Montecatini Terme – Lucca – Luglio 2020

Montecatini Terme (20.742 abitanti; 29 m s.l.m.) per il nostro primo soggiorno e l’alta propensione turistica ci faceva ben sperare. Per l’ultima parte della serata, girovaghiamo per la cittadina, famosa per i suoi 9 stabilimenti termali inseriti in contesti storico monumentali, differenti. In questo particolare periodo dell’anno solo uno stabilimento è aperto gli altri apriranno a stato di emergenza COVID-19 terminato.

Montecatini Terme può essere definita la città del Liberty, della natura e delle acque. Infatti questo comune sorge per volontà del granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena per le sue caratteristiche naturali e termali e conosce un periodo particolarmente felice tra la fine dell’Ottocento e il primo trentennio del Novecento, divenendo luogo di attrazione per un pubblico internazionale e ospitando personaggi del calibro di Giuseppe Verdi, Ruggero Leoncavallo, Pietro Mascagni e Giacomo Puccini che usufruirono degli effetti benefici delle cure termali. La città si contraddistingue per gli innumerevoli parchi e spazi verdi dove è possibile passeggiare e godere di un’atmosfera rilassante e ricca di cultura.

Infatti si possono ammirare moltissimi edifici in stile Liberty, caratterizzati da una ricercata armonia di forme, oltre alle meravigliose architetture degli stabilimenti termali. Uno fra tutti è il grandioso complesso delle Terme Tettuccio, massima espressione dell’architettura termale cittadina. L’edificio è stato concepito come quinta scenica e fu realizzato tra il 1779 e i 1781. Le forme monumentali in travertino, richiamano i modelli delle terme romane in uno stile tra l’eclettico e il neo-rinascimentale.

Dal 2012 inoltre l’offerta artistica e culturale è ampliata dalla nascita della prima Galleria Civica della città: il Mo.C.A. (Montecatini Contemporay Art) all’interno della quale è possibile ammirare opere di rilevanza internazionale come il monumentale e imponente dipinto di Mirò “Donna avvolta in un volo di uccello” realizzato fra il 1975 e il 1978 circa e donato dall’artista alla città.

Montecatini si sa, deve la sua fortuna turistica principalmente ai suoi stabilimenti termali, e a tutti quei turisti che qui si recano per godere delle qualità terapeutiche delle loro acque. D’altro canto però, in pochi forse sanno che tutti questi stabilimenti non sono importanti soltanto per le cure che offrono ai loro visitatori, ma bensì anche perché rappresentano dei veri e propri monumenti della Belle Epoque montecatinese, dal grande valore storico-artistico.


L’esempio più riuscito – o comunque quello più conosciuto, la cui immagine-simbolo rappresenta Montecatini nel mondo – è quello dello Stabilimento Tettuccio, punto d’arrivo di un percorso che si snoda lungo tutto il Viale Verdi, la maestosa e regale via delle Terme.


Superata l’ampia facciata in travertino con colonne di ordine ionico, ci troviamo in un ambiente sontuoso, decorato secondo i dettami dello stile Liberty allora in voga, immerso nella luce e di ampio respiro. L’atrio – fiancheggiato da un imponente colonnato – accoglie il visitatore, offrendo alla vista lo spettacolo della volta affrescata da Galileo Chini e si apre lateralmente su due ambienti : a destra su una sorta di emiciclo che racchiude la grande vasca circolare coronata dalla Fontana dei Coccodrilli, formando un piccolo tempio circolare; a sinistra invece si affaccia poco più avanti sul Salone Portoghesi, opera dell’architetto Paolo Portoghesi.


Realizzata negli anni ottanta del Novecento, questa sala (utilizzata come luogo di mostre, convegni e concerti) re-interpreta lo stile Liberty in chiave contemporanea e molto personale, evocando attraverso le linee flessuose dei pilastri lignei che reggono la volta in vetro policromo le forme degli alberi.


La Fontana dei Coccodrilli invece è un tripudio di simboli, rappresentati dalla variopinta fauna che la arricchiscono; realizzata meticolosamente agli inizi del Novecento dallo scultore fiorentino Sirio Tofanari, in essa vediamo due coccodrilli in bronzo posti alla base di una conchiglia granitica, dalla quale sgorga copiosa l’acqua della fonte che si riversa nella vasca circolare sottostante. Insieme ai coccodrilli – animale considerato sacro dalla civiltà egizia e già allora personificazione della divinità della forza e della fertilità, protettrice dei malati – altre creature animano la fontana intorno al suo piedistallo. Il rospo, simbolo anch’esso di fecondità e di rinascita, il cavalluccio marino e il delfino, che incarna invece il potere salvifico delle acque; tutti insieme sembrano rappresentare così un elogio alle acque del Tettuccio ritenute, come questi simboli, miracolose e donatrici di rinnovata e sana vita.


