Bernard-Henri Lévy (“Contro le anime belle”). Tra quelli contrari non si può non citare questo: cliccare qui (Gheddafi, Corte penale internazionale nuova forma di terrorismo).

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