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IL MESSAGGIO PER LA QUARESIMA – ELEMOSINA IL PAPA SPIAZZA ANCORA
Come uno che, mentre la folla si dirige in un senso, va dall’altra parte. E però, mostrando il volto alla folla controcorren­te, ridesta in coloro che lo osservano qual­cosa di grande: un desiderio, un ricordo. Sembra questo il destino del cristiano di oggi. Lo si vede anche leggendo il messag­gio per la Quaresima di Benedetto XVI.
Mentre tutti parlano di crisi economica, di difficoltà a guadagnare abbastanza, di spre­chi della politica e di prezzi alle stelle per il gas come per i quadri d’arte, ecco che il Pa­pa si mette a parlare dell’elemosina. Anco­ra prendendo in contropiede, ma ancora rammentando a tutti qualcosa di essen­ziale. Senza l’essenziale, infatti, ogni preoc­cupazione anche legittima e giusta – come quella di cavarsela con i soldi – rischia di tra­sformarsi in ansia quasi patologica degli in­dividui e della società. Perciò, mentre tutti si preoccupano dei soldi, il Papa ci parla dell’elemosina. Di quel gesto che si com­pie per aiutare il povero e per rammentar­si che non siamo padroni della vita e dei suoi beni. E per ricordarci quella verità straordinariamente semplice e che però spesso dimentichiamo: c’è più soddisfa­zione nel donare che nel ricevere. Il che e­quivale a dire che la natura umana è fat­ta per amare.


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Senza la gioia di do­nare, una società non riesce a far fronte nemmeno alla necessità dello sviluppo e della cre­scita. L’elemosina è un gesto realista, non eccezionale. Realista perché prende atto che il bisogno dei poveri intorno a noi è tale che tante nostre pretese e lamenti suonano spesso addirittura indegni. E si tratta di un gesto non eccezionale, perché dovrebbe avvenire, come ricorda il Vange­lo, senza che la mano sinistra sappia cosa fa la destra.
Il Papa, dopo aver ricordato che i beni ci vengono dati per aiutare tutti, insiste sul ri­schio di quel che chiamerei ‘carità-spetta­colo’. Ovvero, la tendenza in una società dell’immagine a usare anche un’opera di elemosina per avere un tornaconto di au­topromozione. Mentre, insiste con pacata fermezza Benedetto XVI, la carità implica l’atteggiamento interiore e, dunque, di­screto di una conversione a Cristo. L’ele­mosina fatta con il cuore gonfio di vana­gloria è fuori del Vangelo. Fare la carità non è filantropia strombazzata ai quattro ven­ti. Gesù come esempio di carità non porta l’azione eccezionale di qualche filantropo, ma il gesto dell’unica moneta donata al tempio dalla vedova povera. Lei a Dio offre tutto di sé, certi filantropi danno il surplus e a patto che si parli molto di loro.
Il Papa, nel suo messaggio, ricorda quei tan­ti che nel nostro popolo in modo discreto, a volte anonimo, aiutano il prossimo. L’Ita­lia dei bisognosi, dei veri indigenti – di qua­lunque razza –, deve la propria sussistenza molto di più a tante persone come la ‘ve­dova povera’ che a Istituzioni e a filantro­pi da spot televisivo.
Con sano realismo, il cardinale Cordes, pre­sentando il documento papale, ha inoltre richiamato il fatto che negli organismi ec­clesiali dedicati alla carità la percentuale delle offerte raccolte usata per le spese am­ministrative oscilla tra il 3% e il 9%, mentre in tante istituzioni filantropiche si arriva a volte al 50%.
Di recente, anche alcuni noti uomini di cul­tura si sono interrogati su che cosa signifi­chi aiutare il prossimo. Un grande scritto­re, penna di punta di un grande quotidia­no laico , Pietro Citati, ha rac­contato del suo normale gesto di elemosi­na. Non lo ha fatto certo per vanagloria, ma per ricordare quanto tali gesti semplici for­mano la qualità della vita e dell’anima. Nel più fine intellettuale come nel più illettera­to. Infatti la Quaresima di cui parla il Papa è proposta a tutti. Momento in cui ci si sco­pre poveri tutti. E bisognosi tutti, mendi­canti di Cristo e dei fratelli. (DAVIDE RONDONI)
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ACCANTO AGLI ULTIMI
Cordes: le agenzie della solidarietà siano trasparenti
Il cardinale: costi interni troppo alti