Proseguendo lungo l’atrio, catturati da coinvolgenti giochi prospettici e linee di fuga, si giunge nel piazzale maggiore chiuso dal Tempietto della Musica sulla destra e, sul lato opposto, dalla celeberrima Galleria della Mescita.

Il Tempietto della Musica è anch’esso opera del Giovannozzi, ma si distingue dal resto per la sua cupola, affrescata dal fratello Ezio Giovannozzi; in essa è rappresentata una teoria di angeli volteggianti su di un paesaggio paradisiaco circondato lungo il suo perimetro da una balaustra dipinta illusionisticamente.

Nella parte inferiore poi abbiamo le personificazioni dei vari generi musicali, ideale parallelismo con la vocazione del Tempietto. Esternamente invece la cupola è rivestita da tegole di maiolica prodotte dalla Manifattura di Galileo Chini.


Per quanto riguarda la Galleria della Mescita, questa rappresenta forse la parte più rappresentativa e pittoresca dell’intero stabilimento. Famose sono le grandi composizioni create con mattonelle in maiolica di Basilio Cascella, che sovrastano i banchi della mescita, opere d’arte anch’essi, data la loro bellissima rifinitura con marmi policromi.

Il maestro pescarese – attivo anch’egli nei decenni a cavallo tra Otto e Novecento – riproduce nei pannelli scene molto vivaci e raffinate, con figure allegoriche di ispirazione classica che simboleggiano e ribadiscono anch’esse il valore e l’utilità delle acque che sgorgano dalle cannelle dei banchi sottostanti per tutte le età.

Al centro così abbiamo La Fonte, affiancata da La Bellezza e La Forza, virtù che l’acqua termale aiuta a mantenere; alle estremità poi vediamo raffigurate l’Infanzia e l’Adolescenza, con la Maturità e la Vecchiaia.

Dietro il parco termale, in posizione centrale, si trova la stazione di partenza della Funicolare costruita alla fine dell’Ottocento per collegare la cittadina di Montecatini Terme con Montecatini Alta, storico borgo medioevale a 300 m s.l.m.. Mangiamo in collina con vista su Montecatini Terme.

La Funicolare collega Montecatini Terme all’antico borgo medievale di Montecatini Alto con le vetture originali funzionanti più vecchie del mondo.

L’idea di costruire un impianto a fune tra il paesello di Montecatini Alto e Montecatini Terme, allora chiamati rispettivamente “Castello” e “Bagni di Montecatini” fu prospettata alla fine del XIX secolo da un ingegnere di origini genovesi, Alessandro Ferretti.

La grande inaugurazione avvenne il giorno 4 giugno 1898 e vi parteciparono ospiti illustri come il genio del melodramma, Giuseppe Verdi.

Nel 1977 però, a seguito di difficoltà sorte circa l’ammodernamento degli impianti e gli adeguamenti relativi, la Funicolare venne chiusa e fu poi riaperta solo con l’apporto della regione Toscana, che consentì il restauro delle carrozze, l’istallazione di un nuovo motore e di una modernissima “scatola nera” per il controllo delle corse. La ripresa dell’attività si verificò il 3 agosto 1982.

Da allora, per garantire una sempre maggiore sicurezza ai viaggiatori, sono state sostituite varie parti meccaniche di traino ed effettuati ammodernamenti d’impianto molto consistenti. Non sono stati però modificati i due storici vagoncini GIGIO e GIGIA che si “salutano” come sempre a metà percorso.

Tale e quale è rimasta la struttura, costituita da tre scompartimenti con panche di legno e due balconcini esterni, che sono i posti più ambiti da cui si domina un panorama straordinario.

La chiesa dei Santi Jacopo e Filippo (o del Carmine) si trova a Montecatini Alto.

Fu quasi completamente ricostruita nel 1764 in stile barocco sopra un edificio romanico, fondato nel 1296 dai Carmelitani, e presenta una facciata con tetto a capanna.

