Guerra civile in Kenya – La Strage Infinita

Scontri in Kenya, i feriti a colpi di machete
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Dal 27 dicembre, il Kenya, non è più un luogo dimenticato dal mondo, lasciato a se stesso, o quasi: infatti, pur essendo sulla bocca di tutti, questi ne ammirano la sua autodistruzione.
L’ONU si indigna; l’Europa condanna; nessuno però muove un dito, o magari invia dei caschi blu per ristabilire calma e serenità in una popolazione già martoriata dalla carestia.  
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“La situazione presente in Kenya è nata dalle elezioni del 27 dicembre che sono state contestate aspramente e che hanno visto la vittoria ufficiale, per poche centinaia di migliaia di voti, di quello che era già il Presidente, Kibaki.
Subito dopo si sono scatenate reazioni molto violente da parte dell’opposizione, accusando il governo di brogli elettorale e rifiutando di riconoscere Kibaki come Presidente. La cosa che sembra adesso molto chiara è che la violenza che si è scatenata dopo l’annuncio della vittoria di Kibaki è stata preparata con cura in diverse parti del Kenya. Si era creata, durante tutto il periodo pre-elettorale, una strana campagna per cui l’opposizione diceva “è il nostro turno”, sottintendendo il fatto che c’erano stati due presidenti Kikuyu, un presidente Kalenjin quindi era il turno dei Luhya, che sono numericamente la terza tribù del Kenya. Questo aveva già dato una forte connotazione tribale alla campagna. Nelle ultime settimane ciò era stato aggravato dal fatto che l’opposizione aveva iniziato a dire “se non vinciamo vuol dire che ci sono stati dei brogli”.

Il paese dei safari e delle spiaggie bianche si è trasformato in un teatro di atrocità. Violenze raccapriccianti e omicidi dilagano per le strade. Come dimostrano queste foto «Vorrei che il mondo sapesse cosa sta succedendo davvero in Kenya», spiega al telefono un imprenditore africano naturalizzato italiano che ha una piccola società a Nairobi: «Sono rientrato in Italia perché la situazione non è più sostenibile». Basta dare uno sguardo alle foto che una sua amica ha scattato a Naivasha, una piccola cittadina  a 80 km da Nairobi che fino a un mese fa era uno dei luoghi più spettacolari del Paese. Ed è subito morte.

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«Camminando per le strade di Naivasha era impossibile non vedere scene raccapriccianti», spiega la ragazza che ha scattato le foto e non ha potuto pubblicarle sui giornali kenyoti. «I kikuyo controllano i media e l’economia e non vogliono che il mondo veda cosa hanno fatto a Naivasha contro i Luo», spiega al telefono.

È tempo di vendetta in Kenya. Pochi giorni dopo le elezioni che, grazie  a imbrogli elettorali perpetrati da ambo gli schieramenti, hanno riconsegnato il Paese in mano al leader uscente Kibaki, le tribù che appoggiavano lo sfidante Raila Odinga (Luo, Luya e Kalemjin) hanno messo a ferro e fiamme le case dei kikuyo che abitavano nelle terre della Rift Valley, regione tradizionalmente Luo. Adesso, i kikuyo, largamente appoggiati dalla polizia, stanno restituendo le violenze con gli interessi. Chi può fugge. In ogni modo. Esodi di massa che ci riportano ad alcuni dei momenti più bui della nostra storia del XX secolo. Grandi fette del Paese sono diventate etnicamente omogenee.

Le interviste del blog beppegrillo.it: Renato Kizito Sesana

La corruzione in Kenya, che era gravissima ai tempi del presidente precedente Daniel Arap Moi, è stata ridotta ma è comunque a un livello molto grave e la gente di questo è estremamente stanca, non ne può più. Il governo, poi, si è probabilmente tirato la zappa sui piedi perché ha spostato gli interessi commerciali del Kenya dall’Europa, dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra verso il Giappone e l’oriente in genere. Mentre Raila Odinga, capo dell’opposizione che ha quasi la fama di uomo di sinistra, in realtà ha senz’altro fatto promesse agli americani e all’Occidente di riavvicinarsi. Kibaki aveva rifiutato una base militare degli americani sulla costa del Kenya. Ci sono state senz’altro delle interferenze e appoggi a livello mondiale su quello che sono state le elezioni nel Kenya.
Secondo me la questione tribale è solo una maschera che viene messa sopra altre questioni. E’ uno strumento che gli uomini politici hanno manipolato ed esacerbato prima per avere dei voti e poi per scatenare la violenza. Gli uomini politici dei diversi partiti e dei diversi popoli del Kenya si trovano, parlano… le persone della classe medio alta si trovano, parlano, vanno a cena insieme nei grandi ristoranti di Nairobi, che sono tantissimi, e nei più grandi quartieri ricchi di Nairobi. Non c’è stata nessuna rivalità, non c’è stato nessun problema. Sono stati i poveri che sono stati scatenati alla gola gli uni degli altri sotto il pretesto di questa rivalità etnica. Io penso che prima di tutto, per trovare una soluzione a questo problema, ci voglia del tempo perché le due parti hanno cominciato subito su posizioni così diverse e così rigidamente diverse che è impossibile che cambino in poco tempo. Bisogna dar loro il tempo di cambiare le posizioni salvando la faccia.
Credo saggia la posizione di Kofi Annan che è venuto senza mettersi limiti di tempo. L’importante è che smettano le violenze e la reazione alla violenza. Se veramente i leader lo volessero, se Kibaki e Raila Odinga volessero fermare i loro seguaci sono convinto che potrebbero farlo nel giro di pochissime ore. Basterebbe una condanna ferma e precisa della violenza, che non c’è ancora stata. Poi potranno negoziare e parlare come vogliono. Ma la paura è che ci sia la tentazione di usare la violenza. Da parte del governo di usare la repressione della polizia, da parte dell’opposizione di usare la violenza dei disoccupati, disperati, giovani che vengono scatenati, pagati contro la tribù del Presidente illudendosi che questo porti dei vantaggi alla loro posizione politica.” Renato Kizito Sesana, padre comboniano

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