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Sono decine di migliaia le agenzie interna­zionali che raccolgono denaro per aiutare chi è nel bisogno. Si lanciano collette per combattere la fame, per soccorrere le vittime di guerre e calamità naturali, per colmare i gap a­bissali in assistenza sanitaria, o educazione sco­lastica, che si sono scavati tra primo e terzo, o quarto, mondo. Oltre 1000 miliardi di dollari al­l’anno nei soli Stati Uniti, dove si contano circa un milione e 400mila agenzie uf­ficiali di carità, registrate dallo Stato a motivo della deduzione fiscale. Ma, bisogna chiedersi, quanto di questo denaro, dona­to dalla gente sullo slancio det­tato dalla volontà di fare del be­ne, arriva effettivamente a desti­nazione?

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È l’interrogativo che il cardinale Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, ha rilanciato  nel corso della conferenza stampa nella quale, con monsignor Karel Kasteel e monsignor Giampietro Dal Toso, rispettivamente segretario e sot­to- segretario del medesimo di­castero, e a Hans-Peter Röthlin, presidente dell’opera Aiuto alla Chiesa che soffre, è stato presen­tato il Messaggio del Papa per la Quaresima 2008. «Da cristiani – ha detto il porporato – possiamo affermare con soddisfazione che il comandamento biblico dell’a­more al prossimo ha segnato in­delebilmente la nostra cultura, così da diventa­re un riferimento per credenti e non credenti. La parabola del Buon Samaritano rappresenta un richiamo morale indiscusso, almeno negli am­bienti occidentali, e plasma le nostre categorie valoriali», così che «oggi nessuno oserebbe con­testare in pubblico l’assistenza ai bisognosi».
«Tuttavia, nonostante la lotta contro la miseria dal punto di vista delle finanze registri successi, il messaggio di quest’anno, mettendo a tema la beneficenza, non spalanca di per sé porte già a­perte ». Il mondo dell’assistenza, infatti, «meri- ta alcuni chiarimenti. Per esempio – ha sottoli­neato Cordes – sui bilanci strutturali delle isti­tuzioni assistenziali», a volte «sorprendente­mente alti». «Non è questo il luogo per soffer­marci su alcune di queste istituzioni e sugli sti­pendi dei loro collaboratori. Ma – ha aggiunto – chi si dà la pena di cercare certi dati, spesso ben celati, dai loro rapporti annuali, rimane stupito dai costi interni: a volte rappresentano poco me­no del 50% delle entrate. Di certo sarebbe utile se in occasione di appelli mediatici, lanciati in seguito a calamità come lo Tsu­nami, non venisse indicato sola­mente il numero di conto cor­rente, ma anche la percentuale che le agenzie trattengono per mantenere la propria istituzione. Aiuterebbe il donatore a discer­nere in quale modo il suo dono raggiunge i bisognosi restando il più integro possibile».
Da questo punto di vista, ha ag­giunto Cordes, «il consumo in­terno delle agenzie di aiuto del­la Chiesa può essere considera­to esemplare». Nel 2006, ha rife­rito, Caritas Italiana ha utilizza­to per spese interne solo il 9 per cento delle offerte, l’Ordine di Malta il 7, e l’agenzia Kirche in Not il 6. Meno ancora hanno speso le istituzioni affidate a Cor Unum, (le Fondazioni ‘Giovan­ni Paolo II’, per il Sahel, e la ‘Po­pulorum progressio’, per l’A­merica Latina), che hanno uti­lizzato appena il 3% del denaro raccolto.
Ciò non significa che il lavoro delle agenzie in­ternazionali non sia importante: «Sono anzi con­vinto – ha detto Cordes – che il mondo sarebbe molto più povero senza le loro forze. Non vole­vo ispirare l’idea di dimenticare o anzi cancel­lare le altre agenzie, ma volevo sensibilizzare la riflessione dei donatori, perché guardassero quanto del loro denaro arriva alla fine ai biso­gnosi. Con un po’ di realismo, può essere una ri­flessione interessante, anche per dire che forse questi stipendi, questi soldi utilizzati dalle gran­di agenzie, potrebbero diminuire».
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