 

L’interno ad unica navata conserva un’acquasantiera a pila in marmo bianco scolpito (XIX secolo), una tela con Sant’Antonio da Padova e il Bambino Gesù tra due santi (fine XVI secolo), una pala reliquiario in legno intagliato e dorato (XVIII secolo), al centro della quale è collocata una tavola trecentesca con la Madonna che allatta il Bambino, una tela settecentesca con Tobiolo e l’angelo con un Santo Vescovo, San Giuseppe e la Vergine col Bambino, e lo Sposalizio mistico di Santa Caterina di scuola fiorentina della seconda metà del XVI secolo.

Ritornando a passeggiare a Montecatini Terme lungo il viale Verdi ci si imbatte nella mole del municipio, che, situato su un’altura artificiale, pare competere per monumentalità coi prestigiosi stabilimenti termali e ricettivi costruiti a partire dal tardo Settecento.

“‘Regi Bagni di Montecatini” erano infatti un comune giovane, istituito solo nel 1905 per distacco dall’avito castello (oggi Montecatini Alto), quando, a seguito dello sviluppo ottocentesco e del clima mondano della Belle Epoque, la città d’acque era divenuta meta di una clientela internazionale. Proprio agli inizi del Novecento lungo lo storico “stradone dei Bagni” sorgevano nuove strutture termali, ricreative e commerciali, ad opera dell’imprenditore Pietro Baragiola e del suo architetto di fiducia Giulio Bernardini.

Quando nel 1911 fu affidata la progettazione del palazzo in stile storico eclettico al montecatinese Raffaello Brizzi, era chiaro l’intento di arricchire la scena urbana con un’opera degna della prosperità e gaiezza del luogo.

La costruzione, iniziata nel 1912, fu solo rallentata dagli eventi bellici, tanto che nel 1918 si lavorava di buona lena alle decorazioni dell’interno: un tripudio di stucchi, affreschi, vetrate, sculture dove nulla è lasciato al caso.

Sul pianerottolo dello scalone, vera e propria cascata di pietra, il busto del Bararagiola (morto nel 1914) e l’iscrizione dedicatoria a Luigi Righetti, l’ingegnere comunale che diresse i lavori, introducono alla galleria di uomini benemeriti per la ville d’eaux (fra cui lo stesso Bernardini), effigiati nei busti sopra porta del piano nobile. Ma soffermandosi al piano terra i due cortili interni coperti da lucernario, perfettamente simmetrici rispetto al vano scale, rivelano un’inaspettata gioia di forme e di colori.

Tanto i vetri dei velari al soffitto tanto quelli degli sportelli –tutti opera della rinomata manifattura “Fornaci di San Lorenzo” di Galileo Chini– rimandano alla originaria funzione dei due saloni. In quello di sinistra, in origine esattoria, la luce cala attraverso lo stemma comunale, mentre in quello delle Regie Poste, a destra, esalta la croce dei Savoia. Gli emblemi del lavoro (come la vanga con spighe di grano) impressi “a gran fuoco” negli sportelli vetrati del primo e quelli della comunicazione postale (come la busta e il telegrafo) in quelli del secondo sono replicati nei soprastanti affreschi dei rispettivi ballatoi.

Qui, fra candelabri color rosso vivo su fondo verde, si scorge la firma del celebre pittore fiorentino che nel 1920, anno dell’inaugurazione del palazzo, eseguì anche il ciclo ‘a fresco’ della volta che sostiene il lucernario dello scalone. Dal velario centrale (posto in opera come gli altri due sino dal 1918) il putto neorinascimentale, tipico del repertorio chiniano, pare dialogare con le otto figure allegoriche dei pennacchi, che, due per lato, incarnano i motti delle rispettive lunette: “Costruire, sapere, lavorare nella pace”. Ossia i valori alla base di una società prospera e armoniosa, nella quale Chini credeva e della quale la Flora-Pace, che leggiadra reca fiori, pare essere la più accattivante interprete.

Galileo Chini (1873-1956) nato a Firenze, fu pittore di gran voga e fama internazionale per decorazioni a fresco, in ceramica o vetro di edifici pubblici e privati, attivissimo a Firenze, Pistoia, Montecatini, Viareggio. Ai ‘Regi Bagni’ era noto anche per il punto vendita della “Fornaci di San Lorenzo” – la manifattura ceramica fondata nel 1906 col cugino Chino Chini – situato nel padiglione dei sali delle Terme Tamerici sul viale Verdi. Sulla sua facciata Galileo è effigiato in veste di artigiano rinascimentale in un bassorilievo di Domenico Trentacoste (1902).

La tela del Maestro del Surrealismo donata a Montecatini Terme nel 1980 ed esposta al MO.C.A.

Conclusa nel giugno 1980 e piegata su se stessa come un tappeto per evitare complicate strade burocratiche, la “Donna avvolta in un volo di Uccelli” di Joan Miró arriva in quello stesso anno a Montecatini Terme dopo un rocambolesco viaggio che potrebbe essere raccontato in un romanzo. Come si legge sul retro della grandissima tela, l’opera fu donata “con todo corazón” alla città termale in occasione di un grande evento dedicato all’artista catalano: il Maggio Miró (1980). Promotore della rassegna artistica fu Carlos Franqui (1921-2010), fra i protagonisti della rivoluzione cubana insieme a Che Guevara e Fidel Castro, fuggito poi dall’isola a seguito di dissidi culturali e politici con il Líder máximo. Franqui, grande appassionato d’arte e amico di personalità quali Sartre, Calder, Picasso, Miró, già aveva organizzato all’Avana nel 1967 una manifestazione di assoluto rilievo per la sua valenza culturale e simbolica: El Salòn de Mayo.

A Cuba esposero artisti di fama internazionale, marcando una significativa distanza rispetto ad altri indirizzi politici che si sarebbero imposti poco tempo dopo nell’isola. Giornalista, poeta e scrittore, Franqui si rifugia in Europa, rimanendo diversi anni anche a Montecatini Terme: è qui che organizza il secondo importante evento, questa volta tutto dedicato all’amico Joan Miró (1893-1983), invitato a soggiornare in Toscana per ricevere gli omaggi di tutti gli artisti coinvolti nella manifestazione (Tàpies, Calder, Cuevas, Pignon e molti altri).

Ormai ottantasettenne, Joan Miró non era più in grado di viaggiare, quindi decide di far uscire il suo lavoro dallo studio di Palma di Maiorca per donarlo. Il dipinto a olio, fra i più grandi mai realizzati da Miró (260 x 315 cm), rappresenta un vero e proprio diario di vita. Si notano le tracce delle mattonelle del suo studio, dove la trasandata tela era stata distesa durante l’esecuzione dell’opera. Molto spesso l’artista utilizzava supporti poco curati, anzi, seduto sopra la sua sedia a dondolo osservava per ore le sue opere, fino a quando non riconosceva un’immagine; le imperfezioni cromatiche delle tele, i residui del tempo, potevano entrare a far parte della composizione. Così si spiega la presenza della macchia di caffè versato accidentalmente durante una conversazione, ma lasciata come inequivocabile segno della casualità e del vivere quotidiano.

Così si spiegano anche i rabbiosi tacchi delle scarpe di Miró, impressi con forza sopra la macchia nera del grande uccello, simbolo della morte che si avvicina, respinta con tutta la forza che il Maestro del surrealismo ancora aveva nelle sue gambe.

In questa straordinaria opera ritroviamo i simboli che hanno caratterizzato il linguaggio artistico di Miró: le costellazioni, la scala dell’evasione, l’albero della vita. Davanti alla tela, generalmente gli osservatori si pongono sempre la stessa domanda: dove si trova la Donna? Le soluzioni all’interrogativo sono sempre le più varie. Sono i colori di madre natura a indicare la presenza femminile, resa da Miró con il rosso, l’azzurro, il verde e il giallo. Con questi colori è rappresentata la vita, insieme a ciò che appassiona e a ciò che spaventa. La tela dell’artista catalano è dinamica, passionale, a tratti fragorosa; riesce a comunicare la spontaneità del gesto e la drammaticità delle azioni. Grazie alla recente apertura del nuovo spazio culturale Montecatini Contemporary Art (MO.C.A.), situato al piano terreno del Municipio, il dipinto dopo anni di silenzio è tornato a raccontare la straordinaria vicenda artistica di Miró.

Lasciamo Montecatini con una nota dolce, le rinomate cialde fatte artigianalmente dalla famiglia Bargilli dal 1936 indicate come specialità del luogo. Le cialde di Montecatini sono una specialità della stazione termale. Diventate un grande classico della pasticceria toscana sono un biscotto leggero e nutriente unico per la sua costruzione.

Le cialde di Montecatini sono composte da due cialde fragranti unite semplicemente da zucchero e mandorle triturate. Da non perdere.

E così siamo giunti al termine del nostro breve soggiorno in questa graziosa città termale; graziosa e tranquilla, forse un po’ troppo per chi è ancora attratto dalla frenesia di vacanze più dinamiche.

Ci rivedremo probabilmente fra qualche annetto quando avremo più bisogno di queste tranquillità.

Post diviso in piu parti: 1 2

Nessun commento

Lascia un commento